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Articolo 231 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Paternità del marito

Dispositivo dell'art. 231 Codice Civile

Il marito è padre del figlio concepito [232] o nato durante il matrimonio [243](1).

Note

(1) Articolo così sostituito dall'art. 8, D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.

Ratio Legis

L'articolo in esame delinea la presunzione di paternità ("pater is est quem iustae nuptiae demonstrant") come criterio base nel matrimonio e nella filiazione.

Brocardi

Nomen
Pater is est, quem iustae nuptiae demonstrant
Praesumptio iuris tantum

Spiegazione dell'art. 231 Codice Civile

La presunzione (di cui all'art. 2727 del c.c.) del presente articolo opera quando vi sia un atto di nascita di figlio nato in costanza di matrimonio o, in difetto, il relativo possesso di stato, e finché l'interessato non produca giudizialmente documenti volti a dimostrare efficacemente l'infondatezza della presunzione stessa.
La filiazione in costanza di matrimonio opera quindi al ricorrere dei seguenti presupposti:
- nascita di un essere vivente;
- matrimonio valido (o quantomeno putativo);
- figlio partorito dalla donna sposata;
- concepimento in costanza di matrimonio o prima di esso qualora la nascita sia successiva alle nozze;
- il ridetto titolo di stato, ossia la dichiarazione di figlio nato in costanza di matrimonio inserita nell'atto di nascita (che avrà quindi valore determinante).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 231 Codice Civile

Cass. civ. n. 27560/2021

In tema di azioni di stato, colui che affermi di essere il padre biologico di un figlio nato in costanza di matrimonio non può agire per l'accertamento della propria paternità se prima non viene rimosso lo "status" di figlio matrimoniale con una statuizione che abbia efficacia "erga omnes", non essendo consentito un accertamento in via incidentale su una questione di stato della persona, e - pur non essendo legittimato a proporre l'azione di disconoscimento di paternità, né potendo intervenire in tale giudizio o promuovere l'opposizione di terzo contro la decisione ivi assunta - in qualità di "altro genitore", può comunque chiedere, ai sensi dell'art. 244, comma 6, c.c., la nomina di un curatore speciale, che eserciti la relativa azione, nell'interesse del presunto figlio infraquattordicenne.

Cass. civ. n. 19324/2020

L'azione di disconoscimento della paternità del marito deve essere intrapresa nei termini indicati dall'art. 244, comma 2, c.c., gravando pertanto, sull'attore, l'onere di dimostrare di avere agito entro l'anno dalla data in cui ha scoperto una condotta della donna idonea al concepimento con un altro uomo e, sui convenuti, l'onere di dimostrare l'eventuale anteriorità della scoperta. Entrambe le prove soggiacciono alla regola secondo la quale ciò che rileva è l'acquisizione "certa" della conoscenza di un fatto (una vera e propria relazione o un incontro sessuale) idoneo a determinare il concepimento, non essendo perciò sufficiente un'infatuazione o a una relazione sentimentale e neppure a una mera frequentazione della moglie con un altro uomo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che al fine di escludere la tempestività dell'azione, aveva ritenuto sufficiente la conoscenza da parte del marito delle frequentazioni della moglie).

Cass. civ. n. 4194/2018

Qualora non operi la presunzione di paternità ex art. 232 c.c. ed il figlio sia nato da genitori non uniti in matrimonio senza che ne sia successivamente intervenuto il riconoscimento, l'unica azione a disposizione del padre è quella "residuale", prevista dall'art. 248 c.c., di contestazione dello stato di figlio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che quest'ultima avesse erroneamente qualificato come disconoscimento di paternità l'azione con la quale, colui che all'anagrafe figurava essere il padre di un minore, nato dopo anni dalla pronuncia della sua separazione dalla madre e non riconosciuto, contestava la veridicità delle risultanze anagrafiche).

Corte cost. n. 162/2014

L'art. 4, comma 3, della L. n. 40 del 2004, ove si stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo anche quando necessarie per superare specifici problemi di sterilità e infertilità della coppia, nonché gli artt. 9, commi 1 e 3, limitatamente alle parole "in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3", e 12, comma 1, di detta legge, che configura appunto l'illecito amministrativo di fecondazione eterologa, sono incostituzionali per violazione degli artt. 2, 3, 29cost. art. 29, 31, 32 Cost. (libertà di autodeterminazione in ambito familiare e libertà procreativa, che comprende il diritto di ricorrere a tecniche artificiali; diritto alla salute). La limitazione di quei diritti, cui si accompagna una disparità di trattamento rispetto a coppie affette da patologie trattabili con procreazione assistita omologa, appare irragionevole perché non necessaria alla salvaguardia degli interessi del nato, dei richiedenti e del donatore di gameti, che possono essere adeguatamente garantiti da una disciplina positiva peraltro in larga misura già predisposta dall'ordinamento.

