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Articolo 141 Codice dell'ambiente

(D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)

[Aggiornato al 15/11/2024]

Ambito di applicazione

Dispositivo dell'art. 141 Codice dell'ambiente

1. Oggetto delle disposizioni contenute nella presente sezione è la disciplina della gestione delle risorse idriche e del servizio idrico integrato per i profili che concernono la tutela dell'ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.

2. Il servizio idrico integrato è costituito dall'insieme dei servizi pubblici +di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione, nonché di riuso delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie. Le presenti disposizioni si applicano anche agli usi industriali delle acque gestite nell'ambito del servizio idrico integrato(1).

Note

(1) Il comma 2 è stato modificato dall'art. 3, comma 1, lettera e) del D.L. 17 ottobre 2024, n. 153.

Massime relative all'art. 141 Codice dell'ambiente

Cass. civ. n. 9427/2019

In tema di ICI, poiché l'attività di gestione del servizio idrico ha natura economica, i relativi impianti non rientrano tra le unità immobiliari catastalmente censibili nella categoria E, che è propria di quegli immobili con una caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale tale da renderli sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale, sicché, per tali impianti, non opera l'esenzione di cui all'art. 7, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 504 del 1992, applicabile solo ai fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9.

Cass. civ. n. 1549/2018

Deve ritenersi che, in considerazione sia della particolare composizione della società che gestisce il servizio, sia delle particolarità della funzione svolta, sia della prestazione commerciale complessa che essa eroga in favore degli utenti, in cui si fondono indistricabilmente interessi privatistici e pubblicistici, il soggetto gestore del servizio pubblico di erogazione di acqua potabile - sia esso organizzato come Consorzio di Comuni o come società di capitali - sia soggetto, nello stipulare con i fruitori del servizio il contratto di utenza, al rispetto degli obblighi anche di forma previsti per la redazione dei contratti della Pubblica Amministrazione e quindi al rispetto, per quanto qui interessa, del requisito della forma scritta a pena di nullità del contratto. Il contratto di utenza stipulato con i fruitori dal gestore del servizio pubblico di erogazione di acqua potabile, sia esso organizzato come consorzio di Comuni o come società di capitali, deve ritenersi soggetto agli obblighi di forma previsti per la redazione dei contratti della Pubblica Amministrazione e quindi al rispetto del requisito della forma scritta a pena di nullità del contratto, in considerazione sia della particolare composizione della società che gestisce il servizio, sia delle particolarità della funzione svolta, sia della prestazione commerciale complessa che essa eroga in favore degli utenti, in cui si fondono indistricabilmente interessi privatistici e pubblicistici.

Cons. Stato n. 2481/2017

Il servizio idrico integrato, a norma dell'art. 141, comma 2, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell'ambiente), consiste nell'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie (Conferma della sentenza del T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 780/2014).

Cons. Stato n. 5528/2013

La nozione di servizio idrico integrato (art. 141, comma 2, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - Codice dell'ambiente) è indissolubilmente collegata con una gestione che deve guardare alle acque come risorsa da tutelare e utilizzare secondo criteri di solidarietà salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale e, quindi, con una disciplina del loro uso "razionalizzata", intesa a evitare gli sprechi e a favorire il rinnovo delle risorse, senza pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici (Riforma della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sez. I, 18 giugno 2012, n. 5608). La gestione del servizio idrico integrato (art. 141, comma 2, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - Codice dell'ambiente) nella sua unitarietà deve essere affidata mediante gara, o a società a partecipazione pubblica locale integrale o maggioritaria, in presenza di obiettive ragioni tecniche od economiche (Riforma della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sez. I, 18 giugno 2012, n. 5608).

Corte cost. n. 325/2010

È costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 1, della L.R. n. 2 del 2010 della Regione Campania, il quale prevede la competenza della medesima Regione a disciplinare il servizio idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica e a stabilire autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio sia il termine di decadenza degli affidamenti in essere. Le disposizioni censurate violano la normativa statale evocata quale parametro interposto ed emanata nell'esercizio della competenza esclusiva dello Stato nella materia "tutela della concorrenza". In particolare, la prima disposizione censurata si pone in evidente contrasto con le norme statali interposte che ricomprendono il servizio idrico integrato tra i servizi dotati di rilevanza economica. Quanto alla seconda disposizione, che individua le figure soggettive cui conferire la gestione del servizio idrico e determina un regime transitorio per la cessazione degli affidamenti diretti già in essere, essa si pone in evidente contrasto con il regime transitorio disciplinato dall'art. 23-bis del D.L. n. 112 del 2008, il quale non può essere oggetto di deroga da parte delle Regioni, in quanto riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato nella materia "tutela della concorrenza". È costituzionalmente illegittimo il c. 1 dell'art. 1 della L.R. n. 2/2010, Campania, il quale prevede la competenza della medesima Regione a disciplinare il servizio idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica ed a stabilire autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio sia il termine di decadenza degli affidamenti in essere, in quanto essa si pone in contrasto con gli artt. 141 e 154 del D.Lgs. n. 152 del 2006, l'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, il D.L. n. 135 del 2009 e l'art. 113 TUEL - D.Lgs. n. 267/2000, che ricomprendono il servizio idrico integrato tra i servizi dotati di rilevanza economica. La disciplina statale pone una nozione generale e oggettiva di rilevanza economica, alla quale le Regioni non possono sostituire una nozione meramente soggettiva, incentrata cioè su una valutazione discrezionale da parte dei singoli enti territoriali e ponendosi, altresì, in contrasto con il regime transitorio disciplinato dall'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, il quale non può essere oggetto di deroga da parte delle Regioni.

Corte cost. n. 307/2009

È incostituzionale l'art. 49, comma 1, L.R. 12 dicembre 2003, n. 26, Lombardia, come sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. p), L.R. 8 agosto 2006, n. 18, Lombardia, nella parte in cui dispone che il servizio idrico integrato a livello di ambito sia organizzato separando obbligatoriamente l'attività di gestione delle reti dall'attività di erogazione dei servizi.

Corte cost. n. 246/2009

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 141, comma 1, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per asserita violazione del principio di leale collaborazione, dato che la disposizione denunciata non è presa in considerazione nella delibera di autorizzazione alla proposizione del ricorso; sicché trova applicazione il principio, affermato dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui la deliberazione di autorizzazione alla proposizione del ricorso deve necessariamente indicare le specifiche disposizioni che si intendono impugnare.

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