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Articolo 2278 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Poteri dei liquidatori

Dispositivo dell'art. 2278 Codice Civile

I liquidatori possono compiere gli atti necessari per la liquidazione e, se i soci non hanno disposto diversamente, possono vendere anche in blocco i beni sociali [2280](1) e fare transazioni e compromessi [1965; 806, 807, 808, 809 c.p.c.].

Essi rappresentano la società anche in giudizio [2266; 75 c.p.c.](2).

Note

(1) Quando nel patrimonio della società non vi sono liquidità (es.: denaro) sufficienti a pagare tutti i debiti sociali, si procede alla vendita dei beni sociali.
(2) I liquidatori possono rappresentare la società in tutti i procedimenti che si svolgono dinanzi ad un giudice.

Ratio Legis

La norma delimita i poteri sostanziali e processuali attribuiti ai liquidatori, ove nominati, sui quali graverà l'obbligo di compiere tutti gli atti necessari ai fini della conversione dei beni in denaro e del pagamento dei creditori.

Spiegazione dell'art. 2278 Codice Civile

Il compito attribuito ai liquidatori si sostanzia nella conversione del patrimonio sociale in denaro e nella successiva soddisfazione dei crediti vantati dai terzi nei confronti della società. A tal fine i liquidatori potranno e dovranno compiere qualsiasi atto che sia funzionale alla conservazione del valore del patrimonio e alla sua successiva conversione in denaro, potendo procedere anche alla vendita in blocco dei beni sociali o atransigerecontroversie pendenti.

I liquidatori non possono al contrario decidere in merito a “nuove operazioni” di natura imprenditoriale che non siano strumentali ad un ordinato esaurimento del procedimento di liquidazione (v. art. 2279).

Ad ogni modo, la valutazione in merito alla necessità del singolo atto è lasciata al singolo liquidatore, il quale risponde nei confronti dei soci solo in caso di attività colpose o dolose.

Un altro potere strettamente connesso a quello gestorio proprio degli amministratori è quello di rappresentanza sostanziale e processuale.

Massime relative all'art. 2278 Codice Civile

Cass. civ. n. 10555/2001

Poiché la cancellazione dal registro delle imprese non produce l'estinzione della societą fino a quando non siano liquidati tutti i rapporti derivati dall'attivitą sociale ad essa connessi, la legittimazione ad impugnare con l'appello la sentenza emessa nei confronti della societą, in liquidazione, compete ai liquidatori ai quali spetta la rappresentanza, anche in giudizio, dell'ente.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2278 Codice Civile

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Pietro M. chiede
mercoledģ 30/05/2018 - Sardegna
“Fu nominato un liquidatore dandomi come consenziente (art. 2272 C.C.,n.3), mentre dagli atti risultavo contrario. Infatti successivamente il successivo presidente del tribunale revocò la nomina del liquidatore dichiarandola ABNORME, dato il mio documentato dissenso. Inoltre non fu citato in giudizio il curatore speciale già nominato. Da un socio di minoranza fui citato in giudizio solo io socio di maggioranza ma sospeso dalla carica di amministratore per cui non potevo rappresentare la società, che avrebbe dovuto essere rappresentata in giudizio dal curatore speciale, poi nominato come liquidatore. L'altro socio di minoranza si presentò in udienza senza avvocato. In una società di persone il presidente del tribunale può nominare il liquidatore solo se tutti i soci sono d'accordo. E' stato violato il principio del contraddittorio perché la società era assente in quanto non citata in giudizio tramite il curatore speciale, non potendo la presenza di tutti i soci (uno senza assistenza legale) equivalere alla citazione in giudizio della società litisconsorte necessaria essendo i soci in dissenso tra loro e pertanto impossibilitati a rappresentare una volontà univoca della società? Deve considerarsi nulla la nomina del liquidatore con il suo operato sino alla vendita di cui è stata chiesta la nullità o annullamento? La nullità della nomina del liquidatore rende inefficace l'eventuale buona fede dell'acquirente? Se è mancato il contraddittorio con la società la nomina del liquidatore non dovrebbe avere alcun effetto per la società. NOn ho trovato in tribunale e in Corte d'Appello un giudice che abbia accolto la nullità o annullamento della vendita perché è stato impiegato l'art. 742 c.p.c. considerando il liquidatore e l'acquirente in buona fede, mentre erano in documentata malafede. Può la nullità assoluta della nomina del liquidatore superare l'ostacolo della buona fede in Cassazione in base all'art. 101 c.p.c. secondo cui, in base alla giurisprudenza della Cassazione anche in sede di volontaria giurisdizione vale il principio del contraddittorio per cui non ha effetto il provvedimento nei confronti della parte non sentita (la società, litisconsorte necessaria) ?

