Cass. pen. n. 51475/2018
In tema di danno all'ambiente, anche l'inquinamento dell'aria, se "significativo e misurabile", è inquadrabile nella nozione di danno ambientale di cui all'art. 300, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, rientrando l'aria nel novero delle "risorse naturali"; ne appare dirimente il fatto che il comma 2 dell'art. 300, nel precisare che costituisce danno ambientale qualsiasi deterioramento provocato a una serie di elementi naturali, non contenga alcun riferimento all'aria, ma soltanto alle specie e agli habitat protetti, alle acque (interne, marine e costiere) e al terreno.
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Ai fini della configurabilità del danno ambientale, consistente in qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima, rileva anche l'inquinamento dell'aria. (In motivazione la Corte ha ritenuto irrilevante che la norma indicata, al comma 2, precisando che costituisce danno ambientale, ai sensi della direttiva 2004/35/CE qualsiasi deterioramento rispetto alle condizioni originarie, provocato alle specie, agli habitat protetti, alle acque e al terreno, non si riferisca all'aria, non essendovi dubbio che quest'ultima costituisca una delle più importanti risorse naturali per ogni essere animale e vegetale).
Cass. civ. n. 14935/2016
Proposta dal ministero dell'ambiente e da un'autorità portuale domanda di ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria di una società ritenuta responsabile dell'inquinamento di alcune aree, è erronea la decisione di non ammettere il credito avente a oggetto il rimborso delle spese già erogate dagli istanti per la messa in sicurezza e il ripristino dei siti contaminati, ove il giudice di merito si sia basato sull'assenza di prova del nesso di causalità tra le attività produttive dell'impresa e l'inquinamento riscontrato, non tenendo conto della relazione dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, né disponendo una consulenza tecnica d'ufficio.
Corte cost. n. 126/2016
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 24 e 32 della Costituzione, nonché al principio di ragionevolezza - dell'art. 311, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui attribuisce al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e per esso allo Stato, la legittimazione all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno ambientale, escludendo la legittimazione concorrente o sostitutiva della Regione e degli enti locali sul cui territorio si è verificato il danno; tale normativa infatti non esclude che sussista il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni specifici da essi subiti.
Cass. civ. n. 16806/2015
Non residua alcun danno ambientale economicamente quantificabile e quindi risarcibile ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio reso oggetto dell'intervento inquinante o danneggiarne, soltanto il costo (ovvero il rimborso) delle quali potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti.
C. Conti n. 137/2015
In base all'art. 300 del D.Lgs. 152/2006, il legislatore italiano ha fornito per la prima volta una definizione di danno ambientale, statuendo che "È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima": trattasi di una definizione diversa da quella di cui all'art. 2 della direttiva 2004/35/CE (secondo cui è danno ambientale: a) il danno alle specie e agli habitat naturali protetti in base alle direttive Habitat ed Uccelli della Comunità Europea, ad esclusione di quei danni preventivamente identificati di un'"attività professionale" espressamente autorizzata dalle autorità competenti; b) il danno alle acque, vale a dire qualsiasi modificazione significativa e negativa dello stato ecologico, chimico e/o quantitativo e/o sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, a eccezione degli effetti negativi cui si applica l'articolo 4, paragrafo 7 di tale direttiva; c) ogni contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell'introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze preparati organismi o microrganismi perché effettuando un generico riferimento alle "risorse naturali" sembra dare ingresso alla tutela civilistica anche a risorse naturali, come per esempio l'atmosfera, escluse dalla definizione di danno ambientale contenuta nella direttiva comunitaria.
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L'art. 311, del D.Lgs. 152/2006 dedicato al "Risarcimento del danno ambientale", ribadendo la risarcibilità del danno ambientale già statuita dall'art. 18, L. n. 349/1986 (seppur con devoluzione della giurisdizione all'a.g.o.), stabilisce che chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.
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I soggetti coinvolti, in varie vesti, nella protezione dell'ambiente sono molteplici: Ministero dell'Ambiente, Regioni, Province, Comunità montane, Comuni, Enti-Parco, Corpo Forestale, Magistratura penale, nonché le stesse persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale, o che vantino un interesse alla partecipazione al procedimento relativo all'adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino: anche esse sono legittimate ad agire, secondo i principi generali, per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del Ministero, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale, avanti al giudice amministrativo.
