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Articolo 311 Codice dell'ambiente

(D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)

[Aggiornato al 15/11/2024]

Azione risarcitoria in forma specifica

Dispositivo dell'art. 311 Codice dell'ambiente

1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare agisce, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto.

2. Quando si verifica un danno ambientale cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell'allegato 5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all'adozione delle misure di riparazione di cui all'allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri ivi previsti, da effettuare entro il termine congruo di cui all'articolo 314, comma 2, del presente decreto. Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa. Solo quando l'adozione delle misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalità prescritti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attività necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti.

3. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede in applicazione dei criteri enunciati negli allegati 3 e 4 della presente parte sesta alla determinazione delle misure di riparazione da adottare e provvede con le procedure di cui al presente titolo III all'accertamento delle responsabilità risarcitorie. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definiti, in conformità a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell'allegato 3 alla presente parte sesta i criteri ed i metodi, anche di valutazione monetaria, per determinare la portata delle misure di riparazione complementare e compensativa. Tali criteri e metodi trovano applicazione anche ai giudizi pendenti non ancora definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore del decreto di cui al periodo precedente. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale. Il relativo debito si trasmette, secondo le leggi vigenti, agli eredi, nei limiti del loro effettivo arricchimento.

Massime relative all'art. 311 Codice dell'ambiente

Cass. civ. n. 8662/2017

Il giudice della domanda di risarcimento del danno ambientale ancora pendente alla data di entrata in vigore della L. 6 agosto 2013, n. 97, che ha novellato l'art. 311 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Testo Unico Ambiente), non può determinare il risarcimento del danno in forma equivalente, ma può ancora conoscere della domanda, individuando le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa e, per il caso di omessa o imperfetta loro esecuzione, valutarne il costo, da rendere oggetto di condanna nei confronti dei soggetti responsabili. In tema di disciplina applicabile nei giudizi relativi alla materia ambientale, per la definizione di danno ambientale e l'identificazione dell'attività idonea a determinare la responsabilità dell'agente deve farsi riferimento alla normativa vigente al momento in cui si sono verificati i fatti, mentre per i criteri di liquidazione del danno si applica, anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 97 del 2013, l'art. 311, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, nel testo modificato, da ultimo, dall'art. 25 della legge n. 97 citata, come da espressa previsione normativa.

C. Conti n. 412/2016

L'art. 311 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, assoggetta a responsabilità chiunque arrechi danno all'ambiente e dispone che il Ministero dell'Ambiente agisce, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento di detto pregiudizio in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale ed il successivo art. 313, comma 6, stabilisce che, nel caso di danno provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il Ministro dell'Ambiente, anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia rapporto all'ufficio di Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti competente per territorio. Ne consegue che la contestazione del danno ambientale è assoggettata a presupposti di procedibilità che ne escludono la cognizione diretta da parte del Giudice contabile (nel caso di specie, l'azione del Procuratore regionale è stata dichiarata improcedibile poiché diretta non a contestare il danno patrimoniale subito dalla Pubblica amministrazione per esborsi ma una fattispecie di danno ambientale).

