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Articolo 19 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 09/10/2024]

Indennità di fine rapporto

Dispositivo dell'art. 19 TUIR

1. Il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. L'imposta è applicata con l'aliquota determinata con riferimento all'anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all'importo che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici. Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l'imposta in base all'aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti.

1-bis. Se in uno o più degli anni indicati al comma 1 non vi è stato reddito imponibile, l'aliquota media si calcola con riferimento agli anni in cui vi è stato reddito imponibile; se non vi è stato reddito imponibile in alcuno di tali anni, si applica l'aliquota stabilita dall'articolo 11 per il primo scaglione di reddito.

1-ter. Qualora il trattamento di fine rapporto sia relativo a rapporti di lavoro a tempo determinato, di durata effettiva non superiore a due anni, l'imposta determinata ai sensi del comma 1 è diminuita di un importo pari a lire 120 mila per ciascun anno; per i periodi inferiori ad un anno, tale importo è rapportato a mese. Se il rapporto si svolge per un numero di ore inferiore a quello ordinario previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro, la somma è proporzionalmente ridotta.

2. Le altre indennità e somme indicate alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 16, anche se commisurate alla durata del rapporto di lavoro e anche se corrisposte da soggetti diversi dal datore di lavoro, sono imponibili per il loro ammontare complessivo, al netto dei contributi obbligatori dovuti per legge, con l'aliquota determinata agli effetti del comma 1. Tali indennità e somme, se corrisposte a titolo definitivo e in relazione ad un presupposto non connesso alla cessazione del rapporto di lavoro che ha generato il trattamento di fine rapporto, sono imponibili per il loro ammontare netto con l'aliquota determinata con i criteri di cui al comma 1.

2-bis. Le indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente di cui alla lettera a), del comma 1, dell'articolo 16, sono imponibili per un importo che si determina riducendo il loro ammontare netto di una somma pari a L. 600.000 per ciascun anno preso a base di commisurazione, con esclusione dei periodi di anzianità convenzionale; per i periodi inferiori all'anno la riduzione è rapportata a mese. Se il rapporto si svolge per un numero di ore inferiore a quello ordinario previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro, la somma è proporzionalmente ridotta. L'imposta è applicata con l'aliquota determinata con riferimento all'anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all'importo che risulta dividendo il suo ammontare netto, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici. L'ammontare netto delle indennità, alla cui formazione concorrono contributi previdenziali posti a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati, è computato previa detrazione di una somma pari alla percentuale di tali indennità corrispondente al rapporto, alla data del collocamento a riposo o alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, fra l'aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati e l'aliquota complessiva del contributo stesso versato all'ente, cassa o fondo di previdenza.

3. Se per il lavoro prestato anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 29 maggio 1982, n. 297, il trattamento di line rapporto risulta calcolato in misura superiore ad una mensilità della retribuzione annua per ogni anno preso a base di commisurazione, ai fini della determinazione dell'aliquota ai sensi del comma 1 non si tiene conto dell'eccedenza.

4. Salvo conguaglio all'atto della liquidazione definitiva, sulle anticipazioni e sugli acconti relativi al trattamento di fine rapporto e alle indennità equipollenti, nonché sulle anticipazioni relative alle altre indennità e somme, si applica l'aliquota determinata, rispettivamente, a norma dei commi 1, 2 e 2-bis, considerando l'importo accantonato, aumentato dalle anticipazioni e degli acconti complessivamente erogati e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. Non si considerano anticipazioni le somme e i valori destinati alle forme pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.

4-bis. [Per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'età di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), l'imposta si applica con l'aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità e somme indicate alla richiamata lettera a) del comma 1 dell'articolo 17] (1)

5. Nell'ipotesi di cui all'articolo 2122 del codice civile e nell'ipotesi di cui al comma 3 dell'articolo 7 l'imposta, determinata a norma del presente articolo, è dovuta dagli aventi diritto proporzionalmente all'ammontare percepito da ciascuno; nella seconda ipotesi la quota dell'imposta sulle successioni proporzionale al credito indicato nella relativa dichiarazione è ammessa in deduzione dall'ammontare imponibile di cui ai precedenti commi.

6. Con decreti del Ministro delle finanze sono stabiliti i criteri e le modalità per lo scambio delle informazioni occorrenti ai fini dell'applicazione del comma 2 tra i soggetti tenuti alla corresponsione delle indennità e delle altre somme in dipendenza della cessazione del medesimo rapporto di lavoro.

Note

(1) Comma abrogato dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione.

