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Articolo 2850 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Formalità per la rinnovazione

Dispositivo dell'art. 2850 Codice Civile

Per ottenere la rinnovazione si presenta al conservatore una nota in doppio originale conforme a quella della precedente iscrizione [2839], in cui si dichiari che s'intende rinnovare l'iscrizione originaria(1).

In luogo del titolo si può presentare la nota precedente.

Il conservatore deve osservare le disposizioni dell'articolo 2840(2).

Note

(1) La disposizione si occupa di sancire le modalità necessarie per porre in essere la rinnovazione ipotecaria. Risulta fondamentale la dichiarazione a riguardo: nell'ipotesi di assenza della stessa, o comunque in mancanza dell'esplicita menzione, da parte del creditore, della definizione di rinnovazione, si delinea la conseguente obbligatoria applicabilità della disciplina dettata in ordine alla prima iscrizione ipotecaria.
(2) Il riferimento all'art. 2840 riguarda le modalità di certificazione da parte del conservatore dei registri immobiliari, in tema di nota di rinnovazione e di custodia del titolo presentato: il conservatore è quindi tenuto alla rigida osservanza delle disposizioni richiamate.

Ratio Legis

La norma in commento detta le formalità necessarie per la rinnovazione, sottolinenando che si tratta di un atto formale che pertanto deve seguire la disciplina stabilita per non essere dichiarato nullo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Consulenze legali
relative all'articolo 2850 Codice Civile

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Marco F. chiede
sabato 07/09/2019 - Piemonte
“Salve,
vi scrivo in merito ad un’esecuzione immobiliare che ha riguardato diversi immobili tra cui una bottega, pignorati con unico atto e venduti in lotti separati. Quello che è qui di interesse è unicamente la bottega, per i motivi che indicherò a breve, ed è doveroso fare una premessa riguardo al titolo di acquisto della stessa da parte del debitore esecutato, per contestualizzare i fatti.
Il debitore ed altri soggetti, avevano alienato alcuni fabbricati (e una piccola porzione di terreno) tutti attigui tra loro, ad un costruttore interessato ad erigere una nuova palazzina sull'intera area risultante dalla demolizione dei predetti fabbricati (al catasto terreni tale area veniva complessivamente individuata alle partt. 297, 298, 299, 300, 301). Alcuni dei proprietari avevano posto in essere con il costruttore una tradizionale compravendita, mentre il debitore aveva effettuato una permuta di bene presente (palazzina identificata al C.F. con part. 301 sub. 1/2/3) con bene futuro (bottega facente parte del futuro fabbricato).
Qualche tempo dopo, il debitore concedeva ad un istituto di credito, ipoteca sulla bottega. Essendo questa, all'atto della concessione della garanzia, venuta ad esistenza ma non ancora munita di autonomi riferimenti catastali, veniva individuata catastalmente ai sensi dell'art. 2826 c.c. il quale specifica che in caso di concessione di ipoteca su fabbricato in costruzione devono essere indicati i dati catastali del terreno sul quale esso insiste. Non ho trovato giurisprudenza in merito ma da quanto ho potuto apprendere autorevole dottrina (Perlingieri in primis, ma anche Astuni, Giusti, ecc.) ritiene che in siffatti casi l'ipoteca venga iscritta sul terreno e per accessione colpisca il fabbricato in costruzione (non diversamente da quanto avviene ai sensi dell’art. 2811 c.c.). Il quale fabbricato dovrebbe quindi risultare ipotecato nella sua interezza e non in una porzione soltanto.
Fatto sta che l'immobile veniva così individuato nella formalità ipotecaria (non esisteva ancora il modello della nota meccanizzata): "bottega a piano terra sita nel Comune di … via … confinante con … L'intero fabbricato di cui fa parte la bottega offerta in garanzia, insiste sull'area individuata al catasto alle particelle 297, 298, 299, 300, 301".
Il successivo atto di pignoramento (e relativa nota di trascrizione) ad opera dello stesso creditore ipotecario, individuava l’immobile nella stessa modalità, così descrivendolo: "bottega a piano terra sita nel Comune di … via … confinante con ... L'intero fabbricato di cui fa parte la bottega pignorata, insiste sull'area individuata al catasto alle particelle 297, 298, 299, 300, 301".
Nella procedura nessuno ha mai dato peso a questa circostanza e si è sempre ritenuto che oggetto del pignoramento fosse unicamente la bottega, tant’è che nell'ordinanza di vendita così come nel decreto di trasferimento (ma anche nella perizia) non si fa alcun riferimento ai terreni e viene posta in vendita la sola bottega, individuata con i dati catastali nel frattempo attribuiti al catasto fabbricati (part. 297 sub. 34).
Il creditore ipotecario/pignorante, quando ormai si era giunti alla fase distributiva della procedura, ha rinnovato l'iscrizione ipotecaria (questa volta con il modello di nota meccanizzata) sui terreni alle particelle 297, 298, 299, 300 e 301, specificando nel quadro D della nota che dalla rinnovazione era esclusa la part. 297 sub. 34 del catasto edilizio urbano perché già oggetto di decreto di trasferimento. Ciò sembrerebbe avvalorare la tesi sopra esposta e porterebbe a concludere che il creditore avesse coscientemente iscritto ipoteca sui terreni, visto che egli stesso ha ritenuto di doverla rinnovare in relazione ad essi.
Ma se con il pignoramento il creditore ha individuato l'immobile nella stessa identica modalità con cui aveva fatto precedentemente con l'ipoteca (peraltro correttamente visto che in entrambi i casi non risultava ancora in atti l’accatastamento del fabbricato) allora anche il pignoramento dovrebbe aver colpito i terreni e per accessione tutto il fabbricato.