Cass. civ. n. 14935/2016

La liquidazione del danno ambientale per equivalente è ormai esclusa alla data di entrata in vigore della L. n. 97 del 2013, ma il giudice può ancora conoscere della domanda pendente alla data di entrata in vigore della menzionata legge in applicazione del nuovo testo dell'art. 311 del D.Lgs. n. 152 del 2006 (come modificato prima dall'art. 5-bis, comma 1, lett. b, del D.L. n. 135 del 2009 e poi dall'art. 25 della L. n. 97 del 2013), individuando le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa e, per il caso di omessa o imperfetta loro esecuzione, determinandone il costo, da rendere oggetto di condanna nei confronti dei soggetti obbligati. (Cassa con rinvio, Trib. Livorno, 13 aprile 2015). Il giudice della domanda di risarcimento del danno ambientale ancora pendente alla data di entrata in vigore della legge 6 agosto 2013, n. 97, essendo ormai esclusa la liquidazione per equivalente di quello, può ancora conoscere della domanda in applicazione del nuovo testo del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 311 come modificato prima dal D.L. n. 135/2009, art. 5-bis, comma 1, lett. b), cit. e poi dalla legge n. 97/2013, art. 25 cit., individuando le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa e, per il caso di omessa o imperfetta loro esecuzione, determinandone il costo, da rendere oggetto di condanna nei confronti dei soggetti obbligati. Proposta dal ministero dell'ambiente e da un'autorità portuale domanda di ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria di una società ritenuta responsabile dell'inquinamento di alcune aree, è erronea la decisione di non ammettere il credito avente a oggetto il rimborso delle spese già erogate dagli istanti per la messa in sicurezza e il ripristino dei siti contaminati, ove il giudice di merito si sia basato sull'assenza di prova del nesso di causalità tra le attività produttive dell'impresa e l'inquinamento riscontrato, non tenendo conto della relazione dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, né disponendo una consulenza tecnica d'ufficio. Ove una controversia volta al risarcimento del danno ambientale sia ancora pendente alla data di entrata in vigore della L. 6 agosto 2013, n. 97, mentre è ormai esclusa la risarcibilità per equivalente, il giudice può ancora conoscere della domanda, individuando le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa ivi prescritte e, per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione, determinandone il costo, da rendere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti.

Corte cost. n. 126/2016

È infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alla portata dell'art. 311, comma 1, (riguardante l'azione risarcitoria in forma specifica) del c.d. "Codice dell'ambiente" (D.Lgs. n. 152/2006), nella parte in cui riconosce solo allo Stato la legittimazione ad agire in ambito risarcitorio per la produzione del danno ambientale, escludendo la concorrente legittimazione delle Regioni nel cui territorio le conseguenze dannose vengono concretamente a configurarsi. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 24 e 32 Cost., nonché al principio di ragionevolezza - dell'art. 311, comma 1, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui attribuisce al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e per esso allo Stato, la legittimazione all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno ambientale, escludendo la legittimazione concorrente o sostitutiva della Regione e degli enti locali sul cui territorio si è verificato il danno; tale normativa infatti non esclude che sussista il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni specifici da essi subiti. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 24 e 32 Cost. - dell'art. 311, comma 1, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che attribuisce al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e per esso allo Stato, la legittimazione all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno ambientale, escludendo la legittimazione concorrente o sostitutiva della Regione e degli enti locali sul cui territorio si è verificato il danno. La normativa impugnata è infatti la conseguenza logica del cambiamento di prospettiva intervenuto nella materia del danno ambientale, come emerge dall'evoluzione della giurisprudenza costituzionale e della relativa normativa. Se, originariamente, l'ambiente è stato considerato bene immateriale unitario, in modo che alla rilevanza dei numerosi e diversificati interessi che fanno capo alle Regioni e gli enti locali si aggiungeva l'esigenza di uniformità di tutela, che solo lo Stato può garantire, il quadro normativo è profondamente mutato con la direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE. Alla prima disciplina organica della materia (legge n. 349 del 1986) che legittimava a promuovere l'azione di risarcimento del danno ambientale sia lo Stato che gli enti territoriali, si è aggiunto il principio che la prevenzione e la riparazione del danno ambientale costituiscono obiettivi della politica ambientale comunitaria, e che dunque a prevalere non è più il profilo risarcitorio, ma quello della riparazione. Successivamente, i D.Lgs. nn. 152 del 2006 e 135 del 2009 hanno stabilito, rispettivamente, la priorità delle misure di riparazione rispetto al risarcimento per equivalente pecuniario, nonché la tipologia delle misure di riparazione («primaria», «complementare», «compensativa»), relegando la tutela risarcitoria alla sola ipotesi in cui le misure di riparazione fossero in tutto o in parte omesse, o attuate in modo incompleto o difforme rispetto a quelle prescritte ovvero impossibili o eccessivamente onerose. Infine, la legge n. 97 del 2013 ha eliminato, per il danno all'ambiente, il risarcimento "per equivalente patrimoniale" e imposto le "misure di riparazione". Quanto a queste ultime, se non provvede in prima battuta il responsabile del danno, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare procede direttamente agli interventi necessari, determinando i costi delle attività occorrenti per conseguire la completa e corretta attuazione e agendo nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti. È dunque in questo scenario normativo che appare non più implausibile l'esigenza di assicurare che l'esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale. Se il ripristino ambientale è ora al centro del sistema, ne deriva l'esigenza di una gestione unitaria, che giustifica la nuova disciplina del potere di agire in via risarcitoria riservato allo Stato, d'altra parte, la normativa non esclude che sussista il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni specifici da essi subiti, dal momento che la normativa speciale sul danno ambientale si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio. Né è fondato il timore che la disciplina espone la tutela dell'ambiente al rischio di una inazione statuale, attraverso la mancata costituzione di parte civile. A prescindere dalla considerazione che la proposizione della domanda nel processo penale è solo una delle opzioni previste dal legislatore, potendo lo Stato agire direttamente in sede civile, o in via amministrativa, l'interesse alla tempestività ed effettività degli interventi di risanamento di cui sono portatori gli altri soggetti istituzionali, è salvaguardato dalla possibilità che essi hanno di presentare al Ministro denunce e osservazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente relativa e chiedere l'intervento statale a tutela dell'ambiente. È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 311, 1° comma, D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, nella parte in cui attribuisce al ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e per esso allo Stato, la legittimazione all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno ambientale, escludendo la legittimazione concorrente o sostitutiva della regione e degli enti locali sul cui territorio si è verificato il danno, in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 24 e 32 Cost.

