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Articolo 2552 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Diritti dell'associante e dell'associato

Dispositivo dell'art. 2552 Codice Civile

La gestione dell'impresa o dell'affare spetta all'associante.

Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l'associato sull'impresa o sullo svolgimento dell'affare per cui l'associazione è stata contratta [2186].

In ogni caso l'associato ha diritto al rendiconto [263] dell'affare compiuto, o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno [2261, 2320].

Ratio Legis

L'elemento caratterizzante il rapporto di lavoro subordinato e che lo distingue da ogni altra tipologia di rapporto è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

Spiegazione dell'art. 2552 Codice Civile

L'associazione in partecipazione, nella quale l'apporto dell'associato, avendo carattere strumentale all'esercizio dell'impresa o per lo svolgimento dell'affare dell'associante, può essere di qualsiasi natura e consistere anche nella prestazione di un'attività lavorativa (senza vincolo di dipendenza), non resta esclusa dal patto che attribuisca al primo un potere di controllo, ove la conduzione dell'impresa o dell'affare e la conseguente responsabilità verso i terzi rimangano a carico del secondo (Cass. n. 2016/1993). La disposizione di cui al primo comma dell'art. 2552, che, in tema di associazione in partecipazione, prevede, di regola, che la gestione dell'impresa spetti all'associante, è derogabile, potendo il contratto affidare all'associato poteri di gestione sia interna che esterna, sempre che egli ripeta i propri poteri dall'associante (Cass. n. 1191/1997). Il contratto di cointeressenza — sia nella forma «propria», caratterizzata dalla partecipazione del cointeressato agli utili e partecipazione del cointeressato agli utili e alle perdite della impresa dell'associante, senza il corrispettivo di un determinato apporto; sia nella forma «impropria», caratterizzata da tale apporto, ma con esclusione del cointeressato alla partecipazione alle perdite — si differenzia dal contratto di società per la mancanza di un autonomo patrimonio comune, risultante dai conferimenti dei singoli soci, e per l'assenza di una gestione in comune dell'impresa che è esercitata, anche nei rapporti interni, dal solo associante, cui compete di svolgere ogni attività relativa all'impresa stessa secondo la propria libera Determinazione, con l'assunzione della responsabilità esclusiva verso i terzi; mentre il cointeressato può esercitare eventualmente — ove sussista apposito patto e nei limiti in esso fissati — soltanto un controllo sulla gestione dell'impresa della quale resta dominus l'associante (Cass. n. 3442/1985).

Il potere di controllo eventualmente attribuito all'associato dal contratto può implicare anche un'attività di gestione interna, più o meno estesa secondo le modalità pattuite, ma, perché l'istituto resti nell'ambito delle proprie sostanziali caratteristiche, occorre che tale potere sia esercitato in funzione di mera collaborazione alla preminente determinazione volitiva dell'associante (Ferri). Sul punto, si ritiene senz'altro ammissibile che il contratto sancisca l'obbligo dell'associante di dare notizia all'associato medesimo di esaminare i documenti relativi all'amministrazione o di avere rendiconti con periodicità più ravvicinata di quella legale (Ferri). Il rendiconto, a cui l'associato ha diritto anche quando il contratto non gli attribuisca alcun potere di controllo, è costituita da un prospetto di ciò ogniqualvolta che l'attività dedotta nel contratto di associazione sia rappresentata da uno o più singoli affari, anche se gestiti nell'ambito di una maggiore impresa (Guglielmucci). Quando viceversa l'associazione in partecipazione riguarda impresa, il rendiconto coincide con la sezione del bilancio che dimostra risultati dell'esercizio (conto economico), atteso che la associato al diritto agli utili di esercizio e non di bilancio: ne consegue che l'eventuale prelievo degli utili per destinarli alle riserve, ivi compresa la riserva legale, non grava sull'associato (Minervini). Secondo una parte della dottrina, non basterebbe il prospetto contabile, ma occorrerebbe allegare una relazione illustrativa dei fatti rilevanti e delle modalità della gestione con relative pezze d'appoggio (De Acutis).

In un contratto di associazione in partecipazione in cui sia prevista la corresponsione all'associato di una percentuale degli utili dell'impresa, può costituire inadempimento grave dell'associante la mancata tenuta della contabilità prevista dal contratto stesso per consentire all'altra parte il controllo degli introiti, anche se per la natura e le dimensioni dell'impresa, non sussista l'Obbligo legale della tenuta di libri e scritture contabili (Cass. n. 96/1970). Nel contratto di associazione in partecipazione se vi sia stata tra le parti — alla cessazione dell'impresa o al compimento dell'affare — la liquidazione delle pendenze fino a quel momento, il rapporto non può dirsi esaurito se vi sia la possibilità di sopravvenienze attive o passive, dipendenti dalla natura stessa dell'affare; in tal caso ogni singola sopravvenienza va considerata come diritto di credito singolo che può essere azionato appena nasce e da tale epoca decorre quindi la prescrizione decennale (Cass. n. 226/1974). In tema di associazione in partecipazione, il rendimento del conto non è l'unico, né il principale adempimento dovuto dall'associante all'associato, sicché, il mancato rendimento del conto non comporta, necessariamente e qualunque sia concretamente la tua importanza, la risolvibilità del contratto, trovando applicazione il criterio dell'art. 1455 (Cass. n. 8027/2000).


