Anche se la norma si riferisce ai magistrati del P.M. che “
intervengono”, si ritiene che l’espressione ivi contenuta debba intendersi in senso ampio, tale da ricomprendervi anche i
magistrati che esercitano l’azione ex art.
art. 69 del c.p.c..
A tali magistrati vengono applicate le norme in materia di
astensione, con rinvio, dunque, all’
art. 51 del c.p.c., il quale prevede due diversi tipi di
astensione, ossia quella
obbligatoria (che ricorre in presenza delle condizioni tassativamente stabilite dalla legge) e quella
facoltativa (legata a ragioni di convenienza, che lo stesso magistrato valuterà discrezionalmente).
Dispone espressamente la norma, invece, che non è ammissibile la
ricusazione contro il P.M.; da ciò si è argomentato che l’astensione sia stata voluta non tanto per preservare l’interesse delle altre parti, quanto piuttosto per garantire il corretto svolgimento della funzione da parte del P.M.
Di contro, vi è chi ritiene che in realtà anche l’astensione abbia la finalità di risolvere un eventuale contrasto tra l’interesse pubblico rappresentato dal P.M. e l’interesse delle parti e che la ricusazione non sia stata prevista per assimilare ancor di più la posizione del P.M. a quella delle parti private, differenziandola da quella del giudice.
Per quanto concerne le conseguenze della mancata astensione, si esclude che ciò possa dar luogo a
nullità che si rifletta sulla
sentenza che viene emanata al termine del procedimento, e si ritiene piuttosto che essa sia soltanto in grado di generare
responsabilità disciplinare a carico del magistrato, costituendo violazione di un dovere di ufficio (e ciò anche quando si tratti di un caso di astensione giustificata dalle circostanze del caso).
Infatti, l'illecito disciplinare della consapevole inosservanza del dovere di astensione nei casi previsti dalla legge (disciplinato dall'art. 2, co. 1, lett. c), D.Lgs. 23.2.2006, n. 109) è configurabile anche a carico del P.M., sebbene per esso sia prevista solo la facoltà di astenersi, in quanto anche per il P.M. sussiste il dovere di valutare, nell'esercizio delle sue funzioni, le ragioni di grave convenienza che lo possano indurre a non trattare cause in cui egli o suoi stretti congiunti abbiano interessi e quello di astenersi nel caso di verificata esistenza di tali ragioni.