AUTORE:
Ludovico Valotti
ANNO ACCADEMICO: 5
TIPOLOGIA: Tesi di Dottorato
ATENEO: Universitą Commerciale Luigi Bocconi di Milano
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Negli ultimi decenni, il legislatore si è trovato a fronteggiare una nuova realtà sociale, caratterizzata dalla presenza di sempre più diffuse e sofisticate forme di criminalità economica. L'esigenza di combattere questi comportamenti illeciti, finalizzati principalmente al conseguimento di un vantaggio economico, ha determinato la rivitalizzazione della confisca, istituto risalente, ma relegato ad un ruolo marginale dal codificatore del 1930. Il processo di progressivo rafforzamento e di ampliamento dell'ambito di applicazione della confisca ha comportato l'elezione di quest'ultima a strumento principe nella lotta alla criminalità del profitto. Ciò si è verificato grazie all'introduzione, in via legislativa, di numerose ipotesi ablative speciali, caratterizzate da potenzialità sconosciute alla misura codicistica. Tale evoluzione normativa si è riprodotta, in scala ridotta, nel settore degli abusi di mercato, per il cui contrasto è previsto oggi un ricco catalogo di confische. Esse condividono con la figura di cui all'art. 240 c.p. poco più che il semplice nome: si differenziano, infatti, da quest'ultima per la loro obbligatorietà e per la loro applicabilità nella forma per equivalente. Tali caratteristiche specializzanti conferiscono alle confische finanziarie una straordinaria efficacia che le rende, nella prospettiva del criminale economico, spesso maggiormente temibili rispetto alla pena detentiva e alla sanzione pecuniaria. I tratti distintivi di queste ipotesi ablative determinano un significativo affievolimento delle loro finalità preventive, affiancate, e non di rado soffocate, da funzioni ed effetti di stampo repressivo. Così, un inquadramento delle stesse nella tradizionale categoria delle misure di sicurezza appare inadeguato, risultando maggiormente opportuno riconoscere in loro i tratti fisiognomici della sanzione di natura penale. Una siffatta qualificazione giuridica, condotta sulla base di un approccio sostanzialistico, induce a ritenere valido, in relazione a queste misure, lo statuto garantistico, di matrice costituzionale e convenzionale, applicabile alle pene. In ogni caso, anche non volendo attribuire tale etichetta formale alle confische finanziarie, la considerazione dell'elevata incisività delle stesse sulla sfera patrimoniale del soggetto destinatario del provvedimento ablativo impone di ritenere inderogabili, a prescindere dalla forma in cui la misura si applica, i principi di proporzionalità, legalità, irretroattività e colpevolezza. La tenuta di tali principi va garantita innanzitutto nella prassi, in tutti i casi in cui si presentano, nelle aule dei tribunali, delicati problemi applicativi. Al fine di conciliare le istanze efficientiste con le altrettanto importanti esigenze di stampo garantistico, appare, però, necessario un intervento del legislatore che, seguendo il percorso recentemente tracciato dalla Corte Costituzionale, rimuova dall'oggetto della confisca "penale" di cui all'art. 187 TUF quelle entità, quali il prodotto dell'illecito e i beni utilizzati per commetterlo, che nel settore dei mercati finanziari conferiscono alla misura un carattere esageratamente afflittivo. Così – realizzando un razionale sistema di confische limitate, quanto all'oggetto, al solo profitto (inteso in senso restrittivo) dell'illecito – si conferirebbe un'apprezzabile coerenza all'intero sistema sanzionatorio dedicato agli abusi di mercato, riservando alle sanzioni di natura penale e amministrativa l'incarico di incidere in senso negativo sulla situazione patrimoniale del trasgressore e assegnando alle confische esclusivamente il (fondamentale) compito di neutralizzare la spinta criminale e di affermare il principio che il "crimine non paga".