Massime relative all'art. 19 TUIR

Cass. civ. n. 9899/2020

In tema di prepensionamento, le ritenute applicabili all'assegno straordinario di sostegno al reddito di cui all'art. 5, comma 1, lett. b), d.m. n. 158 del 2000, avente la finalità di incentivare l'esodo con l'erogazione di un reddito pari al trattamento pensionistico netto, virtualmente determinato col computo dell'anzianità contributiva mancante, devono calcolarsi con lo stesso criterio applicabile all'intero assegno ovvero con l'aliquota agevolata di cui all'art. 17, comma 4-bis, T.U.I.R., determinando detta modalità la neutralizzazione dell'incidenza delle ritenute e garantendo ai dipendenti prepensionati la percezione di un importo netto pari al trattamento pensionistico anticipato.

Cass. civ. n. 14548/2019

La decorrenza del termine di decadenza del diritto al rimborso di un'imposta sui redditi dichiarata, in epoca successiva al pagamento, incompatibile con il diritto unionale da una sentenza della Corte di Giustizia, dalla data del versamento o della ritenuta, e non da quella di detta pronuncia, non si pone in contrasto con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in tema di legittimo affidamento, poiché, per un verso, viene in rilievo un mero mutamento giurisprudenziale sull'interpretazione di norme attributive di diritti, rispetto ai quali i titolari non possono vantare aspettative d'immutabilità giuridica riguardo alla giurisprudenza, a differenza di quanto può avvenire rispetto a leggi interpretative o retroattive che costituiscano ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia e, per un altro, la materia della imposizione tributaria appartiene al cd. "nucleo duro" delle prerogative della potestà pubblica nella quale gli Stati contraenti godono di ampia discrezionalità, che ne rende insindacabili le scelte che non siano manifestamente prive di giustificazioni ragionevoli.

Cass. civ. n. 7390/2019

La decorrenza del termine di decadenza di cui all'art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 per l'esercizio del diritto al rimborso delle imposte sui redditi dal momento del versamento opera anche qualora l'imposta sia pagata sulla base di una norma in seguito dichiarata in contrasto con il diritto unionale, incontrando l'efficacia retroattiva della relativa pronuncia il limite dei rapporti esauriti, senza che, in senso contrario, assuma rilievo la giurisprudenza sulla tutela del legittimo affidamento della Corte europea dei diritti dell'uomo, atteso che la stessa Corte ha più volte precisato che la materia tributaria rientra nel cd. "nucleo duro" delle prerogative della potestà pubblica, sicché predomina la natura autoritativa del rapporto tra il contribuente e la collettività ed i singoli Stati godono di ampia discrezionalità, sia pure entro i confini della riserva di legge sostanziale e del rispetto dei diritti fondamentali.

Cass. civ. n. 18307/2004

L'indennità di fine rapporto erogata dall'ENPAM ai medici Specialisti ambulatoriali convenzionati con il S.S.N., pur in difetto di un rapporto di lavoro dipendente nel senso proprio del termine, è riconducibile alla seconda ipotesi, residuale, configurata dall'art. 16, lettera a), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ossia "tra le altre indennità comprese le somme risultanti dalla capitalizzazione delle "pensioni", con conseguente applicazione della norma fiscale dettata dal successivo art. 17, secondo comma, il quale, in conformità ai principi enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 1986, prevede che dall'ammontare del t.f.r. sia detratto, ai fini del calcolo dell'IRPEF, l'importo dei contributi versati dal lavoratore. Un siffatto criterio porta ad escludere qualunque interpretazione dell'art. 17, secondo comma, del Testo unico delle imposte sui redditi difforme dal principio di non assoggettabilità a imposta della parte di t.f.r. corrispondente a contributi versati dallo stesso lavoratore - con le limitazioni concernenti il calcolo dell'ammontare netto previste da detta norma fino al 1 gennaio 2001, data di entrata in vigore delle modifiche introdotte dall'art. 11, primo comma, del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47 -, senza che tale principio possa essere pretermesso adducendo difficoltà di ordine meramente pratico, quale la pretesa (nella specie) impossibilità di sceverare, nell'ambito della contribuzione posta a carico del lavoratore, la parte attinente all'indennità di fine rapporto da quella finalizzata eventualmente ad altri scopi. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Molise, 26 aprile 2001).

