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Articolo 3 Norme sui licenziamenti individuali

(L. 15 luglio 1966, n. 604)

[Aggiornato al 30/03/2023]

Dispositivo dell'art. 3 Norme sui licenziamenti individuali

Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa(1)(2)(3)(4)(5).

Note

(1) La L. 30 dicembre 2020, n. 178 ha disposto (con l'art. 1, comma 310) che fino al 31 marzo 2021 resta preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo di cui al presente articolo.
(2) Il D.L. 22 marzo 2021, n. 41 ha disposto (con l'art. 8, comma 9) che fino al 30 giugno 2021 resta preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo di cui al presente articolo.
Ha inoltro disposto (con l'art. 8, comma 10) che "Dal 1° luglio al 31 ottobre 2021 ai datori di lavoro di cui ai commi 2 e 8 [...] resta, altresì, preclusa indipendentemente dal numero dei dipendenti la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge".
(3) Il D.L. 20 luglio 2021, n. 103 ha disposto (con l'art. 3, comma 2) che "Ai datori di lavoro che presentano domanda di integrazione salariale ai sensi del comma 1 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021. Ai medesimi soggetti di cui al primo periodo resta, altresì, preclusa nel medesimo periodo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge".
(4) Il D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla L. 23 luglio 2021, n. 106, ha disposto (con l'art. 40, comma 4) che "Ai datori di lavoro che presentano domanda di integrazione salariale ai sensi del comma 3 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021 e restano altresì sospese nel medesimo periodo le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto. Ai medesimi soggetti di cui al primo periodo resta, altresì, preclusa nel medesimo periodo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge".
Ha inoltre disposto (con l'art. 40-bis, comma 2) che "Ai datori di lavoro che presentano domanda di integrazione salariale ai sensi del comma 1 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021 e restano altresì sospese, nel medesimo periodo, le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto. Ai medesimi soggetti di cui al primo periodo resta, altresì, preclusa, nel medesimo periodo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge".
(5) Il D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2021, n. 215, ha disposto (con l'art. 11, comma 7) che "Ai datori di lavoro che presentano domanda di integrazione salariale ai sensi dei commi 1, 2 e 6 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, per la durata della fruizione del trattamento di integrazione salariale. Ai medesimi soggetti di cui al primo periodo resta, altresì, preclusa nel medesimo periodo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge".

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Consulenze legali
relative all'articolo 3 Norme sui licenziamenti individuali

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. B. M. chiede
giovedì 18/02/2021 - Piemonte
“Buonasera
la ditta di cui sono socia ha un dipendente da oltre 20 anni che ora è diventato affetto da grave demenza. I familiari hanno avviato le pratiche per il riconoscimento dell'invalidità civile totale e ricovero in struttura adeguata ma si prevede un iter burocratico lungo anche a causa covid. Durante questo periodo la ditta è obbligata a licenziare il dipendente oppure può tenerlo in forza anche se chiaramente non può svolgere nessun lavoro ? Se in questo periodo il dipendente soffre di particolari crisi della sua malattia, ha diritto al contributo INPS per malattia fino a 180 giorni come ogni altro dipendente ?”
Consulenza legale i 26/02/2021
L’azienda non è obbligata a licenziare il dipendente divenuto disabile.

La normativa (art. 4, D. Lgs. 68/1999) prevede, invece, che il disabile abbia diritto alla conservazione del posto se in azienda vi siano altre posizioni libere che da lui possono essere ricoperte sulla base del relativo inquadramento e specializzazione. Il datore di lavoro deve operare quindi il cosiddetto repechage, ossia deve prima verificare se è possibile inserire il lavoratore divenuto inabile in altre attività.

Solo qualora non ci fosse la possibilità di affidargli altre mansioni, allora può avvenire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

La Corte di cassazione, con sentenza n. 18556 del 10 luglio 2019, ha riepilogato chiaramente l'orientamento attuale affermando che il licenziamento risulta legittimo in presenza delle seguenti condizioni:
a) che non vi siano altre posizioni nella organizzazione aziendale ove utilizzare il dipendente;
b) che, pur a fronte di una nuova organizzazione possibile con una modifica della organizzazione aziendale, quest’ultima risulti gravosa sotto l’aspetto finanziario;
c) che la nuova organizzazione sia di pregiudizio alle posizioni di altri lavoratori.
Anche ricorrendo tali presupposti, l’azienda è legittimata a licenziare, ma non è obbligata. Il datore di lavoro potrebbe, in linea teorica, non licenziare il lavoratore anche se impossibilitato a svolgere qualsiasi mansione.

