La distinzione tra luci e vedute nella dottrina e nella giurisprudenza sotto il vecchio codice
Dei tre requisiti prescritti dall'art.
901 per l'apertura delle luci nella pratica può mancarne qualcuno, in tutto o in parte: può ad esempio mancare l'inferriata, può mancare la rete metallica o essere apribile anziché fissa, oppure essere a maglie superiori ai prescritti tre centimetri, può infine mancare l'altezza prescritta, sia verso l'interno che verso l'esterno sul fondo del vicino.
La mancanza, in tutto o in parte, dei tre requisiti di legge, rende la
luce irregolare, e sotto il vecchio codice tale irregolarità dette luogo a questioni vivamente dibattute, tanto nella dottrina quanto nella giurisprudenza.
La questione più vivamente dibattuta fu quella di vedere se la luce irregolare dovesse, nonostante la sua irregolarità,
considerarsi sempre come luce ed essere quindi sottoposta al regime giuridico delle luci,
oppure dovesse considerarsi
come veduta e seguire il trattamento giuridico delle vedute.
La dottrina si divise: alcuni sostennero che bastava la mancanza di uno dei requisiti di legge perché la luce dovesse considerarsi come veduta, non riconoscendo il legislatore nessuna categoria intermedia fra le luci e le vedute. Ma altri rilevarono l'assurdo a cui portava tale teoria, cioè di dover considerare come veduta anche un' apertura munita di inferriata, invetriata fissa e a tale altezza da impedire una veduta normale, solo perché la maglia dell'inferriata era di qualche centimetro più larga, o l'altezza inferiore di qualche centimetro a quella prescritta. Se ne fece quindi una questione di fatto, da decidersi caso per caso, secondo l’ entità della deroga ai requisiti di legge e le circostanze del caso.
La giurisprudenza, prima molto oscillante, si venne affermando nel senso che il carattere differenziale tra luci e vedute, anziché dall'osservanza dei tre requisiti prescritti dall'art. 902
, doveva individuarsi nella
funzione esplicata dall'apertura: se essa offriva al proprietario la possibilità di un comodo e normale affaccio sul fondo vicino, l'apertura, nonostante la presenza di alcuno dei requisiti prescritti per le luci, era come veduta; in caso negativo, doveva qualificarsi come luce, anche in mancanza di uno o più dei requisiti di cui all’ art. 902. Il decidere poi se nel dato caso si trattasse della prima o della seconda ipotesi, cioè il decidere se ricorresse o meno l'estremo del comodo e normale affaccio sul fondo vicino, era una questione di fatto da decidersi caso per caso dai giudici di merito, come sottolineò la Cassazione del Regno in una numerosa serie di sentenze.
Soluzione testuale data alla questione dall'art. 902
Il nuovo codice ha
risolto tale questione disponendo all'art. 902 che «
un'apertura che non ha i caratteri di veduta o di prospetto è considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall'art. 901 », sanzionando quindi la giurisprudenza della Cassazione.
L'apertura ha i caratteri di veduta quando, come detto sopra, consente un comodo e normale affaccio sul fondo vicino, e il decidere se ciò si abbia nel caso concreto costituisce
apprezzamento di fatto lasciato ai giudici di merito.
La distinzione fra luci e vedute ha grande
importanza pratica, poiché, se si tratta di semplice luce, il vicino può chiuderla appoggiandovi il suo edificio ai sensi dell'art.
904; mentre se si tratta di veduta egli ha l'obbligo di distanziare la fabbrica di tre metri a norma dell'art.
907. Per tale argomenti si rinvia alla spiegazione dei dei citati articoli (art.
904; art.
907).
Imprescrittibilità del diritto del vicino di esigere che la luce irregolare sia resa conforme alle prescrizioni di legge
Un'altra questione è stata risoluta testualmente dal nuovo codice, all'art. 902 capov., in materia di luci irregolari. Posto che l'apertura delle luci è subordinata all'osservanza dei tre requisiti di legge, è chiaro che il vicino ha il diritto di esigerne l'osservanza e, quindi, mancando ad esempio l'inferriata, o la grata fissa, o l'altezza, esigere che la luce sia resa conforme a legge e, in difetto, pretenderne la chiusura.
Sotto la vigenza del vecchio codice si era discusso se il vicino potesse esercitare questo suo diritto anche
dopo il trentennio dall'apertura della luce irregolare. La giurisprudenza della Cassazione si pronunciò ripetutamente in senso affermativo
, e tale soluzione è stata testualmente sancita dal nuovo codice, disponendosi all'art. 902 capoverso che il vicino ha sempre il diritto di esigere che la luce irregolare sia resa conforme alle prescrizioni di legge.