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Articolo 970 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Prescrizione del diritto dell'enfiteuta

Dispositivo dell'art. 970 Codice Civile

Il diritto dell'enfiteuta si prescrive per effetto del non uso protratto per venti anni [2934](1).

Note

(1) Si tratta del non godimento del fondo, anche qualora sia stato versato il canone e siano stati pagati gli ulteriori altri pesi.
Tale ipotesi difficilmente ricorre nella pratica, dal momento che il canone dovrebbe essere versato a diverso titolo oppure non dovrebbe essere proprio pagato. Quest'ultimo rappresenta, però, un caso di scuola: è difficile che il concedente lasci passare molto tempo senza chiedere la devoluzione (art. 972 del c.c.) per mancato versamento del canone, e attenda un ventennio per riottenere integralmente il suo dominio.

Massime relative all'art. 970 Codice Civile

Cass. civ. n. 6127/2023

In caso di contitolarità del diritto di enfiteusi, un coenfiteuta non può far valere in proprio favore e a danno degli altri coenfiteuti la prescrizione estintiva per non uso ai sensi dell'art. 970 c.c., avendo questa lo scopo di riespandere il diritto del concedente da nuda proprietà a proprietà piena. Il coenfiteuta che deduca di aver manifestato un possesso corrispondente all'esercizio del diritto esclusivo di enfiteusi sul fondo, incompatibile con il possesso degli altri coenfiteuti, può invece domandare che sia accertato in suo favore l'acquisto per usucapione dell'enfiteusi, che si sostituisce all'iniziale coenfiteusi.

Cass. civ. n. 782/1989

In tema di enfiteusi, l'uso che impedisce la prescrizione del diritto ai sensi dell'art. 970 c.c. ricorre non solo se il fondo sia coltivato dall'enfiteuta, direttamente o tramite suoi dipendenti, ma anche in ipotesi di utilizzazione ad opera di terzi purché insediati nel fondo dall'enfiteuta o comunque da lui autorizzati alla coltivazione, mentre si ha non uso solo se via sia stato un abbandono totale del fondo o una radicale dismissione del suo godimento, da ravvisarsi anche quando il terzo che coltivi il fondo sia un occupante abusivo ed abbia agito senza o contro la volontà dell'utilista, il quale sia rimasto inerte di fronte all'illegittima occupazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 970 Codice Civile

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A. C. chiede
giovedì 27/04/2023
“Buongiorno,
lo scrivente ed il fratello chiedono se possono rinunciare al diritto di “enfiteusi” su un terreno (bosco ceduo, con destinazione urbanistica zona G3 -parchi pubblici e impianti sportivi) ricevuto in eredità ed in stato di abbandono da oltre 20 anni (art.963 cc.) e per il quale non pagano alcun canone alla concedente, che tra l’altro non conoscono e che si presume sia morta (nata nel 1901).
- Chiedo quale sia l’iter da seguire per rinunciare.
In attesa, porgo distinti saluti.

Consulenza legale i 04/05/2023
Due sono le soluzioni che possono prospettarsi per conseguire il risultato desiderato, e precisamente:
a) la rinunzia c.d. abdicativa;
b) l’accertamento della intervenuta prescrizione del diritto di enfiteusi per effetto del non uso ex art. 970 c.c.

La prima soluzione sarebbe certamente la più agevole da realizzare, in quanto è sufficiente recarsi presso un notaio di propria fiducia e chiedere al medesimo di ricevere detto atto.
La rinunzia viene tradizionalmente ricostruita come un negozio giuridico unilaterale mediante il quale l’autore dismette una situazione giuridica di cui è titolare ed il cui effetto essenziale consiste unicamente nella abdicazione da parte del soggetto della situazione giuridica.
Gli ulteriori effetti, estintivi o modificativi del rapporto, che possono anche incidere sui terzi, sono conseguenze solo riflesse del negozio rinunziativo, non direttamente ricollegabili all’intento negoziale (nel caso di specie l’effetto che ne dovrebbe conseguire sarebbe quello della riespansione del diritto di piena proprietà, fino a quel momento limitato dalla sussistenza del diritto di enfiteusi sul fondo).
Inoltre, in quanto negozio unilaterale non recettizio, la rinunzia abdicativa non richiede la conoscenza né tanto meno l’accettazione da parte di altri soggetti.

