(massima n. 1)
La possibilità di denunziare in cassazione la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi del lavoro pubblico, di cui all'art. 40 del D.L.vo n. 165 del 2001, prevista in generale dall'art. 63, quinto comma, dell'art. 63 dello stesso D.L.vo, risulta statuita espressamente dall'art. 64 del medesimo testo normativo per le controversie (come nella specie) in tema di accertamento sull'efficacia, la validità e l'interpretazione dei contratti collettivi. A tal fine, pur potendo il giudice di legittimità procedere alla diretta interpretazione di siffatti contratti collettivi, dalla natura negoziale degli stessi deriva che tale interpretazione deve essere compiuta secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 e seguenti c.c. e non sulla base degli artt. 12 e 14 delle disposizioni della legge in generale (la cui asserita errata applicazione da parte del giudice del merito pure era stata denunciata dall'Amministrazione ricorrente nella fattispecie). Ai fini dell'ammissibilità del ricorso in proposito è, peraltro, necessario che in esso siano motivatamente specificati i suddetti canoni ermeneutici in concreto violati, nonché il punto ed il modo in cui giudice del merito si sia da essi discostato, con la conseguenza che la parte ricorrente è tenuta, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, a riportare in quest'ultimo il testo della fonte pattizia denunciata al fine di consentirne il controllo da parte della Corte di cassazione, che non può sopperire alle lacune dell'atto di impugnazione con indagini integrative.