Corte cost. n. 121/2016

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 311, comma 1, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) nella parte in cui riserva allo Stato, ed in particolare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il potere di agire, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale (art. 311), e mantiene solo «il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi» (art. 313, comma 7, secondo periodo). All'esigenza di unitarietà della gestione del bene "ambiente" non può infatti sottrarsi la fase risarcitoria. Essa, pur non essendo certo qualificabile come amministrativa, ne costituisce il naturale completamento, essendo volta a garantire alla istituzione su cui incombe la responsabilità del risanamento, la disponibilità delle risorse necessarie, risorse che hanno appunto questa specifica ed esclusiva destinazione. Ciò non esclude che ai sensi dell'art. 311 del D.Lgs. n. 152 del 2006 sussista il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni specifici da essi subiti.

Cass. civ. n. 3259/2016

In materia di danno ambientale, la condotta antigiuridica consiste nel mantenimento dell'ambiente nelle condizioni di danneggiamento, sicché il termine prescrizionale dell'azione di risarcimento inizia a decorrere solo dal momento in cui tali condizioni siano state volontariamente eliminate dal danneggiante ovvero la condotta sia stata resa impossibile dalla perdita incolpevole della disponibilità del bene da parte di quest'ultimo. Si tratta di principio che, sebbene relativo a fattispecie di danno ambientale determinatosi in costanza della vigenza della legge n. 349/1986, art. 18 (per fatti precedenti al 1994 o a partire da tale epoca), è predicabile anche in riferimento a fattispecie sussumibile nell'art. 2043 cod. civ.

Cass. pen. n. 20150/2016

La legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali aventi ad oggetto fatti compiuti successivamente al 29 aprile 2006 spetta, in via esclusiva, allo Stato per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, inteso come lesione dell'interesse pubblico all'integrità e salubrità dell'ambiente, mentre tutti gli altri soggetti (come la Provincia) possono esercitare l'azione civile in sede penale ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. solo per ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari diversi dall'interesse pubblico alla tutela dell'ambiente, pur se derivante dalla stessa

Cass. pen. n. 44638/2015

È applicabile la misura cautelare del sequestro conservativo in relazione al risarcimento pecuniario conseguente a danno ambientale, previsto dall'art. 311 del D.Lgs. del 3 aprile 2006 n.152. (In motivazione, la Corte ha precisato che il risarcimento per equivalente conseguente a danno ambientale, sebbene costituisca evenienza subordinata all'impossibilità di procedere in forma ripristinatoria, è soluzione che non può essere esclusa nella fase cautelare, non essendo ancora possibile stabilire, nel perdurare della stessa, se si farà o meno ricorso al ripristino in forma specifica). (Annulla con rinvio, Trib. lib. Vercelli, 18 marzo 2015).