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Il bene "ambiente" trova nel nostro ordinamento, sul piano preventivo e repressivo, una tutela legislativa, penale, amministrativa, civile, ed anche amministrativo-contabile a fronte di condotte di soggetti pubblici-persone fisiche che con la loro inerzia producano danno ambientale. In particolare, ai sensi dell'art. 313, co. 6, del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, "nel caso di danno provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia rapporto all'ufficio di Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti competente per territorio". Tale norma ha introdotto un chiaro discrimine nella giurisdizione in materia di danno ambientale, appartenente in via generale al giudice ordinario, salvo i casi in cui tale danno sia "provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti", nel qual caso il Ministero non può agire autonomamente, ma deve limitarsi ad inviare "rapporto all'ufficio di Procura regionale", per l'azione di competenza dinanzi alla Sezione giurisdizionale della stessa Corte.
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Qualora la conoscenza di un danno ambientale da parte della Procura contabile avvenga non già su segnalazione del Ministero dell'ambiente ai sensi dell'art. 313, co. 6, del D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, ma del Corpo Forestale con relazione, specifica, concreta e dettagliata (parametri di ricevibilità/procedibilità dell'azione della Procura rilevanti ex 17, comma 30-ter, del D.L. n.78/2009), tale canale di conoscenza non preclude la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di soggetti, quali i convenuti, incontestabilmente sottoposti a giurisdizione contabile quali funzionari pubblici autori di un danno a beni pubblici.
Cons. Stato n. 5295/2012
In sede di impugnazione di un provvedimento lesivo di interessi ambientali, ai sensi degli artt. 13 e 18 L. 8 luglio 1986 n. 349, l'esplicita legittimazione delle Associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all'azione giudiziale non esclude, di per sé, analoga legittimazione ad agire in un ambito territoriale ben circoscritto, anche per i comitati che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio; pertanto, ben può essere riconosciuta la legittimazione a impugnare atti amministrativi a tutela dell'ambiente a favore di Associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità e svolgano la propria attività in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso.
Cass. pen. n. 19439/2012
Il danno, necessariamente diverso da quello della lesione dell'ambiente come bene pubblico, risarcibile in favore delle associazioni ambientaliste costituite parti civili nei procedimenti per reati ambientali, può avere natura, oltre che patrimoniale, anche morale, derivante dal pregiudizio arrecato all'attività da esse concretamente svolta per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo. (Annulla in parte con rinvio, Trib. Vicenza, 9 febbraio 2011).
Cass. pen. n. 36818/2011
Ai fini della configurabilità oggettiva del danno ambientale, di cui all'art. 300, comma 2, lett. d), del Codice dell'Ambiente (D.Lgs. n. 152 del 2006), non rileva il livello di inquinamento in senso assoluto, ma l'incremento dell'inquinamento rispetto alle condizioni originarie. Ne deriva che siffatto danno sussiste (come acclarato nel caso di specie) allorché risulti accertata la presenza in discarica di rifiuti maggiormente inquinanti rispetto a quelli che la discarica, in base alle sue caratteristiche costruttive ed operative, è in grado di accogliere.
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In tema di gestione di rifiuti, l'accertata presenza in discarica di rifiuti di tipologia diversa e maggiormente inquinante rispetto a quelli che la discarica stessa, per caratteristiche costruttive e operative, sia in grado di accogliere, è idonea a configurare un danno ambientale ex art. 300, comma secondo, lett. d), D.Lgs. n. 152 del 2006. (Rigetta in parte, App. Venezia, 20 maggio 2010).