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Consulenze legali
relative all'articolo 19 TUIR

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. B. chiede
venerdì 22/03/2024
“Buongiorno, nel dicembre 2019 cessavo il mio rapporto di lavoro da dirigente presso una società in cui ho lavorato per 21 anni. Ho concordato un verbale di conciliazione in cui l’azienda mi corrispondeva una cifra ‘NETTA’ omnicomprensiva del mio stipendio/13ma, bonus, ferie arretrate, TFR, incentivo all’esodo; nello stesso verbale di conciliazione era contenuta una clausola per cui avrei rinunciato a ‘….eventuale futura riliquidazione delle imposte da parte dell’amministrazione finanziaria, ai sensi di quanto previsto dall’art. 19, comma I, TUIR e dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 20/3/2008, dalla quale la Società rimarrà estranea…..’ Faccio presente che ho firmato tale clausola perché’ la cifra concordata era ‘NETTA’ e perché’ non avevo nessun altro reddito (anche per i 5 anni precedenti) al di fuori dello stipendio dell’azienda. L’agenzia delle entrate nel 2023 mi ha chiesto il conguaglio (importante). Ora vi chiedo: posso chiedere all’azienda di coprire quanto richiesto dall’AdE visto che la cifra concordata era netta? Grazie, Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 30/03/2024
In qualità di sostituto d’imposta, il datore di lavoro determina le ritenute da operare sulla parte imponibile del TFR (nonché su acconti ed anticipazioni) e delle altre indennità e somme secondo i criteri previsti negli articoli 17 e 19 del TUIR (DPR n. 917/1986), pertanto applicando la c.d. tassazione separata.

Tale tassazione è operata a titolo provvisorio.

L’articolo 19, comma 1, ultimo periodo del DPR n. 917/1986 (TUIR) prevede che:

Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti”.

Con la Circolare n. 29/E del 20 marzo 2001 l’Agenzia delle Entrate ha precisato che “… la tassazione del TFR e delle altre indennità e somme maturate a decorrere dal 1° gennaio 2001 ha, comunque carattere provvisorio, atteso che, secondo quanto stabilito dal terzo periodo del comma 1 del nuovo articolo 17 del TUIR [n.d.r. ora articolo 19], l’imposta relativa sarà successivamente riliquidata da parte degli uffici finanziari sulla base dell’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti ….”.

Purtroppo, dal punto di vista legale, non è possibile opporsi a queste previsioni, né stipulare accordi diversi col datore di lavoro.

Sul punto si è espressa anche una sentenza del Tribunale di Roma (Tribunale di Roma, sent. n. 3636/2017). La sentenza trattava il caso di un lavoratore che aveva accettato l’incentivo all’esodo in quanto riteneva che la tassazione fosse a titolo definitivo e aveva concordato col datore un pagamento già al netto delle imposte. In seguito, avendo ricevuto la riliquidazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, aveva richiesto il pagamento della differenza d’imposta al datore di lavoro, ma il tribunale ha respinto il suo ricorso: per legge, infatti, il datore di lavoro è tenuto a versare le sole imposte determinate alla cessazione del rapporto di lavoro secondo l’aliquota provvisoria, nulla dovendo versare in caso di riliquidazione da parte dell’amministrazione finanziaria. Questo, anche se l’accordo d’incentivo all’esodo prevede il pagamento di una determinata somma al netto delle imposte.

Infatti, secondo il tribunale, l’eventuale maggiore imposta scaturisce semplicemente dall’applicazione del meccanismo di tassazione definitiva previsto per tali redditi, sostanzialmente diverso da quello dell’acconto, che, invece, deve utilizzare chi eroga i compensi, quindi il datore di lavoro.

Di conseguenza, a prescindere dall’operato del datore di lavoro, la tassazione viene – in ogni caso, nuovamente eseguita in via definitiva e senza alcun riferimento al procedimento di determinazione dell’acconto.

Il Tribunale ha ricordato che “il datore di lavoro all’atto della erogazione al lavoratore di somme che rientrano nel concetto di reddito da lavoro dipendente effettua la tassazione agendo come sostituto d’imposta, e ciò vuol dire che egli anticipa all’erario un debito che è del lavoratore e non del datore di lavoro. In altri termini, come è noto, in forza del peculiare meccanismo normativo-fiscale, l’obbligazione tributaria non grava sul soggetto che realizza la fattispecie imponibile, ma su di un terzo, il sostituto, che si trova in una particolare posizione rispetto a tale presupposto, che è quella di essere debitore verso il sostituito di somme, la cui corresponsione determina, per quest’ultimo, un fatto fiscalmente rilevante. Quindi, per agevolare l’accertamento e la riscossione dei tributi, la legge individua – in via provvisoria – il debitore d’imposta nel datore di lavoro, tenuto, quindi, in proprio a pagare quanto dovuto dal lavoratore al fisco, ma riequilibra, poi, il rapporto interno, attraverso l’obbligo della rivalsa, cioè imponendo al datore di lavoro di estinguere il suo debito, pagando al lavoratore una somma decurtata dell’importo versato all’erario”.

Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene non sia possibile rivalersi sul datore di lavoro per quanto richiesto dall’Agenzia delle Entrate in sede di riliquidazione.


Cliente chiede
domenica 19/11/2023
“Ho concluso la mia attività lavorativa nel luglio del 2017.
A settembre dello stesso anno mi è stata liquidata da parte dell'azienda, dove ho prestato la mia attività, il TFR ed altre indennità.
Il 16 novembre 2023 Ieri mi è stata notificata una cartella di pagamento del conguaglio delle imposte sul TFR da parte dell' Agenzia delle Riscossioni in cui all' interno è indicato:
- comunicazione predisposta in data 16.06.2021 con codice atto n…, consegnata in data 16.06.2021,
- ruolo n. 2022/550023,
- reso esecutivo il 24.02.2022,
- consegnato il 25.03.2022.
Informo che non ho ricevuto precedenti notifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Chiedo cortesemente:
- è corretto ricevere la cartella di pagamento (nella stessa, oltre all' imposta a conguaglio ed interessi mi viene applicata anche la sanzione) senza che la stessa sia preceduta da un avviso bonario?
- sono stati rispettati i tempi entro cui andava notificata, considerando pure le sospensive dovute al covid?
Grazie e cordiali saluti.

Consulenza legale i 29/11/2023

L’articolo 19, comma 1, ultimo periodo del DPR n. 917/1986 (TUIR) prevede che: “Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti”.

L’art. 36 bis del DPR 600/1973 disciplina le modalità di accertamento (o meglio liquidazione) dell'imposta non versata: il Fisco, a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi (tanto del lavoratore, quanto – come nel Suo caso – del datore sostituto di imposta), procede, entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti, appunto, in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta.

A chiudere il quadro normativo è l’art. 25 DPR 602/1973 che, a sua volta, disciplina i termini di decadenza entro i quali deve essere notificata la cartella di pagamento per la riscossione dell’imposta accertata, anche a seguito del controllo automatizzato dichiarazione dei redditi. Per quanto qui interessa, ai sensi del c. 1, lett. a) della disposizione citata, la cartella esattoriale deve essere notificata entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
La cartella avrebbe dovuto essere notificata entro il 31.12.2022.

A seguito della pandemia l’art. 157 co. 3 DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34 “ I termini di decadenza per la notificazione delle cartelle di pagamento previsti dall'articolo 25, comma 1, lettere a) e b), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono prorogati di quattordici mesi relativamente:
a) alle dichiarazioni presentate nell'anno 2018, per le somme che risultano dovute a seguito dell'attività di liquidazione prevista dagli articoli 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
b) alle dichiarazioni dei sostituti d'imposta presentate nell'anno 2017, per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
c) alle dichiarazioni presentate negli anni 2017 e 2018, per le somme che risultano dovute a seguito dell'attività di controllo formale prevista dall'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600
.

Consegue che essendo stata effettuata una liquidazione dell’imposta sul reddito ai sensi dell’art. 36 bis i termini di decadenza per la notifica della cartella sarebbero stati prorogati di 24 mesi, cosicchè il termine di decadenza coincide nel caso che ci occupa con il 31.12.2024.

Circa l’omessa notifica dell'avviso bonario è possibile affermare che nel caso di redditi soggetti a tassazione separata, la legge impone l’obbligatorietà dell’avviso bonario, onde consentire al contribuente di pagare prima di un’eventuale cartella (art. 1, c. 412, L. 30 dicembre 2004, n. 311, il quale recita come segue: “In esecuzione dell’articolo 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’Agenzia delle Entrate comunica mediante raccomandata con avviso di ricevimento ai contribuenti l’esito dell’attività di liquidazione, effettuata ai sensi dell’articolo 36- bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata”.

