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Articolo 1845 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Recesso dal contratto

Dispositivo dell'art. 1845 Codice Civile

Salvo patto contrario, la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa [1186](1).

Il recesso sospende immediatamente [1565] l'utilizzazione del credito(2), ma la banca deve concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori(3).

Se l'apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni.

Note

(1) Ad esempio, il venir meno o la diminuzione della garanzia in caso di apertura di credito garantita (1844 c.c.) ovvero la condotta dell'accreditato, come in caso di suo continuo ritardo nel versare il compenso alla banca.
(2) Più precisamente, fa venir meno la disponibilità della somma.
(3) Gli accessori sono costituiti dal compenso cui la banca ha diritto e dalle eventuali spese.

Ratio Legis

Se il rapporto è a tempo indeterminato il diritto di recesso risponde al principio, di ordine generale, per cui i rapporti obbligatori non possono vincolare le parti senza limiti di tempo (v. 1373 c.c.); se è a termine è comunque ammesso se vi è una giusta causa. Il legislatore, tuttavia, considera anche la posizione dell'accreditato ed, infatti, gli concede un termine per la restituzione delle somme date a fido.

Spiegazione dell'art. 1845 Codice Civile

Recesso dal contratto ed obbligo di preavviso

Sostanzialmente le norme riunite in questo articolo, come quelle poste negli articoli precedenti, non sono altro che la codificazione di usi e di convenzioni bancarie. Il contratto di apertura di credito si estingue con la scadenza del termine prestabilito e la banca non può dirsi per l’accreditato data la natura unilaterale del contratto. Si è visto come la mancata utilizzazione del credito non costituisca recesso dal contratto, ed implichi in ogni caso il pagamento della provvigione.

Dato che l’apertura di credito, per quanto non negozio fiduciario in senso vero e proprio, è un contratto ispirato e fondato sul presupposto della fiducia personale che la banca ripone nel cliente, ogni causa che porta a una sostanziale modificazione di tale elemento deve essere considerato quale giusta causa per la richiesta della banca di risoluzione del contratto. Saranno così giusta causa per il recesso anticipato dal contratto, tanto la morte del soggetto accreditante, quanto la sua mutata capacità, quanto ancora l’intervento del dissesto di lui o la dichiarazione di fallimento, e in genere tutte quelle circostanze giuridiche o economiche che possono venire a diminuire la fiducia, in quanto modificano la situazione economica dell’accreditato in modo da aggravare il rischio dell’accreditante.

La dottrina precedente ammetteva che, ove non fosse fissato un termine per la durata, spettasse all’autorità giudiziaria la fissazione di questo elemento del rapporto, concedendo all’accreditato una dilazione, secondo le circostanze, in base alle legittime e ragionevoli aspettative di utilizzazione da parte sua.

Oggi la legge stabilisce espressamente quelli che sono gli effetti specifici dell’estinzione del rapporto, tanto in ordine al recesso anticipato della banca, quanto in ordine alla fissazione della fine del rapporto in caso di mancata fissazione del termine di durata.

Il recesso produce, una volta manifestato secondo quelle che in pratica sono da considerare forme usuali in mancanza di pattuizione di forme esplicite, la sospensione del rapporto, escludendo per l’accreditato ogni possibilità di utilizzazione del credito. Il legislatore ha voluto però che alla cessazione del diritto all’utilizzazione non corrispondesse totalmente l’obbligo dell’accreditato di procedere all’estinzione del suo debito eventuale e al pagamento della provvigione e degli interessi. A questo proposito l’espressione della norma è poco precisa ed infelice in quanto parla di restituzione degli accessori, mentre per questi ultimi, riferendosi alla provvigione e agli interessi e non a quanto è stato dato dalla banca al cliente per l’espletamento della propria promessa, si deve parlare di pagamento e non di restituzione, a meno che con il termine accessori non si sia voluto indicare, sempre impropriamente, i documenti per l’utilizzazione del credito.

La restituzione non potrà essere pretesa se non almeno dopo il decorso di 15 giorni dalla data della disdetta del contratto, per permettere all’accreditato debitore di provvedere a quanto è necessario per far fronte al proprio obbligo, dato che un improvviso e simultaneo adempimento alla disdetta si presenta in pratica oltre che difficile spesso quasi impossibile.

Il medesimo principio è sancito dal legislatore a proposito dell’apertura di credito a tempo indeterminato. Ove niente risulti dalla convenzione e dagli usi in ordine all’obbligo di avviso, e in questo caso, obbligo reciproco per i contraenti, è fatto obbligo a entrambi di dare l’avviso per la cessazione del rapporto, rimanendo però essi per le rispettive obbligazioni vincolati per un periodo di 15 giorni.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1845 Codice Civile

Cass. civ. n. 5746/2022

In ragione della nozione lata di credito di cui all'art. 2901 c.c. (comprensiva della mera aspettativa, e dunque anche del credito eventuale), l'azione revocatoria può essere proposta dalla banca che sia receduta da un contratto di apertura di credito senza rispettare il termine di cui all'art. 1845, comma 2, c.c., spettando al debitore che contesti la sussistenza del credito, in considerazione dell'arbitrarietà del recesso senza giusta causa, dimostrare che il rispetto del suddetto termine gli avrebbe consentito il pagamento, in modo da evitare la revoca degli affidamenti.