Cass. civ. n. 9379/2012

La presunzione legale di paternità di cui all'art. 231 c.c., a norma della quale il marito della madre è padre del figlio da essa concepito durante il matrimonio, può essere vinta soltanto con l'azione di disconoscimento di cui all'art. 235 c.c. e, quindi, da parte dei soggetti, nei termini e nelle condizioni all'uopo previste, ancorchè vi sia stata declaratoria di nullità del matrimonio tra i coniugi.

Corte cost. n. 31/2012

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 569 c.p., nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato, previsto dall'art. 567, secondo comma, c.p., consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto (La pronuncia è stata resa nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 569 c.p. promosso dal Tribunale di Milano con ordinanza del 31 gennaio 2011, iscritta al n. 141 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2011).

Cass. civ. n. 16093/2006

Nell'attuale quadro normativo, in cui è rinvenibile una norma di sistema — presupposta da una serie di disposizioni regolatrici di fattispecie diverse (artt. 143 bis, 236, 237, secondo comma, 266, 299, terzo comma, c.c.; 33 e 34 del D.P.R. n. 396 del 2000) — che prevede l'attribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, sia pure retaggio di una concezione patriarcale della famiglia non in sintonia con le fonti sopranazionali, che impongono agli Stati membri l'adozione di misure idonee alla eliminazione delle discriminazioni di trattamento nei confronti della donna, ma che (come avvertito anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 2006) spetta comunque al legislatore ridisegnare in senso costituzionalmente adeguato, non può trovare accoglimento la domanda dei genitori di attribuzione al figlio del cognome materno.

Cass. civ. n. 3793/2002

Nell'ipotesi di nascita per fecondazione naturale, la paternità è attribuita come conseguenza giuridica del concepimento, sicché è esclusivamente decisivo l'elemento biologico e, non occorrendo anche una cosciente volontà di procreare, nessuna rilevanza può attribuirsi al «disvolere» del presunto padre, una diversa interpretazione ponendosi in contrasto con l'art. 30 Cost., fondato sul principio della responsabilità che necessariamente accompagna ogni comportamento potenzialmente procreativo.

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Anonimo chiede
lunedì 21/05/2018 - Lombardia
“In data 1981 moglie partorisce figlia, dopo poche ore muore per rene policistico. Anno 2018: causa di separazione dalla moglie, la sorella di mia moglie mi svela un segreto che poi negherà rivelandomi che la sorella sposandomi era in cinta del suo ginecologo. Ho chiesto la cartella clinica della figlia con esito negativo, in quell'anno non esistevano. ho chiesto da 3 mesi quella della moglie mi rispondono che non riescono a trovare i documenti. un mese dopo il parto a P. eseguite analisi cromosomica sangue : Cariotipo maschile e femminile normali. Posso fare richiesta riesumazione cadavere figlia ai fini dell'ottenimento di un test / paternità?”
Consulenza legale i 28/05/2018
La disciplina relativa alle esumazioni è contenuta nel D.P.R. n. 285 del 1990, che costituisce il Regolamento di polizia mortuaria.
In base a quest’ultimo l’esumazione di una salma (ovvero la procedura con la quale vengono recuperati i resti di una salma sepolta in terra, di norma per poter procedere a successiva collocazione) si distingue in ordinaria e straordinaria.
L'esumazione ordinaria è quella che si esegue trascorsi dieci anni dall'inumazione (perché si tratta del tempo minimo/standard per la completa mineralizzazione del cadavere, anche se non è detto che sia sempre così) e viene regolata dal Sindaco. L'avvio delle esumazioni ordinarie è comunicato alla cittadinanza di riferimento almeno sei mesi prima dell'inizio, attraverso affissioni pubbliche e avvisi su almeno tre quotidiani, oltre che mediante avvisi collocati direttamente sui campi e all'ingresso dei cimiteri.

L'esumazione straordinaria è quella che viene richiesta, appunto, in via eccezionale prima del completamento del ciclo di sepoltura, ovvero prima dei dieci anni.
Possono domandare l'attivazione del servizio di esumazione straordinaria gli aventi diritto e l'Autorità Giudiziaria.
Gli aventi diritto possono avere interesse a richiederla, ad esempio, per la successiva tumulazione o per il trasporto di salma, resti ossei, o ceneri fuori Comune, oppure ancora per ristrutturazione di tomba a terra o per la per affidamento e/o dispersione delle ceneri.