Cass. civ. n. 6551/2011
Ai fini della liquidazione del danno ambientale, i parametri (gravità della colpa individuale, costo necessario per il ripristino e profitto conseguito dal trasgressore) richiamati all'art. 18, co. 6 della L. 8 luglio 1986, n. 349 (oggi sostituito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 113) non integrano ciascuno un'autonoma voce di danno, ma costituiscono i criteri da tenere presente per la valutazione equitativa, che rimane complessiva e riferita alla lesione nel suo complesso. Ai fini della liquidazione del danno ambientale, è erronea l'esclusione del criterio dei costi di ripristino allorché questo sia escluso, o per obiettiva impossibilità o per libera determinazione del danneggiato; il bene giuridico costituito dall'ambiente - infatti - rimane oggettivamente danneggiato anche se il titolare di quello ritenga impossibile o non conveniente il ripristino, sicché il controvalore di tale diminuzione spetta comunque al danneggiato, in base a principi affatto generali della responsabilità civile. Spetta incoercibilmente al danneggiato, che abbia conseguito un risarcimento per equivalente, ogni determinazione sulla sua concreta destinazione al ripristino effettivo della situazione preesistente, ovvero sul trattenimento ed il reimpiego di quella riparazione - attesa appunto l'assoluta fungibilità del denaro in cui essa consiste - mediante sua destinazione al soddisfacimento di fini ritenuti egualmente satisfattivi. Ai fini della liquidazione del danno ambientale, posto che il profitto conseguito dal trasgressore non costituisce una autonoma voce di danno ma è un semplice parametro per la liquidazione equitativa richiesta, non può applicarsi meccanicisticamente il concetto di prescrizione quinquennale elaborato per danni che maturano giorno per giorno dal protrarsi della permanenza della situazione illegittima determinata dall'immutazione dei luoghi; infatti, per la connotazione latamente punitiva di tale parametro, la riscontrata permanenza dell'illegittimità della situazione comporta che il danno ambientale, consistito nel permanente sconvolgimento dei luoghi con irreversibile illegittima antropizzazione di un vasto sito costiero, non si limiti ai soli profitti che giorno per giorno abbia conseguito il danneggiarne nel solo periodo dei cinque anni anteriori alla domanda, ma anche alla redditività delle somme percepite dal danneggiarne in precedenza per la pregressa condotta illegittima fin dal suo insorgere e, quindi, in sostanza a tutti i profitti già conseguiti. Il giudice della domanda di risarcimento del danno ambientale ancora pendente alla data di entrata in vigore della L. 20 novembre 2009, n. 166, deve provvedere alla liquidazione del danno applicando, in luogo di qualunque criterio previsto da norme previgenti, i criteri specifici come risultanti dal nuovo testo del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 311, commi 2 e 3, come modificato dal D.L. 25 settembre 2009, n. 135, art. 5-bis, comma 1, lett. b), conv. con mod. in L. 20 novembre 2009, n. 166: individuandosi detti criteri direttamente quanto meno nelle previsioni del punto 1.2.3. dell'Allegato 2 alla direttiva 2004/35/CE e solo eventualmente, ove sia nelle more intervenuto, come ulteriormente specificati dal decreto ministeriale previsto dall'ultimo periodo dell'art. 311, comma 3 cit.
Cass. pen. n. 7015/2010
Le associazioni ambientaliste sono legittimate a costituirsi parti civili - "iure" proprio nel processo per reati ambientali, sia come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto alla tutela ambientale - anche per i reati commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell'ambiente e del territorio, finalità che costituiscono la ragione sociale delle predette associazioni. (Fattispecie in cui l'oggetto dell'imputazione era costituito, oltre che da illeciti urbanistici, anche da delitti di falso ed abuso preordinati e commessi proprio allo scopo di rendere possibile l'abuso edilizio). (Annulla ai soli effetti civili, App. Palermo, 31 Luglio 2006).
Cass. civ. n. 19253/2010
Il legislatore, nell'attribuire alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, ha, innanzitutto, individuato una particolare materia, rappresentata dalla gestione dei rifiuti, ed ha considerato l'attività amministrativa preordinata all'organizzazione od all'erogazione del servizio pubblico di raccolta e di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, la Corte ha chiarito che l'espresso riferimento normativo ai comportamenti della pubblica amministrazione deve essere inteso nel senso che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo, e non anche quelli meramente materiali, posti in essere dall'amministrazione al di fuori dell'esercizio di un'attività autoritativa. Concludendo, che quando vengono in rilievo questioni meramente patrimoniali, connesse al mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i comportamenti posti in essere dall'amministrazione stessa non sono ricompresi nell'ambito di applicazione della norma impugnata e rientrano, invece, nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.
C. giust. UE n. 343/2010
Un'applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l'individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall'uso di MMT che viene proposto e, in secondo luogo, una valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale. Qualora risulti impossibile determinare con certezza l'esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura insufficiente, non concludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute nell'ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l'adozione di misure restrittive, purché esse siano non discriminatorie e oggettive.
