Cassazione civile Sez. I sentenza n. 3274 del 10 febbraio 2011

(8 massime)

(massima n. 1)

Il procedimento per l'omologazione del concordato fallimentare - come disciplinato dall'art. 129 legge fall., nel testo introdotto dal d.l.vo 9 gennaio, n. 5 - non prevede l'impulso d'ufficio, bensì l'iniziativa di parte, mediante ricorso ex art. 26 legge fall., rispetto alla quale, fissando il giudice delegato il solo termine per la presentazione delle opposizioni, appare ragionevole ritenere - in assenza di previsione più specifica - che il proponente gode non già dello stesso termine particolare e, quindi, derogatorio, assegnato agli interessati all'opposizione, bensì del termine di dieci giorni dalla comunicazione dell'approvazione, previsto dal cit. art.26, in virtù del richiamo complessivo allo speciale giudizio camerale che il riferimento a tale norma comporta.

(massima n. 2)

In tema di concordato fallimentare, l'art. 127 legge fall. prevede che hanno diritto al voto i creditori indicati nello stato passivo reso esecutivo ex art. 97 legge fall., e non solo quelli chirografari ovvero i privilegiati che abbiano rinunciato alla causa di prelazione; per questi ultimi, tuttavia, l'esercizio del diritto di voto è efficace quando la proposta ne preveda il pagamento integrale se rinunciano alla prelazione, ovvero il pagamento parziale, per provata incapienza del bene gravato ed ai sensi dell'art. 124, terzo comma legge fall., ovvero nessun trattamento come privilegiati, a causa della totale insussistenza o incapienza del bene gravato della garanzia. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo al voto di Comuni, creditori privilegiati ex art. 2768 c.c., senza però che nella massa attiva fossero stati rinvenuti beni del debitore oggetto di sequestro conservativo a garanzia del risarcimento dei danni subiti dalle parti offese da reati di cui il fallito era responsabile civile).

(massima n. 3)

In tema di concordato fallimentare, la necessità di identificare il soggetto proponente, se da un lato corrisponde all'esigenza di verificare se la proposta provenga dal fallito - al fine di controllarne la legittimazione, operando i limiti temporali di cui all'art. 124 legge fallim., nel testo "ratione temporis" vigente e sussistendo il divieto della cessione delle azioni di massa, consentita solo al terzo - dall'altro, a tutela dell'affidamento dei creditori, è circoscritta alle sole informazioni attinenti alla capacità solutoria del soggetto in relazione alle obbligazioni assunte con il concordato stesso, dunque alla sua fattibilità, rimessa alle valutazioni dei creditori medesimi, primi e, in difetto di opposizioni, unici controllori. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla proposta proveniente da società regolarmente costituita, della quale il giudice di merito aveva rilevato l'affidabilità, avendo essa depositato fidejussione bancaria a garanzia delle obbligazioni assunte).

(massima n. 4)

In tema di concordato fallimentare, non sussiste alcuna obbligatorietà nella formazione delle classi dei creditori, pur in presenza di interessi di alcuni creditori differenziati rispetto a quelli della generalità degli altri: la mera discrezionalità di tale suddivisione discende, da un lato, dal dato testuale (relativo alla proposta, ex artt. 124, comma 2, e 125, comma 3, legge fall., ed alla approvazione, ex artt. 128, comma 1 e 129, comma 5, legge fall.) e, dall'altro, dall'impossibilità di censire tutti gli interessi di cui sono portatori i creditori, apparendo fisiologico il conflitto tra gli stessi ed invero essendo accomunati, ove non siano prospettate modalità satisfattive diverse per creditori nella medesima posizione giuridica, dell'interesse, uguale per tutti, consistente nel perseguimento del maggior grado di soddisfacimento.