La procedura risulterebbe attualmente chiusa perchè è già avvenuta qualche anno fa la distribuzione del ricavato e so bene che questa operazione viene fatta generalmente coincidere con la chiusura della procedura esecutiva. Però probabilmente ciò è vero nel limite in cui sia stato distribuito il ricavato di tutto il compendio pignorato, cosa che presuppone appunto l'avvenuta liquidazione di tutti i beni sottoposti ad esecuzione e che sono stati precedentemente individuati dal creditore con l'atto di pignoramento. Sostanzialmente ritengo, prudentemente, che non sia tanto la distribuzione del ricavato a comportare la chiusura della procedura, quanto la circostanza che “di regola” essa avviene quando non c'è più alcun bene sottoposto al vincolo pignoratizio. Nel caso che io sto prospettando, ammettendo che il pignoramento abbia colpito i terreni ed il fabbricato nella sua interezza, la procedura potrebbe invece non essere considerata chiusa perché, nonostante sia stato approvato e reso esecutivo un progetto di distribuzione dei lotti venduti, e benché il G.E. non abbia disposto la vendita di altri lotti, non tutti i beni sottoposti a pignoramento sono stati liquidati. A nulla rileva il fatto che i terreni, così come la restante parte di fabbricato, non siano mai stati di proprietà del debitore, visto che la titolarità del bene pignorato in capo al debitore non è presupposto dell’azione esecutiva, e la sua mancanza dovrebbe comunque essere rilevato nella procedura ai fini di una eventuale declaratoria di nullità del pignoramento.
A conferma del fatto che la mera distribuzione del ricavato, anche se interamente satisfattiva per i creditori, non comporta l'automatica chiusura della procedura esecutiva, mi vengono in mente gli artt. 504 c.p.c. e 163 disp. att. c.p.c. Essi prevedono che il G.E., quando la vendita venga effettuata in più volte o in più lotti, e rilevi che l’ammontare del ricavato fino ad allora realizzato sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori, ordini tramite ordinanza la cessazione della vendita forzata sui beni pignorati rimasti invenduti (con conseguente ordine di cancellazione della trascrizione del pignoramento sugli stessi). Se la distribuzione del ricavato comportasse sempre e comunque la chiusura della procedura, mi chiedo che senso avrebbe prevedere che il G.E. emetta tale ordinanza. A mio avviso la ratio di questa norma è proprio quella di evitare una pendenza sine die della procedura esecutiva, anche dopo la distribuzione (seppur positiva) del ricavato, nel caso permanessero beni sottoposti a pignoramento. Anche per questo motivo ritengo che il procedimento in parola sia ancora tecnicamente pendente, fin tanto che non venga emanata un'ordinanza di cessazione della vendita forzata relativamente ai beni rimasti invenduti e finché non sia disposta la cancellazione della trascrizione del pignoramento in relazione ad essi (il decreto di trasferimento della bottega conteneva l’ordine di cancellazione delle formalità gravanti limitatamente al bene trasferito).
La questione rappresentata potrebbe sembrare oziosa, considerato che, anche volendo ammettere che questa procedura sia ancora pendente, essa potrebbe certamente essere chiusa in qualsiasi momento. In realtà però ci sarebbe un grande risvolto pratico perché se la procedura fosse ancora pendente vorrebbe dire essere ancora in tempo, ad esempio, per proporre un'opposizione o rilevare un fatto estintivo. Si potrebbe contestare, per esempio, la nullità del pignoramento o la mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento che secondo la Cassazione più recente comporta la caducazione della procedura esecutiva nella sua interezza e con efficacia retroattiva, rilevabile d'ufficio (il creditore procedente ha infatti rinnovato la sola iscrizione ipotecaria sui terreni, non anche la trascrizione del pignoramento).