Secondo un orientamento abbastanza consolidato della Cassazione, l’omessa notifica dell’avviso comporta l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo. “In tema di riscossione delle imposte, l’art. 1, comma 412, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, obbliga l’Agenzia delle Entrate, in esecuzione di quanto sancito dall’art. 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, a comunicare al contribuente l’esito dell’attività di liquidazione, effettuata ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata, sicché l’omissione di tale comunicazione determina la nullità del provvedimento d’iscrizione a ruolo, indipendentemente dalla ricorrenza, o meno, d’incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.” (Cassazione sez. Tributaria, ordinanza 27.11.2021 n.37148 Cass. 18398/18, Cass. n. 12927/16 e n. 11000/14)

Dunque, se non ancora decorsi 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale, è possibile presentare ricorso per l'annullamento della cartella esattoriale.


Ivan M. chiede
lunedì 14/06/2021 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, vorrei un chiarimento in merito alla tassazione applicata sul TFR. Ho percepito il TFR nel 2016 dopo essermi licenziato dalla mia azienda, privata con più di 200 dipendenti. Il sostituto d'imposta ha applicato un aliquota del 23.7%, ovvero l'aliquota dell'anno di riferimento (2016) relativamente al reddito da me percepito. L'agenzia delle entrate chiede il conguaglio sulla media della tassazione rivalutata sui 5 anni precedenti, corrispondente al 25.07%. La mia domanda è questa: in base alla legge finanziaria del 2007 (legge 296 del 27 dicembre 2006) non sarebbe di obbligo l'applicazione della clausola di salvaguardia ovvero delle aliquote in vigore nel 2006 per i redditi di riferimento, che nel mio caso sarebbero per l'appunto il 23.7% applicato dal sostituto d'imposta? La replica dell'agenzia delle entrate ai miei dubbi è che, secondo loro, la clausola di salvaguardia si applica solo ai redditi percepiti prima del 31/12/2000 mentre, a mio avviso, la situazione è esattamente l'opposto. Allego parte della loro risposta: la risposta dell’Ufficio è conforme alle indicazioni rese sull’argomento dal Dipartimento delle Politiche Fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ritiene tale clausola finalizzata unicamente a tutelare il pregresso in quanto la sua applicazione alla liquidazione dei TFR maturati dal 01/01/2001 svuoterebbe di contenuto l’articolo 19, comma 1, del TUIR il quale prevede, per i TFR maturati dal 2001, la riliquidazione dell’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione.
Resto in attesa di un vostro riscontro
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 21/06/2021
Le modalità di tassazione dell’indennità di fine rapporto sono disciplinate, sotto il profilo fiscale, dall’art. 19 del TUIR, approvato con d.P.R. n. 917/86.
In base alla citata disposizione, occorre distinguere tra:
- la tassazione operata dal datore di lavoro, a titolo provvisorio;
- la riliquidazione dell’imposta operata dagli uffici finanziaria, a titolo definitivo.
Prima di entrare nel merito della tassazione occorre precisare che, per la quota di TFR da assoggettare ad imposizione, occorre distinguere tra quote maturate prima del 31 dicembre 2000 e quote maturate dal 1° gennaio 2001. In particolare:
  • con riferimento alle quote di Tfr maturate alla data del 31 dicembre 2000, resta applicabile la disciplina previgente. L’imponibile è determinato sottraendo all’importo maturato fino alla data citata un ammontare pari a euro 309,87 per ogni anno di anzianità effettiva. Se il rapporto di lavoro si è svolto ad orario ridotto, la somma citata è proporzionalmente decurtata; qualora invece il periodo di lavoro sia inferiore all’anno, l’importo della detrazione deve essere rapportato a mese;
  • con riferimento alle quote di Tfr maturate dal 1° gennaio 2001, la base imponibile è rappresentata dal Tfr al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva da parte del sostituto di imposta. Infatti, la quota capitale, comprensiva delle rivalutazioni effettuate sino al 31.12.2000, viene assoggettata ad IRPEF a titolo provvisorio; la rivalutazione, effettuata a partire dal 01.01.2001, viene assoggetta ad imposizione sostitutiva del 17% sulla rivalutazione maturata anno per anno.

La tassazione sulla quota capitale e sulla rivalutazione effettuata sino al 31.12.2000 da parte del datore di lavoro ha carattere provvissorio poiché la tassazione a titolo definitivo è operata da parte dell’amministrazione finanziaria.
La tassazione a titolo provvisorio è operata dal datore di lavoro sulla base dell’aliquota media che si determina, sul reddito di riferimento. Come indicato nel comma 1 del citato art. 19, il reddito di riferimento, su cui il datore di lavoro calcola l’imposta provvisoria applicando l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo l’ammontare del TFR, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici.