(massima n. 5)

In tema di concordato fallimentare, proposto (nella specie, da un terzo) nella vigenza del d.l.vo n. 5 del 2006 e prima del d.l.vo n. 169 del 2007, in una procedura di fallimento disciplinata, ad ogni altro effetto, dal testo originario del r.d. n. 267 del 1942, perchè aperta anteriormente all'entrata in vigore del cit. d.l.vo n. 5 ed ai sensi dell'art. 150 dello stesso, trovano immediata applicazione - al fine di evitare insanabili contraddizioni sistematiche - e disposizioni della legge fallimentare, come modificate, che siano implicitamente richiamate dalla disciplina del concordato e rilevanti per la nuova conformazione dell'istituto, come il novellato art. 40 legge fallim., che prevede il dovere di astensione per il componente del comitato dei creditori in conflitto di interessi. Ne consegue che il voto espresso da tale componente, pur implicando violazione del predetto obbligo, non comporta, tuttavia, conseguenze sulla regolarità del procedimento laddove resti indimostrata l'esistenza di un danno cagionato da tale partecipazione e qualora la delibera, con cui è stato espresso il parere, non sia stata fatta oggetto di un tempestivo reclamo ex art.36 legge fall.

(massima n. 6)

In tema di concordato fallimentare, può ricorrere l'abuso del diritto quando il fine della procedura (cioè la soluzione anticipata della crisi con tutela dei creditori secondo le modalità approvate dalla maggioranza) ecceda il sacrificio imposto al patrimonio del fallito per la parte non necessaria al soddisfacimento dei creditori; tuttavia, è da escludere che l'abuso consista nella mera violazione del trattamento paritario fra i creditori, come risulta dalla stessa previsione normativa sia del concordato con classi (con i trattamenti differenziati fra creditori), sia di quello senza classi (proponibile anche da un creditore o gruppo di creditori, che legittimamente possono perseguire utilità maggiori di quelle che potrebbero ritrarre dall'ordinario corso della procedura). Ne consegue che l'abuso predetto non sussiste quando la proposta preveda la cessione delle azioni revocatorie al terzo, in quanto il vantaggio che questi ritrae si riflette in un corrispondente maggior vantaggio altresì per i creditori, alla stregua di maggiore percentuale offerta e sicurezza adempitiva.

(massima n. 7)

In tema di votazione nel concordato fallimentare con classi di creditori, all'interno di esse il voto di ciascun creditore non può essere valutato alla stregua del rispetto o meno di un interesse comune trascendente quello dei singoli, non essendo configurabile alcun conflitto d'interesse, in quanto, da un lato, il fallimento non è un soggetto giuridico autonomo di cui i creditori siano partecipi e, dall'altro, questi ultimi sono costituiti in corpo deliberante in modo involontario e casuale, senza che ciò comporti la necessità di valutare un interesse comune trascendente quello dei singoli, nè sussiste in materia alcuna norma generale, avendo il legislatore disciplinato i casi di rilevanza del conflitto con specifiche disposizioni positive, così che la partecipazione al voto è la regola, mentre l'esclusione dallo stesso deve essere espressamente prevista.

(massima n. 8)

Nel giudizio di omologazione del concordato fallimentare, il curatore non assume la qualità di parte in senso anche sostanziale, poiché la sua partecipazione al procedimento deriva dallo svolgervi la funzione pubblicistica che lo qualifica come organo della procedura e, a tale stregua, necessario contraddittore processuale, mediante i pareri sulla proposta, la relazione all'esito del voto, la relazione in caso di inerzia del comitato dei creditori, l'iniziativa per la messa al voto di proposte ulteriori rispetto a quella scelta dal predetto comitato, la comunicazione del decreto del giudice delegato con le modalità per l'inizio del giudizio. Nè l'art. 131 legge fallim., nel prevedere - nel testo di cui al d.l.vo 9 gennaio 2006, n. 5, "ratione temporis" applicabile - che la notifica del reclamo avverso il decreto del tribunale avvenga nei confronti del curatore e delle "altre parti", rinvia a queste come ulteriori parti rispetto allo stesso curatore, dovendo invece essere inteso come fonte che individua nel curatore la parte solo formale del giudizio, essendo le "altre parti" quelle ulteriori rispetto al ricorrente, tant'è che il d.l.vo 12 settembre 2007, n. 169, modificando il citato articolo con valore interpretativo, ha disposto che la medesima notifica sia fatta in capo alle altri parti, identificate, se non reclamanti, nel fallito, nel proponente e negli opponenti, con ciò confermando che il curatore non può interporre autonomo reclamo. Ne consegue che il predetto difetto di legittimazione al reclamo, da parte del curatore, contro il decreto che decide sull'omologazione, rende inammissibile, altresì, il ricorso per cassazione, proposto dallo stesso organo, avverso la successiva decisione della corte d'appello assunta in sede di impugnazione.

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