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Articolo 280 Codice dell'ambiente

(D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)

[Aggiornato al 15/11/2024]

Abrogazioni

Dispositivo dell'art. 280 Codice dell'ambiente

1. Sono abrogati, escluse le disposizioni di cui il presente decreto preveda l'ulteriore vigenza e:

  1. a) il decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203;
  2. b) l'articolo 4 della legge 4 novembre 1997, n. 413;
  3. c) l'articolo 12, comma 8, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387;
  4. d) il decreto del Ministro dell'ambiente 10 marzo 1987, n. 105;
  5. e) il decreto del Ministro dell'ambiente 8 maggio 1989;
  6. f) il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989;
  7. g) il decreto del Ministro dell'ambiente 12 luglio 1990;
  8. h) il decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1991;
  9. i) il decreto del Ministro dell'ambiente 21 dicembre 1995;
  10. l) il decreto del Ministro dell'ambiente del 16 maggio 1996;
  11. m) il decreto del Ministro dell'ambiente 20 gennaio 1999, n. 76;
  12. n) il decreto del Ministro dell'ambiente 21 gennaio 2000, n. 107;
  13. o) il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 16 gennaio 2004, n. 44.

Massime relative all'art. 280 Codice dell'ambiente

Cass. pen. n. 35232/2007

In tema di inquinamento atmosferico, il reato di cui all'art. 25 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (oggi abrogato e sostituito dall'art. 279 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) che punisce l'esercizio di un impianto esistente in difetto di autorizzazione, è configurabile indipendentemente dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, in quanto non si tratta di un reato di danno ma di un reato formale o di condotta che tende a garantire un controllo preventivo da parte della P.A. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha ulteriormente precisato che il bene tutelato dalla norma penale è l'interesse dell'amministrazione competente a controllare preventivamente la funzionalità e potenzialità inquinante degli impianti esistenti o nuovi). (Dichiara inammissibile, Trib. Vicenza, 23 Ottobre 2006).

Cass. pen. n. 40964/2006

La condotta del reato di cui all'art. 25, D.P.R. n. 203/1988 (esercizio di impianto senza richiesta di autorizzazione) è incriminata soltanto quando esista il presupposto previsto dalla legge, che si tratti cioè di un impianto capace di produrre emissioni nell'atmosfera. Mancando questo presupposto, la gestione dell'impianto non è soggetta alla richiesta di autorizzazione. Queste considerazioni diventano ancora più cogenti dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (norme in materia ambientale), che con l'art. 280 ha abrogato il D.P.R. n. 203/1988, riordinando, coordinando e integrando la disciplina abrogata in una nuova normativa contenuta nella Parte Quinta (norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera). Invero l'art. 267, comma 1, definisce in modo più rigoroso e restrittivo il presupposto del reato, che non è più la generica possibilità (come nella disciplina previgente), ma la concreta attività di produzione delle emissioni da parte dell'impianto. Il reato di esercizio di impianto senza richiesta di autorizzazione, di cui all'art. 25 del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, si configura soltanto quando l'impianto sia concretamente in grado di produrre emissioni nell'atmosfera, come più esplicitamente disciplinato dal D.Lgs 3 aprile 2006 n. 152, che con l'art. 280 ha abrogato il citato D.P.R. n. 203, il cui art. 267, comma primo, prevede quale presupposto del reato non la generica possibilità, ma la concreta attività di produzione delle emissioni da parte dell'impianto. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso il reato in un caso nel quale le polveri prodotte durante il ciclo industriale non erano aspirate all'esterno e rimanevano all'interno dello stabilimento). (Rigetta, Trib. lib. Napoli, 19 Settembre 2005).

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