In conclusione mi chiedevo se le considerazioni sopra esposte possano essere condivisibili, ed in particolare: 1) se il pignoramento ha effettivamente colpito i terreni e/o il fabbricato nella sua interezza; 2) in caso affermativo, e proprio per tale motivo, se possa essere considerata ancora pendente la procedura, nonostante l'avvenuta distribuzione del ricavato.

Vi ringrazio anticipatamente.”
Consulenza legale i 16/09/2019
Nel leggere le considerazioni contenute nel quesito, che non si può fare a meno di apprezzare per la loro chiarezza e linearità espositiva, viene subito in mente una norma a cui si ritiene debba attribuirsi il ruolo di guida in ogni procedura esecutiva, tant’è che si trova contenuta tra le norme dedicate all’espropriazione forzata in generale.
Ci si riferisce all’art. 491 del c.p.c., il quale dispone, in maniera estremamente sintetica ma chiara, che l’espropriazione forzata inizia con il pignoramento.
Statuisce a sua volta il successivo art. 555 del c.p.c., nella specifica materia della espropriazione immobiliare, che il pignoramento immobiliare va eseguito mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale debbono essere esattamente indicati i beni ed i diritti immobiliari che si intendono sottoporre ad esecuzione, precisandosi che per la loro corretta individuazione occorre inserire nell’atto di pignoramento gli estremi che il codice civile richiede per descrivere l’immobile ipotecato.

Il passaggio successivo è quello di analizzare cosa dispongono le norme in materia di ipoteca, ed in particolare la norma che interessa proprio il caso di specie è, come correttamente segnalato nel quesito, l’art. 2826 c.c. relativo ai fabbricati in corso di costruzione, il quale dispone che per tali fabbricati, oltre all’indicazione della loro natura e del comune in cui si trovano, vanno indicati i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono.
E’ stato precisato che l’elenco delle indicazioni previste in tale norma non è da considerarsi tassativo, il che comporta che una di esse può anche mancare, essendo soltanto necessario che il bene oggetto di ipoteca si riesca ad individuare con assoluta certezza.
Ha anche aggiunto a tal proposito la giurisprudenza (cfr. Cass. N. 2162/1965 e Cass. N. 2583/1983) che qualora non vi sia coincidenza tra confini e dati catastali deve essere data priorità ai primi, a nulla interessando che la norma dell’art. 2826 del c.c. preveda i dati catastali tra gli elementi necessari per l’individuazione dell’immobile gravato.
Non si concorda, invece, sulla interpretazione riportata nel quesito secondo cui in tali casi l’ipoteca iscritta sul terreno colpisce il fabbricato per accessione ex art. 2811 del c.c., in quanto l’indicazione dei dati catastali del terreno (o del fabbricato preesistente) vale solo a meglio identificare, in concorso con gli altri dati descrittivi, il bene che si intende ipotecare o sottoporre a pegno.

Dalle norme sopra viste, dunque, se ne deve far discendere che, al fine di determinare il bene che è stato sottoposto a pegno non può prescindersi dalla descrizione che di tale bene ne è stata fatta nell’atto introduttivo della procedura esecutiva, ossia nell’atto di pignoramento di cui all’art. 491 cpc, ove l’immobile è stata esattamente individuato nella “bottega a piano terra del Comune di …., via…. Confinante ….”.
Sarebbero stati già sufficienti questi soli elementi per identificare l’immobile pignorato, non essendo anche necessaria, almeno secondo la tesi fatta propria dalla giurisprudenza sopra citata, l’indicazione dei dati catastali.
Questi ultimi, infatti, avrebbero solo dovuto avere la finalità di meglio riuscire ad individuare il bene che si intendeva pignorare, ma certamente non avrebbero potuto in alcun modo produrre l’effetto di assoggettare a pegno immobiliare beni non corrispondenti alla descrizione che lo stesso atto di pignoramento conteneva (ovvero le particelle identificanti l’intero fabbricato in luogo del quale sarebbe sorto il nuovo edificio, di cui avrebbe fatto parte la bottega).

