AUTORE:
Giulia Campana
ANNO ACCADEMICO: 2019
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Napoli - Federico II
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
“interveniens vice actoris fungitur”, da questo brocardo latino è possibile trarre l’essenza dell’intervento volontario del terzo su cui si è concentrato il presente elaborato e che trova il proprio fondamento normativo nell’art. 105 c.p.c. a cui è collegato l’art. 268 c.p.c. Sotteso a tali disposizioni sembra essere il famoso principio [[482]] che trova la propria sede elettiva nel processo romano-canonico e attraversa i secoli fino ad essere richiamato dal Code Napoleon e dal nostrano Codice Pisanelli del 1865. Si è evidenziato, nel primo capitolo, come entrambe le legislazioni si basino su un equivoco laddove considerano il principio dell’in statu et terminis solo con riferimento all’intervento accessorio e non anche a quello principale, non distinguendo, diversamente da quanto accade oggi, i “tipi” di intervento e i “gradi” di connessione che possono venire in rilievo all’interno del processo. Proseguendo in un’ottica cronologica si è analizzata l’evoluzione della disciplina contenuta negli artt. 105 e 268 c.p.c. e si è evidenziato come quella attuale sia alquanto differente da quella passata. Nel secondo capitolo si è proceduto con le tre modalità di intervento esistenti: l’intervento principale, quello adesivo autonomo e l’intervento dipendente, soffermandosi sul presupposto della connessione oggettiva la cui disciplina varia a seconda che riguardi l’oggetto, e quindi a venire in rilievo è la distinzione tra diritti autodeterminati ed eterodeterminati, o il titolo, la cui disciplina coinvolge la differenza che esiste tra pregiudizialità logica e pregiudizialità tecnica. Si è ritenuto opportuno anche fare un rapido riferimento alla disciplina di tali istituti in fase di appello e nel giudizio in Cassazione. Importante, poi, in materia è la riforma n. 353 del 1990 che non solo riguarda le preclusioni, ex art. 268 c.p.c., inerenti l’intervento volontario, ma anche i cd. limiti soggettivi del giudicato dei quali si è trattato nel terzo capitolo. Deve considerarsi, infatti, che oltre ai limiti oggettivi, a venire in rilievo sono quelli “soggettivi” che, per l’appunto, perimetrano da un punto di vista soggettivo l’istituto dell’intervento del terzo. Aspetto particolarmente rilevante, infatti, è il limite entro cui il giudicato inter alios possa spiegare i suoi effetti nei confronti di terzi che non abbiano partecipato al processo da cui la sentenza promana. Tendenzialmente, stando all’art. 2909 c.c. che limita gli effetti di quest’ultima solo alle parti, agli eredi e agli aventi causa, verrebbe da dire che alcun effetto può dispiegarsi nei confronti dei terzi, ma ovviamente, come sempre accade nel diritto, le cose non sono così semplici e della questione se ne è approfonditamente trattato nell’ultimo capitolo del presente elaborato, cercando di capire come il tutto risulti conforme ai principi costituzionali coinvolti ( diritto di difesa del terzo, diritto al contraddittorio e diritto a un processo giusto ed equo) e al principio del ne bis in idem.