Tornando al caso che ci occupa, visto il tempo trascorso dal momento della morte della bambina, ed escludendo quindi il caso dell’esumazione straordinaria, si presume che si sia già proceduto a quella ordinaria e che quindi i resti della piccola siano già stati ricollocati.
A questo punto, dunque, per poter procedere ad una riesumazione per i motivi evidenziati nel quesito si dovrà procedere, ad avviso di chi scrive, necessariamente tramite ricorso all’Autorità Giudiziaria.

Perché sussista, tuttavia, un interesse effettivo ad agire in giudizio occorrerà identificare con precisione la domanda che si vuole rivolgere al Giudice.
Non esiste, infatti, nel nostro ordinamento un’azione che sia finalizzata, nello specifico, all’accertamento della paternità (se non l'azione di dichiarazione giudiziale della paternità, alla quale però è legittimato solo il figlio): infatti, si presume (art. 231 c.c. e seguenti) che il padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio sia il marito della madre; o meglio ancora, la circostanza in questione attribuisce legalmente la paternità del figlio al marito.
A questo si aggiunge il contenuto dell’atto di nascita, ovvero la paternità si presume – oltre che nella circostanza sopra descritta– anche quando nell’atto di nascita il figlio sia stato dichiarato come figlio della coppia coniugata e abbia quindi un “titolo di stato”.

Se dunque, come nel caso di specie, quello che all’epoca della nascita era il marito e dunque padre legale del figlio vorrà mettere in discussione lo status di quest’ultimo di figlio “legittimo”, non potrà che avvalersi dell’azione di disconoscimento di paternità.
Quest’ultima (art. 243 bis bis c.c. e seguenti) può essere promossa dal marito, il quale dovrà provare che non sussiste (o non sussisteva, nel nostro caso) alcun rapporto di filiazione (biologica) tra sé ed il figlio.
Quale mezzo di prova è utilizzabile anche il test di paternità (attraverso esame del DNA), e per ottenere tale prova, evidentemente, potrebbe essere richiesto al Giudice un provvedimento che consenta la riesumazione del cadavere del figlio premorto (come nella fattispecie in esame).

Attenzione, tuttavia, che l’azione in commento è soggetta a dei termini di decadenza molto stringenti: in particolare, il marito potrà esercitare l’azione solo entro l’anno dal giorno della nascita oppure – se prova di aver ignorato l’adulterio della moglie al momento del concepimento - dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza.
Nel caso descritto nel quesito, anche se pare di capire che il termine dell’anno non sia ancora trascorso dal giorno della conoscenza del presunto tradimento, si porrebbe comunque il problema della prova dell’adulterio: infatti, non solo se l’ex moglie non era ancora sposata al momento del concepimento, tecnicamente non si potrebbe parlare di adulterio, ma soprattutto non si è neppure sicuri che la notizia del tradimento sia vera o meno.
Si usa il condizionale perché, in ogni caso, la norma precisa che l’azione di disconoscimento della paternità non può più essere promossa decorsi cinque anni dalla nascita: nel nostro caso, l’azione sarebbe quindi improcedibile perché ormai prescritta.

Non si vede, sinceramente, spazio per un diverso tipo di azione: qualunque Giudice, chiamato a decidere sulla sussistenza di un reale interesse ad agire in giudizio in capo all’ex marito che ha posto il quesito, ad avviso di chi scrive troverebbe difficoltà ad accogliere la domanda di riesumazione della salma di una bambina morta da oltre trent’anni ai fini di un disconoscimento di paternità che:
  1. non potrebbe essere effettuato attraverso l'apposita azione giudiziale, per decorrenza dei termini;
  2. non sarebbe finalizzata se non al chiarimento di un dubbio personalissimo (anche se lo stato d’animo del padre è assolutamente e pienamente comprensibile) ma non alla modifica di uno stato di diritto.
In conclusione, si può affermare che in linea teorica è senz’altro possibile chiedere la riesumazione di una salma ai fini ipotizzati, ma nel caso concreto ciò è difficilmente realizzabile, a causa del decorso del tempo e per le ragioni che sosterrebbero la richiesta.

Come nota finale, si precisa che non corrisponde a verità che nel 1981 le cartelle cliniche non esistesvano: si tratta di un documento esistente almeno dal 1969, pertanto chi ha posto il quesito ha compreso male quello che gli è stato detto oppure non è stato correttamente informato.