Il provvedimento con cui il giudice decide sulla ricusazione assume la forma dell’
ordinanza e, se l’accoglie, deve contenere l’indicazione nominale del giudice che sostituisce il ricusato.
La giurisprudenza di legittimità ha ribadito la non ricorribilità in Cassazione anche con riferimento al capo dell’ordinanza recante la condanna del ricusante al pagamento della
pena pecuniaria di cui al 3° comma dell’articolo in esame, motivando tale scelta sulla base della sua natura di provvedimento meramente ordinatorio ed amministrativo (non suscettibile di acquisire autorità di
giudicato) ovvero dalla sua natura di provvedimento decisorio ma non definitivo (contro di essa è pur sempre possibile dedurre censure nel corso del giudizio di merito).
Trattasi di provvedimento che ha soltanto efficacia di
titolo esecutivo a favore dell’amministrazione, la cui illegittimità potrà farsi valere soltanto in sede di
esecuzione o riscossione coattiva, come previsto per i titoli esecutivi che hanno carattere non giurisdizionale, ma amministrativo.
Si ritiene possa essere utile ricordare che il terzo comma dell’articolo in esame è stato modificato a seguito della riforma operata con la Legge n. 69 del 18 giugno 2009. Le differenza rispetto alla versione previgente riguardano:
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il venir meno di un automatismo tra la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto della ricusazione, da una lato, e la condanna della parte che aveva avanzato la relativa istanza al pagamento di una pena pecuniaria, dall’altro lato. Adesso, infatti, è lasciato alla discrezionalità del giudice condannare o meno la parte che ha proposto la ricusazione al pagamento di una pena pecuniaria, in caso di inammissibilità o di reiezione della ricusazione.
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non è più lasciata al giudice la facoltà di scegliere se irrogare la sanzione pecuniaria alla parte o al difensore di quest’ultima: adesso può essere sanzionata soltanto la parte.
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nel testo precedente era previsto che la pena pecuniaria non potesse superare 10 euro; adesso, invece, la misura della pena è stata incrementata, disponendo la norma attuale che non può essere superiore a 250 euro.
La giurisprudenza ha voluto porre in rilievo il carattere strumentale dell’istanza di ricusazione rispetto alla decisione di merito, affermando, proprio sulla base di ciò, che qualora venga rimossa la causa che ha dato luogo alla ricusazione, viene anche meno la necessità di provvedere su di essa; in tal senso si argomenta dall’
art. 39 del c.p.p., norma che, seppure dettata per il processo penale, viene dalla Corte di Cassazione ritenuta espressione di un principio di carattere generale, in forza del quale la ricusazione deve considerarsi come non proposta allorché il giudice, anche successivamente ad essa, dichiari di astenersi e l’astensione venga accolta (in questo caso viene anche meno la possibilità di pronunciare la condanna della parte al pagamento della pena pecuniaria ex art. 54 co. 3 cpc).
L’ultimo comma della norma impone alla
cancelleria l’obbligo di dare notizia dell’ordinanza che decide sulla ricusazione al giudice ed alle parti, e ciò per porre queste ultime nella condizione di provvedere alla
riassunzione della causa entro il termine di sei mesi.
L’ordinanza di rigetto dell’istanza di ricusazione segna automaticamente il
dies ad quem dell’effetto sospensivo (si veda in tal senso l’ultimo comma dell’
art. 52 del c.p.c.); pertanto, entro sei mesi dalla conoscenza di tale evento (derivante, come visto prima, dalla
comunicazione che deve darne la cancelleria), la parte interessata, se intende evitare l’estinzione dello stesso, è tenuta a riassumere il processo sospeso.
Non può essere ritenuta equipollente alla riassunzione la proposizione di un ricorso per cassazione ex
art. 111 Cost., e ciò in considerazione della diversa finalità di tale strumento impugnatorio rispetto a quella di riattivare il giudizio.