Cass. pen. n. 14828/2010
Le associazioni riconosciute o non, possono costituirsi parte civile qualora abbiano subito la lesione di un diritto soggettivo (o di un interesse giuridicamente rilevante secondo la Sentenza della Cass. Sezioni Unite civili n° 500 del 1999) da una azione criminosa è stato riconosciuto, dopo varie oscillazioni giurisprudenziali, alle associazioni ecologiche in relazione ai reati che hanno come ricaduta un danno ambientale. Tale nocumento ha dimensioni diversificate: la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il danno in esame presenta, oltre a quella pubblica, una dimensione personale e sociale quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre di ogni uomo e delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità: il danno ambientale in quanto lesivo di un bene di rilevanza costituzionale, quanto meno indiretta, reca una offesa alla persona umana nella sua sfera individuale e sociale. In tale contesto, è riscontrabile in capo alle associazioni ecologiche un interesse legittimo alla tutela del territorio ed è stata riconosciuta la loro possibilità di costituirsi parti civili nel processo. Le ricordate associazioni non possono costituirsi parte civile al fine di chiedere la liquidazione del danno ambientale di natura pubblica (a sensi dell'art. 18 L. 348/1986 ed ora D.Lgs. n. 152/2006), ma possono agire in giudizio - in virtù del principio fondamentale in tema di nocumento ingiusto risarcibile enucleato dall'art. 2043 c.c. - per il risarcimento dei danni patiti dal sodalizio a causa del degrado ambientale. Occorre, inoltre, rilevare che non possono costituirsi parte civili le associazioni portatrici di interessi meramente diffusi - comuni a più persone e non passibili di appropriazione individuale - che non sono suscettibili di tutela giurisdizionale; al fine che rileva, necessità che le associazioni siano esponenziali di interessi ambientali concretamente individualizzati, cioè, di interessi collettivi legittimi. Pertanto, non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le associazioni quando l'interesse perseguito sia quello genericamente inteso all'ambiente o, comunque, un interesse che, per essere caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del sodalizio e non risarcibile. Perché una associazione possa essere considerata esponenziale di un interesse della collettività, in cui si trova il bene oggetto di protezione, necessita che abbia come fine essenziale statutario la tutela dello ambiente, sia radicata nel territorio anche attraverso sedi sociali, sia rappresentativa di un gruppo significativo di consociati, ed abbia dato prova di continuità del suo contributo a difesa del territorio. A tali condizioni, le associazioni ecologistiche sono legittimate in via autonoma e principale alla azione di risarcimento per il danno ambientale con diritto al ristoro del nocumento commisurato alla lesione degli interessi collettivi rappresentati.
Cass. civ. n. 5290/2010
Anche in materia di diritti fondamentali tutelati dalla costituzione, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.) - allorché la loro lesione sia dedotta come effetto di un comportamento materiale di poteri autoritativi e conseguente ad atti della P.A. di cui sia denunciata la illegittimità, in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi - come quella della gestione del territorio - compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie in ordine alla sussistenza in concreto del diritto vantati, al comportamento o alla limitazione di tali diritti in rapporto all'interesse generale pubblico dell'ambiente salubre, nonché alla emissione dei relativi provvedimenti gli effetti della futura decisore finale sulle richieste inibitorie, demolitore ed eventualmente risarcitone dei soggetti che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti e che pertanto la presente controversia spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Corte cost. n. 35/2010
Il legislatore, nell'attribuire al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulle controversie attinenti alla complessa azione di gestione dei rifiuti, ha, innanzitutto, individuato una "particolare" materia, rappresentata appunto dalla "gestione dei rifiuti". Inoltre, il riferimento ai comportamenti, deve essere inteso nel senso che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall'amministrazione al di fuori dell'esercizio di una attività autoritativa. L'espressione «azione di gestione dei rifiuti» va logicamente intesa nel senso che l'attività della pubblica amministrazione deve essere preordinata alla organizzazione o alla erogazione del servizio pubblico di raccolta e di smaltimento dei rifiuti. Ne consegue che nella controversia all'esame del remittente, venendo in rilievo questioni meramente patrimoniali connesse al mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i comportamenti posti in essere dall'amministrazione stessa non sono ricompresi nell'ambito di applicazione della norma impugnata, come sopra interpretata, e rientrano, invece, nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, nella specie correttamente adita.