Fui reintegrato nella carica di amministratore dalla Corte d'Appello quando era già avvenuta la vendita. Dunque cadeva l'unico motivo per cui era stato richiesto strumentalmente da un socio di minoranza la nomina del liquidatore, cioè il fatto che fossi stato sospeso e revocato dalla carica di amministratore. Purtroppo la reintegra avvenne dopo la vendita. Doveva il liquidatore attendere che si concludesse il giudizio riguardante la mia revoca invece di procedere alla vendita senza attendere il prosieguo del giudizio in Corte d'Appello che dichiarò nulla la sentenza con cui ero stato revocato dalla caricadi amministratore? Ho trovato dei giudici che hanno scritto che il liquidatore non era tenuto ad attendere il prosieguo del giudizio in Corte d'Appello. Ma il giudizio è unico, anche se sono previsti tre gradi del giudizio”
Consulenza legale i 07/06/2018
Ci dice che la sentenza d’appello è passata in giudicato. Ciò vuol dire che sono decorsi i termini per poter proporre ricorso per cassazione.
I termini sono i seguenti:
  • 60 giorni dalla notifica della sentenza, oppure
  • 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza.
Se tali termini sono decorsi, il ricorso non è più proponibile.

La sentenza passata in giudicato, infatti, è ormai definitiva e non può più essere messa in discussione, ma la legge fa salvi alcuni casi eccezionali.

Uno di questi casi è la revocazione straordinaria.
La sentenza passata in giudicato può essere impugnata per revocazione straordinaria se:
  • è l’effetto del dolo di una delle parti;
  • le prove su cui si è deciso sono state dichiarate false;
  • dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;
  • è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

Nel suo caso escludiamo, innanzitutto, l’ultima ipotesi, cioè il dolo del giudice, e passiamo ad analizzare le altre.


Il dolo delle parti deve consistere “in un’attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale. Di conseguenza, non sono idonei a realizzare la fattispecie descritta la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità” (Cass. Civ., Sez. I, 10 aprile 2012, n. 5648).

Da quello che scrive non sembra sia stato violato il diritto di difesa.

Per quanto riguarda la dichiarazione di falsità delle prove deve avvenire con sentenza (penale o civile) passata in giudicato anteriormente alla proposizione dell’istanza di revocazione, con la conseguenza che è inammissibile l’impugnazione basata sulla falsità di un documento da accertarsi nel corso di quello stesso giudizio. Tale aspetto è stato confermato da una sentenza della Cassazione (sent. n. 11404 del 01/06/2016) secondo cui non è possibile la revocazione della sentenza se le prove sulle quali si è giudicato, ritenute false, non siano state già giudicate tali da una pronuncia passata in giudicato, in sede civile o penale, prima che sia presentata l’istanza che lamenta l’errore.

L’ultima ipotesi è il rinvenimento di documenti decisivi. In tal caso è necessario che lei si sia trovato nell’impossibilità di produrre il documento asseritamente decisivo nel giudizio di merito, incombendo su di lei - in quanto sarebbe parte attrice nel relativo giudizio - l’onere di dimostrare che l’ignoranza dell’esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell’assegnazione della causa a sentenza non era dipeso da colpa o negligenza, ma dal fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore. (Cass. n. 735 del 16 gennaio 2008).

Ci sembra che nel suo caso non vi siano i presupposti per proporre la revocazione.

Analizziamo ora, invece, le ipotesi possibili nel caso in cui la sentenza non sia già passata in giudicato.

Innanzitutto la nomina del liquidatore effettuata dal presidente del tribunale quando i soci non sono d’accordo, è valida.
Il liquidatore può essere revocato da tutti i soci o dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci, ma fino al momento della revoca la nomina del liquidatore e gli atti da esso compiuti restano validi.
La valutazione in merito alla necessità del singolo atto è lasciata al singolo liquidatore, il quale risponde nei confronti dei soci solo in caso di attività colpose o dolose.

A questo punto è fondamentale chiarire che la Cassazione è giudice di legittimità e non di merito e i motivi per cui si può proporre ricorso sono i seguenti (art. 360 c.p.c.):

1) per motivi attinenti alla giurisdizione;
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
4) per nullità della sentenza o del procedimento;
5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Nel suo caso potrebbe proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 3:
- per violazione dell’art. 101 c.p.c., in quanto la società è litisconsorte necessaria e, quindi, è stato violato il principio del contraddittorio.