Correttamente, del resto, si ritiene che sia stata condotta l’intera procedura esecutiva, fino ad arrivare al decreto di trasferimento, il quale non poteva non avere ad oggetto che il solo immobile pignorato, ossia la bottega, la quale nel frattempo era stata identificata in catasto con autonoma particella.
Ciò che non si comprende è quale possa essere stata la ragione, e prima ancora il titolo giuridico, che hanno indotto il creditore ipotecario e pignorante a ritenersi legittimato non solo a rinnovare l’iscrizione ipotecaria quando ormai la procedura esecutiva era giunta al termine (si dice che si era giunti alla sua fase distributiva), ma soprattutto ad effettuare la rinnovazione su particelle che non avevano formato oggetto di garanzia ipotecaria, anche perché non di proprietà del debitore (quest’ultimo, secondo quanto detto nel quesito, era solo proprietario della palazzina identificata in origine con la particella 301 sub. 1/2/3, in luogo della quale è stata realizzata la bottega identificata con particella 297 sub 34).

A ciò si aggiunga che l’art. 2850 c.c., dettato in tema di rinnovazione dell’ipoteca, dispone che “per ottenere la rinnovazione occorre presentare al conservatore una nota conforme a quella della precedente iscrizione in cui si dichiari che s’intende rinnovare l’iscrizione originaria”.
In caso di difformità tra la nota originaria e quella di rinnovazione, occorrerà così distinguere:
  1. se sono indicati beni in quantità minore o una minor somma, la rinnovazione vale entro questi limiti;
  2. se sono indicati beni o somme in eccesso, la rinnovazione avrà effetto nei limiti della vecchi iscrizione.
Pertanto, anche se la rinnovazione ha avuto ad oggetto le aree sulle quali è stato realizzato il nuovo fabbricato, i suoi effetti dovranno sempre intendersi limitati a quella porzione del nuovo fabbricato (la bottega) che è stata assoggettata ad ipoteca prima e successivamente pignorata (secondo la descrizione fattane sia nell’atto costitutivo di ipoteca che nell’atto di pignoramento).
Né, del resto, la semplice iscrizione ipotecaria su quelle particelle comporta l’automatico assoggettamento a pegno delle stesse, in quanto l’atto di pignoramento resta soltanto uno, ossia quello originario, ove il riferimento a queste stesse particelle viene fatto soltanto ai fini di cui all’art. 2826 c.c., ossia per meglio individuare un bene ancora in corso di costruzione e privo di autonoma particella catastale.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, dunque, si ritiene sia del tutto da escludere che quel pignoramento, che ha poi condotto alla vendita forzata ed alla successiva distribuzione del ricavato, possa ritenersi ancora pendente, non essendovi più alcuna attività da espletare né altri beni ancora sottoposti a pegno e da vendere in lotti successivi.
Ulteriore argomento a sostegno di questa conclusione si ritiene possa anche trarsi dall’art. 576 del c.p.c., relativo al contenuto del provvedimento che dispone la vendita, il quale prevede che il giudice dell’esecuzione, già nel momento stesso in cui ordina l’incanto, stabilisce, sentito quando occorre un esperto, se la vendita dovrà farsi o meno in uno o più lotti; la mancanza di una tale previsione si ritiene che possa essere più che sufficiente per escludere che la procedura esecutiva debba ritenersi ancora aperta per proseguire con la vendita di ulteriori lotti (mai pignorati!).


carmelo oliverio chiede
mercoledì 09/03/2011 - Calabria
“Volevo cortesemente sapere se anche nel corso del processo esecutivo il creditore è obbligato a trascrivere la rinnovazione dell'ipoteca?
il caso specifico è che ho un'ipoteca iscritta nel 1989 processo esecutivo ancora in corso, si è venduto il primo bene ed oggi si procede alla ripartizione del ricavato,il mio dubbio è che essendoci un secondo bene, già venduto, ora si procederà alla ripartizione del ricavato dello stesso, ma potrebbe influire il fatto che non ho provveduto alla rinnovazione dello stesso? oppure, come spero, il processo esecutivo interrompe gli effetti della prescrizione della rinnovazione?
Vi ringrazio per la disponibilità