Cass. civ. n. 29317/2020

In tema di apertura di credito in conto corrente a tempo indeterminato, è legittimo il recesso "ad nutum" della banca, se anticipato da una comunicazione al cliente con congruo preavviso, posto che tale facoltà è espressamente prevista dall'art. 1845, comma 3, c.c. e il suo esercizio non entra in conflitto con il principio generale di buona fede, sancito dall'art. 1375 c.c., allorquando il debitore abbia ripetutamente, e in modo del tutto ingiustificato, superato il limite di affidamento concesso. Né l'inerzia della banca di fronte a tali comportamenti può essere intesa come implicita autorizzazione all'innalzamento del limite dell'apertura di credito, costituendo piuttosto un atteggiamento di mera tolleranza, in attesa del corretto adempimento da parte del correntista dell'obbligo di rientrare dall'esposizione non autorizzata.

Cass. civ. n. 17291/2016

Il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell'affidamento concesso, benché pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa, deve considerarsi illegittimo, in ragione di un'interpretazione del contratto secondo buona fede, ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, contrastando, cioè, con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale di quelli in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e non sia, dunque, pronto alla restituzione, in qualsiasi momento, delle somme utilizzate. Il debitore il quale agisce per far dichiarare l'arbitrarietà del recesso ha l'onere di allegare l'irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale così come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti.

Cass. civ. n. 17090/2008

Nel regime previgente all'entrata in vigore dell'art. 3 della legge 17 febbraio 1992 n. 154, il quale ha imposto l'obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca, consistente nel pagamento di assegni emessi dal cliente senza copertura; conseguentemente, allorché in quel regime normativo fosse stato tacitamente stipulato un contratto di apertura di credito ed un fido di negoziazione di assegni, il relativo recesso, intervenuto prima dell'entrata in vigore della normativa citata, non richiedeva la forma scritta, potendo essere valida la semplice comunicazione anche verbale della banca al cliente, relativa all'intenzione di recedere dai contratti.

Cass. civ. n. 6186/2008

Il recesso dal contratto di apertura di credito costituisce una facoltà riconosciuta dall'art. 1845 c.c., sicché risulta adeguatamente motivato anche attraverso il mero richiamo a quella norma; è invece la parte che assume l'illegittimità del recesso (ad esempio per arbitrarietà e contrarietà al principio di buona fede) che ha l'onere di enunciarne le ragioni e di fornire la relativa prova nel caso concreto.

Cass. civ. n. 8711/2006

In tema di contratti bancari, la circostanza che le operazioni connesse ad un contratto di apertura di credito vengano eseguite in conto corrente non privano il contratto di conto corrente bancario della sua autonomia: con la conseguenza che il recesso della banca dall'apertura di credito, operato in base ad una clausola contrattuale che consenta tale recesso anche in difetto di giusta causa, mentre non implica necessariamente il recesso dall'altro contratto, giustifica solo il rifiuto di pagare gli assegni del cliente, pervenuti successivamente, sulla base dell'affidamento revocato, ma non costituisce, in costanza di contratto di conto corrente di corrispondenza, valida ragione per rifiutare al correntista di effettuare il deposito della provvista occorrente per il pagamento di essi. Quest'ultimo comportamento — se posteriore al recesso dall'apertura di credito e come tale ininfluente nella valutazione della non arbitrarietà dello stesso — va pertanto valutato distintamente; alla luce del principio di buona fede, al fine di stabilire se, nel bilanciamento dei contrapposti interessi contrattuali, vi siano validi motivi per giustificare il recesso dal contratto di conto corrente senza quel preavviso che consenta al correntista di limitare i danni alla sua reputazione commerciale, al tempo stesso garantendo l'azienda di credito — con l'offerta della provvista — da qualsiasi rischio.

Cass. civ. n. 2642/2003

Nel contratto di apertura di credito bancario a tempo indeterminato, il termine previsto per il preavviso di recesso dall'art. 1845 c.c. può essere convenzionalmente stabilito dalle parti e — anteriormente alla introduzione della disciplina sui contratti del consumatore, avvenuta ad opera dell'art. 25 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 —può essere fissato in un solo giorno, salvo il rispetto della buona fede in executivis. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha anche escluso l'ammissibilità del motivo di ricorso con cui, denunciandosi vizio di motivazione, si tendeva a sostenere l'abusività in concreto del recesso come esercitato, sul rilievo che detta censura si risolveva in realtà nella richiesta di un ulteriore giudizio di merito, senza evidenziare lacune o incongruenze logiche della sentenza impugnata).

