Provenienza illegittima della res deposita
La scienza del depositario, che nessun diritto vanti il depositante sulla res deposita e che questa appartenga invece ad un terzo, non assume, alcuna rilevanza: il depositario non è obbligato ad avvertire il terzo, né tanto meno legittimato a rifiutare la restituzione al depositante. In una sola ipotesi la scienza della condizione giuridica della cosa produce conseguenze del genere: quando sia conoscenza della provenienza della cosa da un reato, ed il depositante conosca la vittima di esso. In tal caso il depositario deve, evidentemente sotto pena del risarcimento del danno, denunciare a quest'ultima il deposito ed astenersi dalla restituzione al depositante per lo spazio di dieci giorni (liberi: cfr. articoli 1187 e 2963) dalla fatta denuncia; decorso il quale, senza che il terzo abbia instaurato l'azione giudiziaria con gli effetti di cui al cpv. dell'art. 1777, la cosa deve essere restituita al depositante che ne abbia fatta richiesta, senza ulteriore responsabilità del depositario verso il derubato.
Questa disposizione dell'art. 1778 è fondata su ragioni di ordine pubblico, alle quali tuttavia riconosce una ben limitata virtù derogatoria dell'efficacia contrattuale del deposito, infatti né il depositario può senz'altro restituire la cosa al derubato, né rifiutare definitivamente la restituzione al depositante, anche se questi è l'autore del reato. Egli deve soltanto eccitare l'azione giuridica dell'avente diritto e sospendere la restituzione per un breve termine, ritenuto congruo all'inizio dell'azione medesima. In sede di lavori preparatori era stato proposto, come più adeguato alla tutela dell'ordine pubblico, di escludere in ogni caso la restituzione al depositante, dichiarandosi invece espressamente obbligato il depositario, oltre che alla denuncia del deposito, a denunciare il reato ai sensi dell'art. 709 cod. pen., e ad astenersi dalla restituzione al depositante. Ma, anzitutto, la piena deroga all'obbligo di restituzione sarebbe stata giustificata solo nell'ipotesi in cui autore del reato fosse lo stesso depositante, giacché, in diversa ipotesi, può ben darsi che la posizione giuridica di questi sia assolutamente inattaccabile, giusta i principi sul possesso di buona fede (art. 1153 segg.); mentre, d'altra parte, non è probabile che il depositario si procuri la conoscenza dell'esatta situazione. Inoltre, e sopratutto, si è ritenuto di tener ferma l'efficacia del contratto tra le parti, e il punto di vista così prevalso non sembra criticabile, trattandosi qui di disciplinare gli effetti del contratto, mentre le esigenze d'ordine pubblico sono sufficientemente garantite dall'obbligo di denuncia al soggetto passivo del reato, il quale di regola provvederà in via civile a paralizzare l'azione contrattuale del depositante, nonché dalla concorrente applicazione delle norme del codice penale.
La fattispecie della norma in esame si verifica quando il depositario abbia l'obiettiva certezza della provenienza delittuosa della cosa; egli incorre pertanto in responsabilità contrattuale se, previa denuncia, sospenda la restituzione, in base a una convinzione personale, che risulti successivamente infondata. A giustificare la restituzione, decorso il termine di legge, basta il fatto obiettivo dell'inazione dell'intimato, essendo estraneo il depositario alle ragioni che l'abbiano determinata.
La questione, è stata risolta affermativamente in sede normativa, mediante la sostituzione all'espressione "cose rubate" di quella "provenienti da reato" comprensiva, insieme ad altre figure criminose (cfr. artt. 314 segg., 627, 629, 640, 646 cod. pen.), anche del reato di appropriazione di cose smarrite (art. 647). È poi ovvio che, se il depositario accetti il deposito conoscendo la provenienza della cosa da reato, incorre nel delitto di ricettazione (art. 648), o in contravvenzione ai sensi del successivo art. 712 del codice penale, secondo i casi.