Massime relative all'art. 2552 Codice Civile

Cass. civ. n. 20159/2022

In tema di associazione in partecipazione, l'autonomia che, di regola, si accompagna alla titolarità esclusiva dell'impresa e della gestione da parte dell'associante trova limite sia nell'obbligo del rendiconto ad affare compiuto o del rendiconto annuale della gestione che si protragga per più di un anno, ex art. 2552, comma 3, c.c., sia, in corso di durata del rapporto, nel dovere generale di esecuzione del contratto secondo buona fede, che si traduce nel dovere specifico di portare a compimento l'affare o l'operazione economica entro il termine ragionevolmente necessario a tale scopo; ne consegue che, alla stregua dei principi generali sulla risoluzione dei contratti sinallagmatici per inadempimento, applicabili all'associazione in partecipazione, l'inerzia o il mancato perseguimento da parte dell'associante dei fini cui l'attività d'impresa o di gestione dell'affare è preordinata determina un inadempimento che, quando si protragga oltre ogni ragionevole limite di tolleranza può, perciò, secondo l'apprezzamento del giudice del merito, dar luogo all'azione di risoluzione del contratto, secondo le regole indicate negli artt. 1453 e 1455 c.c.

Cass. civ. n. 20189/2015

Nell'associazione in partecipazione, ancorché la disciplina dell'art. 2552 c.c. sia derogabile, l'associante non può restare esonerato da ogni perdita, ossia dal rischio di impresa, in contrasto con l'art. 2549 c.c.

Cass. civ. n. 8027/2000

In tema di associazione in partecipazione, il rendimento del conto non è l'unico, né il principale adempimento dovuto dall'associante all'associato; sicché, il mancato rendimento del conto non comporta, necessariamente e qualunque sia concretamente la sua importanza, la risolvibilità del contratto, trovando applicazione il criterio dell'art. 1455 c.c. (La Suprema Corte ha così confermato la sentenza che, valutati gli addebiti mossi all'associante alla luce del complessivo comportamento delle parti, era pervenuta alla conclusione che, nell'economia generale del rapporto, la tenuta di una contabilità incompleta ed il mancato formale invio dei rendiconti annuali non rappresentavano inadempimento idoneo a giustificare la risoluzione del contratto per responsabilità dell'associante).

Cass. civ. n. 1191/1997

La disposizione di cui al primo comma dell'art. 2552 c.c., che, in tema di associazione in partecipazione, prevede, di regola, che la gestione dell'impresa spetti all'associante, è derogabile, potendo il contratto affidare all'associato poteri di gestione sia interna che esterna, sempre che egli ripeta i propri poteri dall'associante.

Cass. civ. n. 2715/1996

Nel contratto di associazione di partecipazione l'autonomia che, di regola, si accompagna alla titolarità esclusiva dell'impresa e della gestione da parte dell'associazione trova limitazione sia nell'obbligo del rendiconto ad affare compiuto o del rendiconto annuale della gestione che si protragga per più di un anno (art. 2552, comma terzo, c.c.), sia, in corso di durata del rapporto, nel dovere generale di esecuzione del contratto secondo buona fede che si traduce nel dovere specifico di portare a compimento l'affare o l'operazione economica entro il termine ragionevolmente necessario a tale scopo. Ne consegue che, alla stregua dei principi generali sulla risoluzione dei contratti sinallagmatici per inadempimento — applicabili all'associazione in partecipazione — l'inerzia o il mancato perseguimento da parte dell'associante dei fini, cui l'attività d'impresa o di gestione dell'affare è preordinata determina inadempimento quando, secondo l'insindacabile apprezzamento del giudice di merito, si protragga oltre ogni ragionevole limite di tolleranza e può, perciò, dar luogo all'azione di risoluzione del contratto secondo le regole indicate negli artt. 1453 e 1454 c.c.

Cass. civ. n. 926/1996

Nell'associazione in partecipazione, inquadrabile nella categoria dei contratti di collaborazione, e che prevede il conseguimento di un risultato comune attraverso l'apporto dei partecipanti, il diritto agli utili spettanti all'associato ha carattere periodico, in mancanza di diversa pattuizione, dovendo essere riferito agli utili di esercizio, e sorge indipendentemente dalla presentazione del rendiconto, che rappresenta unicamente l'espressione numerica di parametri convenzionalmente stabiliti, per mezzo dei quali è possibile quantificare la misura degli utili suddetti; ne consegue che, qualora il rendiconto non venga offerto, o sia ritenuto inadeguato o insoddisfacente, ben può l'associato agire per ottenere giudizialmente, in base al contratto, l'accertamento della misura del proprio credito.

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