Con riferimento al suo oggetto, gli interpreti concordano sulla generale rinunziabilità dei diritti reali, in tal senso argomentando dalle seguenti considerazioni:
1. lo stesso legislatore ha previsto alcune peculiari ipotesi di rinunzia al diritto di proprietà (artt. 882 e 1104 c.c.);
2. la circostanza che per escludere la rinunziabilità in relazione alle parti comuni dell’edificio il legislatore è dovuto intervenire espressamente, come si legge al secondo comma dellart. 1118 c.c.;
3. si verrebbe altrimenti a creare una disparità di trattamento rispetto ai beni mobili, dei quali è indiscutibile la possibilità di abbandono;
4. lo stesso codice civile, ai nn. 5 degli artt. 1350 e 2643 c.c., fa espresso riferimento agli atti di rinunzia ai diritti reali, imponendone la forma scritta e la relativa trascrizione, la quale dovrà essere esguita unicamnete contro il rinunziante.
Tuttavia, se la soluzione fin qui prospettata risulta abbastanza pacifica quando oggetto di rinunzia sia il diritto di proprietà ovvero un diritto reale di godimento quale l’usufrutto, l’uso, l’abitazione e la superficie, dei dubbi si sono posti proprio nel caso del diritto di enfiteusi.

Nessuna peculiarità presenta, sotto il profilo della rinunziabilità, il diritto spettante al concedente, mentre maggiore attenzione si ritiene che debba meritare la posizione dell’enfiteuta.
Infatti, mentre secondo una prima tesi egli potrebbe liberamente rinunziare al proprio diritto (in tal senso dovendosi chiaramente argomentare dai nn. 2 e 5 dell’art. 2643 c.c.), secondo una diversa impostazione ciò sarebbe possibile nel solo caso espressamente previsto dalla legge, ovvero quello del perimento parziale del fondo di cui all’art. 963 c.c.
Tale limitazione alla facoltà di rinunzia si giustificherebbe per la natura del diritto dell’enfiteuta, caratterizzato dalla presenza di un profilo obbligatorio, di cui non è possibile la dismissione in mancanza di una norma espressa o del consenso del creditore.
Ciò comporta che, se il notaio a cui ci si andrebbe a rivolgere dovesse aderire alla tesi della irricevibilità di un atto di rinunzia di questo tipo, purtroppo non sussistono neppure i presupposti per poter invocare la rinunzia ex art. 963 c.c., in quanto la circostanza che il fondo si trovi in stato di totale abbandono non può farsi rientrare nella fattispecie delineata dall’art. 963 c.c. e per la quale si ritiene ammissibile detta rinunzia.
In giurisprudenza si puntualizza che il perimento totale del fondo ai fini dell'estinzione del diritto di enfiteusi deve causare l'assoluta impossibilità di qualsiasi utilizzazione e non sussiste quando sono possibili altre forme di utilizzo, sia pure meno redditizie ( C. 25428/2013; C. 4158/1986).

Qualora, dunque, non dovessero sussistere le condizioni per effettuare una rinunzia al diritto di enfiteusi mediante atto ricevuto da notaio, non rimane altra soluzione che quella di instaurare un ordinario giudizio di cognizione volto a far accertare l’intervenuta prescrizione del diritto di enfiteusi ex art. 970 c.c., prescrizione agevolmente accertabile in considerazione sia del mancato godimento del fondo per oltre venti anni che del mancato pagamento del canone o dei pesi.
La difficoltà di poter attuare questa seconda soluzione, purtroppo, sta nel fatto che occorre in qualche modo risalire alla parte concedente da evocare in giudizio e nei confronti della quale far valere l’intervenuta prescrizione del diritto di enfiteusi.
Va peraltro ricordato che, vertendosi in materia di diritti reali, tale controversia rientra tra le ipotesi di mediazione obbligatoria di cui all’artt. 5 comma 1 bis del D.lgs. n. 28/2010, costituendo il procedimento di mediazione condizione di procedibilità della domanda giudiziale.