Nel caso di specie, il reddito di riferimento individuato da datore di lavoro è pari ad euro 28.130,99. Applicando gli scaglioni e le aliquote previste per il periodo di imposta 2016, in cui il rapporto di lavoro è terminato, si determina un’imposta di euro 6.683,23 che, rapportata al predetto reddito medio, da luogo ad un’aliquota media di 23,76%.
Applicando la predetta aliquota media si determina l’imposta lorda dalla quale devono essere detratti i seguenti importi:
  • per tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato (di qualsiasi natura) e a tempo indeterminato, che si risolvono nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2001, fino alla data di entrata in vigore della riforma del TFR e comunque non oltre il 31 dicembre 2005: euro 61,97 per ciascun anno di maturazione del TFR, a partire dal 1° gennaio 2001;
  • per i rapporti di lavoro a tempo determinato, di durata effettiva non superiore a due anni: ulteriori euro 61,97 per ciascun anno di maturazione del TFR a partire dal 1° gennaio 2001.
Per i periodi inferiori all’anno, la detrazione è rapportata a mese.
Sull’importo del TFR e della rivalutazione monetaria maturati sino alla data del 31.12.2000, la detrazione, come detto, è invece pari ad euro 309,87 per ciascun anno preso a base di commisurazione del TFR.

L’assoggettamento a tassazione da parte del datore di lavoro è a titolo di acconto.
Gli uffici finanziari, infatti, entro il termine di decadenza di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/73, decorrente dalla data di presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta del modello 770, provvedono a riliquidare l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti.
L’aliquota media calcolata dall’ufficio si ottiene, quindi, dal rapporto tra la somma delle imposte calcolate con riguardo al reddito complessivo del contribuente, al netto degli oneri deducibili e senza considerare i crediti di imposta, di ciascuno dei cinque anni precedenti a quello in cui è sorto il diritto alla percezione del TFR e la somma dei redditi stessi considerati.

Nel caso in cui in uno o più dei cinque anni precedenti l’anno di maturazione del diritto a percepire il TFR nonvi sia stato reddito imponibile, l’aliquota media è calcolata in riferimento agli anni in cii vi è stato reddito imponibile. Se in tutti e cinque gli anni non vi è stato reddito imponibile, deve essere applicata l’aliquota prevista per il primo scaglione di reddito IRPEF.
Nel caso di specie, l’amministrazione finanziaria ha determinato l’aliquota media del quinquennio 2011 – 2015, in misura pari al 25,07%.
Con riferimento alla determinazione dell’IRPEF dovuta sul TFR è prevista una clausola di salvaguardia che consente l’applicazione, se più favorevoli, delle aliquote e degli scaglioni di reddito vigenti al 31 dicembre 2006 (art. 1, comma 9, della Legge 296/2006).

Come precisato nella Circolare 15/E del 16.03.2007, par. 4, la clausola di salvaguardia è diretta ad assicurare che il nuovo sistema delineato dalla legge 296/2006 non comporti per i contribuenti il pagamento di una imposta maggiore rispetto a quella che sarebbe stata dovuta sulla base delle aliquote in vigore nel 2006.
La norma non specifica se la clausola di salvaguardia debba essere applicata dal sostituto d’imposta ovvero dall’amministrazione finanziaria in sede di riliquidazione.
Tuttavia, se le somme sono erogate da un sostituto d’imposta, in base al tenore letterale della disposizione secondo la quale “ai fini della determinazione dell’imposta...si applicano, se più favorevoli.....” si ritiene che la verifica debba essere effettuata direttamente dal sostituto d’imposta il quale, in sede di determinazione dell’imposta, utilizzerà le aliquote e gli scaglioni di reddito vigenti al 31 dicembre 2006, se più favorevoli. Ciò in quanto la determinazione dell’imposta, ancorché provvisoria, è effettuata dal sostituto d’imposta.

Successivamente, l’amministrazione finanziaria, in sede di controllo e di riliquidazione dell’imposta, effettua nuovamente la verifica della tassazione più favorevole nei riguardi del contribuente confrontando i risultati ottenuti applicando il sistema della tassazione separata e quello della tassazione ordinaria. In base alla verifica effettuata, l’amministrazione finanziaria applicherà la tassazione più favorevole per il contribuente.
La clausola, quindi, va applicata comunque per effetto delle modifiche introdotte nel TUIR dalla legge 27 dicembre 2006, n 296 (legge finanziaria per il 2007) che, con varie disposizioni contenute nei commi da 6 al 9 dell’articolo 1, ha innovato dal 2007 le modalità di determinazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).