Cass. pen. n. 755/2010
La disciplina normativa di cui all'art. 311, 1° comma, D.Lgs. n. 152/06, secondo cui "il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto" non esclude e comunque non è incompatibile con la disciplina generale prevista dall'art. 2043 c.c., in virtù della quale qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Consegue che nella fattispecie de qua sussiste la legittimazione della Provincia di Pesaro ed Urbino a costituirsi parte civile, avendo detto Ente chiesto (ed ottenuto) il risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla condotta illecita come contestata ed accertata nei confronti dell'imputato (attuale ricorrente).
Corte cost. n. 235/2009
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Puglia avverso l'art. 300 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., posto che la ricorrente non illustra, se non in termini del tutto generici, in che modo la definizione, più ampia o più ristretta, di danno ambientale possa incidere direttamente sulla propria sfera di competenze.
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In base alla disciplina del Codice dell'ambiente, è pacifico, da un lato, che il risarcimento per equivalente patrimoniale è dovuto allo Stato (le relative somme sono versate in entrata del bilancio dello Stato e confluiscono in un apposito fondo di rotazione istituito nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio) e, dall'altro lato, che le Regioni hanno diritto, oltre che di agire in giudizio in qualità di soggetti danneggiati nei beni di loro proprietà dal fatto produttivo di danno ambientale (art. 313, comma 7), anche di ricorrere al giudice amministrativo per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte dell'amministrazione statale, delle misure di precauzione, prevenzione o contenimento del danno ambientale (art. 310, comma 1). Quanto, invece, alla legittimazione delle Regioni e degli enti locali a proporre l'azione risarcitoria per danno ambientale, va osservato che l'art. 311 del D.Lgs. n. 152/2006, nel regolare in termini di alternatività il rapporto fra i due strumenti (amministrativo e giurisdizionale) con i quali l'amministrazione statale può reagire al danno ambientale, non riconosce tale legittimazione, ma neppure la esclude in modo esplicito.
Cass. pen. n. 19081/2009
L'articolo 318 comma secondo del decreto legislativo n. 152 del 2006, abrogando l'articolo 9 comma 3 del decreto legislativo n 267 del 2000, il quale autorizzava le associazioni di protezione ambientale a costituirsi parte civile per conto degli enti territoriali, in caso di inerzia degli stessi, non incide sulle costituzioni già effettuate prima dell'entrata in vigore della legge, trattandosi di norma di natura processuale, si osserva che la costituzione in giudizio di tali associazioni era subordinata alla semplice inerzia dell'ente territoriale a prescindere dalle ragioni dell'inerzia. Nella specie, il fatto che il comune abbia rilasciato il certificato di compatibilità paesaggistica non impediva la costituzione di parte civile da parte dell'associane ambientalista (W.W.F.), stante l'obiettiva inerzia del comune.
Cass. pen. n. 19883/2009
Anche dopo il decreto legislativo n. 152 del 2006, le associazioni ambientaliste sono legittimate alla costituzione di parte civile "iure proprio" nel processo per reati ambientali, dal momento che l'espressa previsione legislativa della possibilità di costituzione di parte civile per lo Stato e per gli enti pubblici territoriali non esclude l'applicabilità delle regole generali in materia di risarcimento del danno e di costituzione di parte civile. In ogni caso le nuove regole sulla costituzione di parte civile per danni ambientali, avendo natura processuale, si applicano solo alle costituzioni effettuate dopo l'entrata in vigore delle nuove disposizioni, ma restano salve quelle già ammesse in base alla precedente disciplina.
Cass. civ. n. 10118/2008
Con riguardo ad azione di risarcimento del danno ambientale, promossa da un Comune a norma dell'art. 18 legge n. 349 del 1986, nella prova dell'indicato danno bisogna distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata, o a posizioni soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie, e danno all'ambiente considerato in senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio, nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale, comporta un accertamento che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, bensì della compromissione dell'ambiente, vale a dire della lesione "in sé" del bene ambientale. Pertanto si può verificare sia un danno prettamente patrimoniale ai singoli beni, pubblici o privati, sia un danno all'ambiente, bene di natura pubblicistica, unitario e immateriale.