Cass. civ. n. 15066/2000

Il recesso della banca dal contratto di apertura di credito è atto recettizio, con la conseguenza che, al fine della produzione degli effetti che da esso derivano, è necessaria la prova del ricevimento della relativa dichiarazione da parte del destinatario della stessa. (Nella specie, alla stregua di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano escluso la fondatezza della richiesta di un istituto di credito - che aveva già ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento delle somme dovute a seguito della comunicazione, da parte della banca stessa ad una società che fino ad allora aveva intrattenuto con essa un rapporto di apertura di credito in conto corrente, ed al suo fideiussore, del recesso da tale rapporto, con richiesta, non adempiuta nel termine di un giorno, di rientro dalla relativa esposizione - per non essere stata raggiunta la prova del ricevimento della comunicazione relativa al recesso nel rispetto del termine in essa intimato per il rientro, non potendosi ritenere all'uopo sufficiente, di fronte alle contestazioni della controparte, la fornita dimostrazione della spedizione del telegramma contenente la dichiarazione di volontà di recedere, né la successiva comunicazione dell'amministrazione postale - che, pure, non aveva emesso alcun avviso di mancato deposito di detto telegramma concernente la impossibilità di certificare la consegna del messaggio ai destinatari, non essendo stata conservata, a distanza di tempo, la relativa documentazione).

Cass. civ. n. 14859/2000

In tema di affidamento bancario, il termine minimo di quindici giorni per la operatività del recesso dell'istituto di credito ex art. 1845, secondo comma, c.c., termine di carattere dilatorio, è previsto dalla legge a favore del debitore accreditato, onde metterlo in condizione di reperire la somma necessaria per ripianare la propria esposizione verso l'istituto stesso, con la conseguenza che prima della scadenza di detto termine il credito della banca non è esigibile, salvo nelle ipotesi di compensazione di detto credito con debiti che, a diverso titolo, l'istituto abbia verso l'accreditato, nel qual caso viene meno la necessità del rispetto del termine di cui si tratta, e la operazione di compensazione può essere eseguita allorché vengano in essere le condizioni di cui agli artt. 1242, primo comma, e 1243, primo comma, c.c. In tale ipotesi, è, altresì, irrilevante, ai fini della operatività del recesso della banca, la comunicazione dello stesso alla controparte, necessaria, invece, ove vi sia richiesta di pagamento da parte dell'istituto in relazione alle esposizioni che verso di esso abbia il cliente, in quanto tale richiesta deve essere subordinata alla concessione del predetto termine minimo di quindici giorni, il quale non può che decorrere dalla comunicazione del recesso. 

Cass. civ. n. 9321/2000

In caso di recesso di una banca dal rapporto di credito a tempo determinato in presenza di una giusta causa tipizzata dalle parti del rapporto contrattuale, il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell'ipotesi tipica di giusta causa ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate.

Cass. civ. n. 4538/1997

Alla stregua del principio secondo cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 c.c.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benché pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari. Tali connotati devono, cioè, contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali un'apertura di credito viene normalmente convenuta.

Cass. civ. n. 9307/1994

Nel contratto di apertura di credito bancario a termine la banca può recedere prima della scadenza del termine, anche in mancanza di giusta causa, se il recesso sia stato previsto dalle parti perché l'art. 1845 c.c., che ammette il recesso prima del termine solo per giusta causa, fa espressamente salvi i patti contrari stipulati dalle parti nella loro autonomia contrattuale.

Cass. civ. n. 9943/1993

Nel contratto di apertura di credito bancario, i termini che l'art. 1845 c.c. prevede per il preavviso di recesso e per il pagamento del dovuto, nonché la decadenza del termine che l'art. 1186 c.c. prevede per il caso di insolvenza del debitore o di diminuzione delle garanzie, essendo diretti a tutelare unicamente, rispettivamente, l'interesse del debitore e quello del creditore, possono essere convenzionalmente derogati dalle parti.

Quando le parti di un contratto (nella specie, apertura di credito regolata in conto corrente) convengono che una comunicazione debba avvenire mediante raccomandata, perché la comunicazione, che è atto unilaterale recettizio al quale, in difetto di diversa pattuizione, si applica la disciplina prevista dagli artt. 1334 e 1335 c.c., produca effetti non è sufficiente che la raccomandata sia spedita, occorrendo invece che essa pervenga a conoscenza del destinatario (art. 1334 c.c.) oppure che essa possa presumersi da questo conosciuta (art. 1335 c.c.).

Cass. civ. n. 1381/1987

Qualora la banca comunichi al cliente la revoca di un'apertura di credito a tempo indeterminato, avvalendosi di clausola del relativo contratto che escluda il preavviso, o comunque lo riduca ad un termine così limitato da implicare sostanzialmente l'immediata insorgenza per l'accreditato del debito di restituzione, e contestualmente eserciti la facoltà di soddisfare le proprie ragioni tramite compensazione con saldo attivo di deposito con convenzione di assegno (art. 1853 c.c.), la banca medesima può far carico al cliente di ripristinare la provvista su detto deposito senza concessione di alcun termine (restando in difetto esonerata dall'obbligo di pagare gli assegni in precedenza emessi in situazione di regolare copertura), solo in presenza di un espresso patto contrattuale. Tale patto, introducendo un recesso senza preavviso dalla convenzione d'assegno, abbisogna se contenuto in condizioni generali di contratto, di specifica approvazione per iscritto, a norma dell'art. 1341, secondo comma, c.c.

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