Tuttavia, il datore di lavoro sarà tenuto (art. 2087 c.c. e Testo unico sulla sicurezza sul lavoro) anche a salvaguardare la salute e sicurezza del lavoratore divenuto disabile e degli altri dipendenti e non potrà adibire il dipendente a mansioni incompatibili con la sua disabilità.

Sarebbe, pertanto, opportuno porre in malattia il dipendente, in attesa del riconoscimento dell’invalidità.

Il dipendente, non essendo ancora ufficialmente stato dichiarato inabile al lavoro, ha gli stessi diritti di qualsiasi altro dipendente. Pertanto, avrà diritto all’indennità di malattia Inps fino a 180 gg.


ALFREDO C. chiede
giovedì 17/05/2018 - Lazio
“Due società "A" e "B" sono entrambe possedute da due fratelli al 50% che sono Coamministratori delle due società. Il persoanle addetto al "Post Vendita" Officina che verrà chiuso e cessato è costitutito di 12 unità.
Operano nel settore delle Concessionarie Auto la società A è concessionaria di una marca tedesca l'altra società B è concessionaria di una marca Europea. A causa della grave crisi che ha coinvolto anche il settore auto entrambe le società hanno deciso di recedere dai contratti di concessionaria con effetto immediato, recesso accettato dalle Case Automobilistiche e proseguiranno l'attività come rivenditori auto plurimarche.
La domanda: le due società oltre al personale addetto all'officina hanno altri 4 dipendenti (complessivamente le due società pertanto hanno 16 dipendenti) che credo facciano numero complessivo per le due società, dismettendo le officine in quanto non più concessionari e non più interessati, come possiamo procedere per licenziare i dodici dipendenti addetti alle officine in quanto il dubbio che si pongono le società è che possono sommare i dipendenti e superare le 15 unità lavorative.
Grazie e cordiali saluti

Consulenza legale i 26/05/2018
Da quanto è possibile evincere dalla prospettaizone del caso specifico, abbiamo due società che utilizzano il medesimo personale per l’esercizio della propria attività d’impresa. I lavoratori dipendenti utilizzati dai due distinti datori di lavoro sono complessivamente 16. Non abbiamo, però, evidenza del rapporto contrattuale formalmente esistente tra i lavoratori e i distinti datori di lavoro.

Sulla scorta degli elementi a disposizione sappiamo che le due società possedute e amministrate in pari quota da due fratelli possono essere considerate una struttura omogenea e unitaria e, pertanto un unico complesso aziendale, in quanto seppur formalmente distinte fanno capo allo stesso soggetto giuridico e/o alle stesse persone fisiche (50% pro quota di due fratelli coamministratori di entrambe) e operano, sul piano organizzativo e produttivo, con modalità tali da evidenziare la sostanziale unicità.

Tale unicità, in relazione all’imputazione dei rapporti di lavoro, diventa elemento di importanza rilevante ai fini della valutazione di sussistenza del requisito numerico per l’applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato. Infatti, l’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro facente capo ad una struttura complessa costituita da più società, comporta la sommatoria di tutti i lavoratori dipendenti delle due società che, se supera le 15 unità, vede l’applicazione della tutela reale del lavoratore ingiustamente licenziato.

Orbene, le motivazioni che possono portare alla scelta di operare il licenziamento dei lavoratori nel caso specifico potranno essere anche legittime sussistendone i presupposti relativi alle esigenze di riorganizzazione aziendale a seguito di crisi dell’attività della stessa atti a sorreggere l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Elementi tutti che devono effettivamente sussistere ed essere dimostrati nell’eventuale giudizio di impugnazione del licenziamento da parte dei lavoratori licenziati.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è disciplinato dall’art. 3 della legge 604/1966, il quale prevede che il licenziamento può essere intimato “per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Costituiscono, in particolare, giustificato motivo oggettivo
  • la crisi dell’impresa,
  • la cessazione dell’attività o anche solo il venir meno delle mansioni cui è assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo ricollocamento in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il suo livello di inquadramento.
L’individuazione dei limiti entro i quali si può dire integrato il giustificato motivo oggettivo sono particolarmente rilevanti. Infatti, quando ne viene accertata l’insussistenza, il licenziamento comminato risulta illegittimo e il lavoratore ha diritto a ottenere le tutele offertegli dalla legge.