Cass. civ. n. 16807/2015

Gli enti locali che abbiano agito per il risarcimento del danno ambientale in sostituzione del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (in capo al quale è ora riconosciuta in via esclusiva la legittimazione) in epoca anteriore al D.Lgs. n. 152/2006 conservano legittimazione attiva, ma le loro domande sono esaminate e decise all'indispensabile condizione della armonizzazione delle stesse domande e delle eventuali condanne con i criteri previsti dall'art. 311, D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dall'art. 25 della L. 6 agosto 2013, n. 97, in modo che gli attori non conseguano risarcimenti pecuniari, ormai vietati dal mutato assetto ordinamentale.

Cass. civ. n. 16806/2015

In virtù dell'evoluzione della normativa nazionale, definitivamente armonizzata con quella eurounitaria con il recepimento organico dei relativi principi - anche a causa di un duplice avvio a carico della Repubblica italiana, da parte della Commissione dell'UE, di procedure di infrazione alla Dir. 2004/35/CE - sono espunti dall'ordinamento i criteri di risarcibilità del danno ambientale per equivalente e sono legittime solo le misure di riparazione (primaria, complementare e compensativa) previste dall'art. 311, D.Lgs. n. 152/ 2006, come modificato dall'art. 25 della L. 6 agosto 2013, n. 97. I criteri di riparazione del danno ambientale stabiliti dall'art. 311, D.Lgs. n. 152/2006 si applicano anche alle controversie ancora in corso, nonostante possano riferirsi anche a fatti anteriori alla data di applicabilità della direttiva comunitaria, inscindibile essendo l'identificazione dell'ambiente quale oggetto di tutela e delle modalità e dell'ambito del risarcimento della sua lesione e per evitare la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto eurounitario. In tema di risarcimento del danno ambientale, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 97 del 2013, anche se riferiti a fatti anteriori alla data di applicabilità della direttiva comunitaria recepita da tale legge, è applicabile l'art. 311 del D.Lgs. n. 152 del 2006, nel testo modificato, da ultimo, dall'art. 25 della legge n. 97 cit., ai sensi del quale resta esclusa la risarcibilità per equivalente, dovendo ora il giudice individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa ivi prescritte e, per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione, determinarne il costo, in quanto solo quest'ultimo (ovvero il suo rimborso) potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti. Non residua alcun danno ambientale quantificabile e quindi risarcibile - né in forma specifica, né a maggior ragione per equivalente - ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio reso oggetto dell'intervento inquinante o danneggiante. Ne consegue che non residua alcun danno ambientale risarcibile ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio, da verificarsi alla stregua della nuova normativa. (Cassa con rinvio, App. Venezia, 7 settembre 2011).

Cass. civ. n. 9013/2015

Il giudice della domanda di risarcimento del danno ambientale ancora pendente alla data di entrata in vigore della L. 6 agosto 2013, n. 97 (Legge Europea 2013), essendo ormai esclusa la liquidazione per equivalente di quello, può ancora conoscere della domanda attraverso l'applicazione ufficiosa e retroattiva dei criteri previsti dall'art. 311, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dall'art. 25 della L. 6 agosto 2013, n. 97, individuando le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa. Il giudice della domanda di risarcimento del danno ambientale ancora pendente alla data di entrata in vigore della legge 6 agosto 2013, n. 97, essendo ormai esclusa la liquidazione per equivalente di quello, può ancora conoscere della domanda in applicazione del nuovo testo del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 311 come modificato prima dal D.L. n. 135 del 2009 cit., art. 5-bis, comma 1, lett. b), e poi dalla legge n. 97 del 2013, art. 25 cit., individuando le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa e, per il caso di omessa o imperfetta loro esecuzione, determinandone il costo, da rendere oggetto di condanna nei confronti dei soggetti obbligati. Il danno ambientale non può in nessun caso essere risarcito "per equivalente" pecuniario, ma solo con le misure di riparazione previste dall'art. 311, D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dall'art. 25, L. n. 97/2013, applicabile anche ai giudizi in corso, e in applicazione dei criteri enunciati negli allegati 3 e 4 alla parte sesta, D.Lgs. n. 152/2006.

