Si tratta di
norma eccezionale che non consente ad una società di capitali di scegliere liberamente la
denominazione.
È necessario indicare il nome e cognome o, almeno, l'iniziale del nome e il cognome, di un
accomandatario. La sigla non è idonea a identificare il socio.
Lo
statuto può prevedere l'inserimento anche di elementi di fantasia, essendo meritevole l'interesse dell'impresa a personalizzarsi per distinguersi nel mercato.
Nell'ipotesi in cui l'accomandatario, il cui nome compaia nella denominazione, cessi di essere tale, per recesso, morte, perdita della qualità, il nome può continuare ad essere conservato nella denominazione.
Parte della dottrina ritiene che non sia necessario aggiungere un ulteriore nome di altro socio accomandatario. Altra parte della dottrina ritiene che, per rispettare la
ratio della norma, la presenza del nome di un accomandatario nella denominazione sia requisito indispensabile.
È dubbio se sia necessario il consenso dell'ex accomandatario o dell'erede all'uso del nome. La tesi affermativa sostiene che non possano essere violati diritti dei terzi,
ordine pubblico,
buon costume o
norme imperative. La tesi negativa afferma che non sia necessario il consenso in quanto prevale l'interesse della società a mantenere il proprio nome.
La denominazione che non includa il nome di un accomandatario non è causa di nullità della s.a.p.a., ma integra un'ipotesi di irregolarità per incompletezza della denominazione.
Il terzo ingannato dalla denominazione può far valere la responsabilità aquiliana di cui all'art.
2043.
La denominazione è tutelata come quella della s.p.a.