Le garanzie offerte al lavoratore, in caso di licenziamento illegittimo, sono profondamente mutate in questi ultimi anni.

Fino al 2012, l’illegittimità del licenziamento per motivo oggettivo era sempre sanzionata – per i rapporti di lavoro rientranti nel campo di applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori – con la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore, oltre al risarcimento integrale del danno retributivo e al versamento dei contributi previdenziali per il periodo intercorrente tra il momento del licenziamento e quello della reintegrazione.

La riforma del mercato del lavoro del 2012 ha apportato una prima, sostanziale modifica a questo regime sanzionatorio, introducendo una disciplina che, invece di tutelare in ogni caso la stabilità del rapporto lavorativo, modula le sanzioni comminabili al datore di lavoro a seconda della gravità del vizio che inficia il licenziamento, limitando la reintegrazione a un novero ristretto di ipotesi.

In particolare, il nuovo art. 18 della legge 300/1970, così come modificato dalla c.d. legge Fornero, prevede che, in caso di invalidità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice può ordinare la reintegrazione del lavoratore allorché accerti “la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.

Le suddette garanzie valgono, peraltro, per i soli lavoratori assunti presso datori di lavoro che superano le soglie dimensionali previste dall’art. 18 (unità produttiva con più di 15 lavoratori, o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo, o più di 60 dipendenti in totale).

Al di sotto di tali soglie, trova invece applicazione il più blando regime di tutela previsto dall’art. 8 della legge 604/1966, così come sostituito dall’art. 2 della legge 108/1990, che riconosce al lavoratore illegittimamente licenziato il solo diritto a percepire un indennizzo economico.

È da aggiungere però che, il progressivo depotenziamento delle tutele offerte ai lavoratori in caso di licenziamento ingiusto ha di recente raggiunto il suo apice con l’approvazione del Decreto legislativo 23/2015, in tema di “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, attuativo della legge delega 183 del 2014 (c.d. Jobs Act), che ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo regime sanzionatorio da applicarsi in caso di licenziamento illegittimo; regime che, per espressa indicazione del legislatore, troverà applicazione nei confronti di tutti i lavoratori assunti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (7 marzo 2015).

La nuova disciplina continua a distinguere tra lavoratori assunti presso imprese che superano le soglie numeriche fissate dall’art. 18 e lavoratori assunti presso datori di lavoro che non raggiungono dette soglie. Rispetto alla disciplina previgente, tuttavia, il decreto legislativo 23/2015 si segnala per una significativa riduzione delle garanzie riconosciute ai lavoratori, in particolare in ragione della sostanziale diminuzione delle ipotesi in cui il giudice può ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato. In particolare, per quanto riguarda il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il decreto prevede che il giudice possa ordinare la reintegrazione del lavoratore (assunto presso un’impresa di maggiori dimensioni) nel solo caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, non essendo più rilevante ai fini della reintegra il difetto di giustificazione per motivi inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
Per poter procedere con maggiore tranquillità al licenziamento possono essere sottoscritti accordi con i quali i lavoratori, accettano il licenziamento, cosa che avviene anche a seguito dell’offerta facoltativa di conciliazione prevista dall’art. 6 del D.L.vo n. 23/2015, per il personale assunto a partire dal 7 marzo 2015.
La sottoscrizione di tali accordi conciliativi deve avvenire in sede protetta (commissione di conciliazione istituita presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro, sede sindacale, commissione di certificazione), cosa che garantisce l’inoppugnabilità del verbale secondo la previsione contenuta nell’ultimo comma dell’[[art 2113 cc]]. Ovviamente, il verbale è soggetto ad impugnazione, nei sei mesi successivi alla firma, in tutte quelle ipotesi che condizionano la volontà (vizio del consenso) dolo, oppure per illiceità o indeterminatezza.