Cass. civ. n. 9012/2015

Il danno ambientale non può in nessun caso essere risarcito "per equivalente" pecuniario, ma solo con le misure di riparazione previste dall'art. 311, D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dall'art. 25, L. n. 97/2013, applicabile anche ai giudizi in corso, e in applicazione dei criteri enunciati negli allegati 3 e 4 alla parte sesta, D.Lgs. n. 152/2006. In materia di responsabilità per danno ambientale, la regola di cui all'art. 311, comma 3, penultimo periodo, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel testo modificato, da ultimo, dall'art. 25 della legge 6 agosto 2013, n. 97 - per la quale "nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale" - mira ad evitare la responsabilità anche per fatti altrui, sicché opera nei casi di plurime condotte indipendenti e non anche in quelli di azioni od omissioni concorrenti in senso stretto alla concretizzazione di un'unitaria condotta di danneggiamento dell'ambiente, che restino tutte tra loro avvinte quali indispensabili antefatti causali di questa. Ne consegue che, in tale ultima ipotesi, non soffre limitazione la regola di cui all'art. 2055 cod. civ. in tema di responsabilità di ciascun coautore della condotta per l'intero evento causato. (Cassa con rinvio, App. Torino, 17 febbraio 2011). In tema di risarcimento del danno ambientale, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della L. 6 agosto 2013, n. 97, anche se riferiti a fatti anteriori alla data di applicabilità della direttiva comunitaria recepita da tale legge, è applicabile l'art. 311, D.Lgs. n. 152/2006, nel testo modificato, da ultimo, dall'art. 25 della L. n. 97/2013, ai sensi del quale resta esclusa la risarcibilità per equivalente, dovendo ora il giudice individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa ivi prescritte e, per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione, determinarne il costo, in quanto solo quest'ultimo (ovvero il suo rimborso) potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggiami. In materia di responsabilità per danno ambientale, la regola di cui all'art. 311, comma 3, penultimo periodo, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel testo modificato, da ultimo, dall'art. 25 della legge 6 agosto 2013, n. 97 - per la quale "nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale" - mira ad evitare la responsabilità anche per fatti altrui, sicché opera nei casi di plurime condotte indipendenti e non anche in quelli di azioni od omissioni concorrenti in senso stretto alla concretizzazione di un'unitaria condotta di danneggiamento dell'ambiente, che restino tutte tra loro avvinte quali indispensabili antefatti causali di questa. Ne consegue che, in tale ultima ipotesi, non soffre limitazione la regola di cui all'art. 2055 cod. civ. in tema di responsabilità di ciascun coautore della condotta per l'intero evento causato. (Cassa con rinvio, App. Torino, 17 febbraio 2011).

Cass. pen. n. 24677/2014

La legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali aventi ad oggetto fatti compiuti successivamente al 29 aprile 2006 a seguito della abrogazione dell'art. 18, comma terzo, della L. n. 349 del 1986 derivante dall'entrata in vigore dell'art. 318, comma secondo, lett. a), del D.Lgs. n. 152 del 2006, spetta, in via esclusiva, allo Stato per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, inteso come lesione dell'interesse pubblico alla integrità e salubrità dell'ambiente, mentre tutti gli altri soggetti, singoli o associati, comprese le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, possono esercitare l'azione civile in sede penale ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. solo per ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari diversi dall'interesse pubblico alla tutela dell'ambiente, pur se derivante dalla stessa condotta lesiva. (Annulla ai soli effetti civili, App. Venezia, 7 marzo 2013).

Cass. pen. n. 24619/2014

La legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al Ministro dell'Ambiente per il risarcimento del danno ambientale ma anche agli enti locali territoriali, i quali deducano di avere subito, per effetto della condotta illecita, un danno diverso da quello ambientale, avente natura anche non patrimoniale. (In applicazione del principio la Corte ha confermato la decisione con la quale era stato riconosciuto al Comune ed alla Regione il risarcimento per danno all'immagine). (Rigetta, Trib. Milano, 2 maggio 2013).

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