Cass. pen. n. 16575/2007
In tema di risarcimento per danno ambientale, rientra nell'ambito del danno risarcibile anche il danno derivante medio tempore dalla mancata disponibilità di una risorsa ambientale intatta, ovvero le cd. perdite provvisorie, già previste quali componenti del danno risarcibile dalla Direttiva 2004/35/CE. Sicché, le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza di legittimità in tema di risarcimento per danno ambientale, in particolare il superamento della funzione compensativa del risarcimento, vanno ribadite anche dopo l'entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia ambientale, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, che ha espressamente abrogato l'art. 18 della legge 394 del 1986 (istitutiva del Ministero dell'Ambiente).
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Il danno ambientale presenta una triplice dimensione: personale (quale lesione del diritto fondamentale dell'ambiente di ogni uomo); sociale (quale lesione del diritto fondamentale dell'ambiente nelle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità umana - art. 2 Cost.); pubblica (quale lesione del diritto-dovere pubblico delle istituzioni centrali e periferiche con specifiche competenze ambientali). In questo contesto persone, associazioni ed anche gli enti territoriali non fanno valere un generico interesse diffuso, ma dei diritti, ed agiscono in forza di una autonoma legittimazione.
Cass. pen. n. 23735/2006
Nell'ambito dei diritti incomprimibili da parte della p.a., non può non essere occupato dal diritto alla salute, garantito - quale bene essenziale dell'individuo - dall'art. 32 Cost., a fronte del quale dunque, la p.a. è del tutto priva del potere di affievolimento della relativa posizione soggettiva, ancorché agisca per motivi di interesse pubblico. Con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della p.a., e l'eventuale pretesa cautelare ad essa connessa, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, vertendosi in materia di diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, che non tollerano interferenze esterne.
Cass. pen. n. 29855/2006
L'art. 318, comma 2, lett. a) del D.Lgs. 152/2006 ha lasciato in vita in comma 5 dell'art. 18 della legge n. 349 del 1986 (che riguarda l'intervento nei giudizi per danno ambientale delle associazioni di protezione ambientale, a fianco del quale dovrebbe altresì persistere la azione per il risarcimento del danno patrimoniale proprio in base ad una giurisprudenza ormai consolidata; per cui, nella specie, l'intervento di Lega Ambiente nel presente giudizio resta indiscutibile anche in base alla nuova disposizione, per quanto riguarda la legittimazione degli enti territoriali occorre rilevare che le nuove disposizioni si applicheranno al futuro e cioè ai giudizi promossi dopo la entrata in vigore della nuova disciplina. Peraltro, non potrebbe negarsi neppure per il futuro la possibilità per gli enti locali e per gli altri soggetti pubblici o privati di agire per il risarcimento dei propri danni patrimoniali o non patrimoniali derivanti dalla azione inquinante, diversi da quelli dell'inquinamento del sito, come nel caso in esame in esame in cui la azione degli enti locali ha riguardato un danno più esteso ed anche diverso da quello strettamente ambientale.
Cons. Stato n. 5205/2005
Alle associazioni ambientaliste, alle quali spetta propriamente la tutela degli interessi ambientali e non già di quelli urbanistici, non può essere negata la legittimazione a ricorrere avverso atti che, pur incidendo direttamente nel contesto urbanistico, siano lesivi dei valori ambientali. D'altronde è sempre più difficile, se non quasi impossibile, individuare e separare nettamente le questioni urbanistiche da quelle ambientali, dovendosi peraltro evitare che le relative opzioni ermeneutiche possano comportare la violazione dei principi costituzionali in tema di diritto di difesa, sindacato sugli atti della pubblica amministrazione e di tutela degli interessi ambientali.
Cass. pen. n. 48402/2004
Il contenuto del danno ambientale viene a coincidere con la nozione non di danno patito bensì di danno provocato ed il danno ingiusto da risarcire si pone in modo indifferente rispetto alla produzione di danni - conseguenze, essendo sufficiente per la sua configurazione la lesione in sé di quell'interesse ampio e diffuso alla salvaguardia ambientale, secondo contenuti e dimensioni fissati da norme e provvedimenti. Il legislatore, in tema di pregiudizio ai valori ambientali, ha inteso prevedere un ristoro quanto più anticipato possibile rispetto al verificarsi delle conseguenze dannose, che presenterebbero situazioni di irreversibilità.
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Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è necessario che il danneggiato dia la prova della effettiva sussistenza dei danni e del nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, ma è sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia, infatti, costituisce una mera declaratoria iuris, da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione.