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Articolo 2326 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Denominazione sociale

Dispositivo dell'art. 2326 Codice Civile

La denominazione sociale(1) [2328, n. 2], in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società per azioni [2292, 2314, 2414, n. 1, 2453, 2515, 2567].

Note

(1) La denominazione sociale assolve ad una duplice funzione: contraddistinguere sia il soggetto di diritto ("nomen") sia l'attività imprenditoriale esercitata attraverso la società (ditta), in modo tale che, laddove intervenga una scissione delle suddette nozioni, le stesse troveranno tutela rispettivamente negli artt. 6 e 7 e negli artt. 2564 e 2567.

Ratio Legis

La denominazione sociale ha la funzione di individuare la società come soggetto di diritto e, quindi, prescinde dall'attività in concreto svolta e dall'oggetto sociale, che può mutare nel corso della sua attività senza che ciò comporti mutamento della sua soggettività.

Spiegazione dell'art. 2326 Codice Civile

La denominazione sociale può essere formata liberamente purché non crei confusione con quella prescelta da altra società.
Si ritiene possibile indicare nello statuto la denominazione per esteso e la relativa sigla. Non si ritiene possibile indicare più denominazioni o sigle alternative.
La scelta della denominazione sociale è libera nel rispetto dei limiti posti dall'ordine pubblico e dal buon costume e, inoltre, non deve essere contraria a specifiche norme di legge.
La denominazione sociale non coincide necessariamente con la ditta, infatti la denominazione corrisponde al nome civile dell'imprenditore, mentre la ditta caratterizza l'imprenditore individuale. Ne consegue che una s.p.a che acquisti un'azienda, caratterizzata da una ditta, potrà continuare a vendere i prodotti utilizzando la ditta, pur mantendendo la propria denominazione sociale (GENGHINI).
Pur essendovi opinioni contrastanti in dottrina, parte della giurisprudenza ha affermato che sia possibile inserire nella denominazione sociale il nome di un soggetto estraneo alla società. Chi sostiene la tesi negativa, richiama il principio di verità in base al quale la denominazione non deve trarre in inganno il pubblico perché il terzo non fa parte della compagine societaria.
Secondo la tesi positiva, invece, l'inserimento nella denominazione sociale del nome di un soggetto terzo non imprenditore è legittimo, purché questi l'abbia preventivamente autorizzato. Viceversa senza autorizzazione del terzo, si avrebbe una violazione delle norme sul diritto al nome (Cassazione 16 luglio 2003 n. 11129).
Vi sono leggi speciali che disciplinano alcune tipologie di denominazione.
Relativamente alle Case di cura "Nelle società aventi per oggetto la gestione di case di cura, la denominazione sociale deve contenere l'indicazione "Casa di Cura Privata", ex art. 51 legge 132/1968, ed è fatto divieto di usare l'aggettivo internazionale" (Comitato Triveneto dei Notai, massima C.A.2).
Relativamente alle Banche "I soggetti diversi dalle banche non possono utilizzare nella denominazione sociale le parole "banca", "banco", "credito", "risparmio" e simili, a meno che la Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 133 della legge bancaria, non autorizzi espressamente l'uso di dette parole" (Comitato Triveneto dei Notai, massima C.A.3).

Massime relative all'art. 2326 Codice Civile

Cass. civ. n. 16163/2015

La denominazione sociale è il nome necessario di una società di capitali e può essere, pertanto, distinta dalla ditta che, invece, individua l'impresa. Ne consegue che una società di capitali può utilizzare diverse ditte per identificare le sue diverse attività imprenditoriali purché, nel rispetto del principio di verità imposto dall'art. 2563 c.c., vi sia una connessione con la denominazione sociale.

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