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Articolo 895 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Divieto di ripiantare alberi a distanza non legale

Dispositivo dell'art. 895 Codice Civile

Se si è acquistato il diritto di tenere alberi a distanza minore di quelle sopra indicate, e l'albero muore o viene reciso o abbattuto, il vicino non può sostituirlo, se non osservando la distanza legale(1).

La disposizione non si applica quando gli alberi fanno parte di filare situato lungo il confine.

Note

(1) La disposizione in oggetto prevede una norma eccezionale rispetto al principio tradizionale per cui la servitù, pur in presenza di una modifica dello stato dei luoghi, si estingue esclusivamente se sono decorsi venti anni dal momento in cui l'utilizzo diventa impossibile (art. 1074 del c.c.).
Si tratta di un articolo di carattere dispositivo; i vicini, cioè, non sono obbligati a conformarsi a quanto in esso sancito.

Spiegazione dell'art. 895 Codice Civile

Acquisto del diritto di tenere alberi a distanza minore della legale

Come rilevato nella spiegazione dell’art. 894, poiché le distanze dell'art. 892 sono stabilite nell'interesse privato e non hanno carattere di ordine pubblico, esse sono derogabili dalla volontà, degli interessati, mediante la. costituzione di una servitù contraria. Oltre che per convenzione, il diritto di tenere una pianta a distanza minore di quella legale può nascere tanto per destinazione del padre di famiglia come per prescrizione.

Relativamente a tale servitù costituita per fatto dell’uomo, sotto la vigenza del vecchio codice sono sorte due questioni: anzitutto, se recisa la pianta che dà luogo alla servitù questa si estingua, o se invece perduri relativamente ai nuovi polloni che sorgono dalla ceppaia.. Ci si chiedeva poi se, nel caso in cui la pianta venisse estirpata o morisse, si avesse il diritto di surrogarla entro il termine di prescrizione con una nuova pianta, posta alla stessa distanza della prima.


Appartenenza dei frutti caduti dai rami protesi sul fondo vicino

Questa seconda questione, che aveva dato luogo a vivaci discussioni, è stata ora risoluta testualmente dal nuovo codice in senso negativo. Dispone appunto l'art. 895 che se si è acquistato il diritto di tenere alberi a distanza minore della legale, e l'albero muore o viene reciso o abbattuto, il vicino non può sostituirlo, se non osservando la distanza legale: si è così sanzionata l'opinione dominante tanto della dottrina quanto della giurisprudenza.

Senonché, a tale soluzione negativa la giurisprudenza prevalente faceva eccezione quando invece di una pianta singola si trattasse di piante a filare. È vero che qualche sentenza della Cassazione aveva deciso negativamente tale questione osservando che « l'intendimento di chi pianta gli alberi è irrilevante, perché il legislatore considera gli alberi isolatamente e non fa alcuna eccezione per i filari di alberi ». Ma fu osservato in senso contrario che quando i filari di alberi (un viale di pini, di cipressi, ecc.) sono tali da costituire una collettività, l'intendimento di chi pianta non può considerarsi irrilevante, sia che la servitù sia sorta per titolo, sia che per destinazione del padre di famiglia; e anche nell'acquisto per prescrizione può dirsi che il possesso si riferisce obbiettivamente alla collettività, e non ai singoli alberi.

Anche tale questione è stata ora testualmente risoluta dal nuovo codice, il quale dispone che la disposizione dell'art. 895 non si applica quando gli alberi fanno parte di un filare situato lungo il confine.


Se tale divieto si estende ai nuovi polloni sorti dalla ceppaia dell’albero reciso

È ancora dubbio invece se possa ritenersi testualmente risolta in senso negativo dall'art. 895 anche l'altra questione sopra accennata per prima, relativa ai nuovi polloni che sorgono dalla ceppaia. Si risponde negativamente, perché tale ipotesi non può certamente rientrare nei casi di albero che muore o che venga abbattuto, di cui è fatta menzione nell'art. 895. Potrebbe rientrare, è vero, nella ipotesi di albero che venga reciso, ma non pare che il sorgere dei nuovi polloni dalla ceppaia, che è un fatto naturale, possa. identificarsi col fatto della sostituzione del nuovo albero da parte del vicino, che è quello previsto e vietato dall'art. 895.

Conviene allora accennare alla questione sorta in proposito sotto il vecchio codice, che perdurerebbe anche sotto il nuovo. L'opinione dominante ritiene che la servitù perduri relativamente ai nuovi polloni che sorgono dalla ceppaia: si dice che, anche se reciso, non è stato tolto integralmente, perché ne resta la ceppaia, che ne + parte essenziale, di modo che i nuovi polloni, più che alberi nuovi, dovrebbero considerarsi come continuazione dell' albero preesistente.

Contro tale soluzione non mancano però delle obiezioni. La principale è che con la recisione della pianta subentrano un certo numero di polloni, i quali crescendo vengono a costituire qualche cosa di diverso da quello che poteva restare l'albero originario. Si pensi che per certi alberi, ad es. per il castagno, la ceppaia in seguito ai successivi tagli potrebbe estendersi tanto da toccare e anche invadere il fondo vicino: cosa che invece non fa mai il normale accrescimento di un albero. Ora, è innegabile che il pregiudizio che la proprietà vicina viene a risentire in questo modo è molto maggiore di quello che essa risentirebbe dalla permanenza dell'albero preesistente.

Quindi, la soluzione affermativa dovrebbe essere condizionata, come è stato detto in qualche decisione, alla circostanza che i polloni sorti dalla ceppaia preesistente mantengano la stessa linea. La soluzione nettamente e indistintamente negativa data alla questione dalla Cassazione sembra, in verità, eccessiva, quantunque non manchi di precedenti nella giurisprudenza.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

424 Circa le distanze da osservarsi per alcune piantagioni, l'art. 892 del c.c. riproduce con lievi modificazioni l'art. 579 del codice del 1865, precisando, quanto agli alberi di non alto fusto, l'altezza massima del fusto non ramificato (tre metri), la quale non era invece determinata dal codice anteriore, che faceva riferimento alla «breve altezza» del fusto semplice, e precisando altresì, quanto al modo di calcolare le distanze, che queste si misurano dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo in cui fu fatta la semina. Inoltre, a differenza del codice precedente che non faceva menzione degli usi locali e dava prevalenza soltanto ai regolamenti, l'art. 892 dispone che, in mancanza di regolamenti, gli usi locali prevalgono sulle disposizioni del codice. A queste i regolamenti e gli usi locali prevalgono anche quando si tratta di alberi presso strade, canali o su confini di boschi (art. 893 del c.c.). È conservata nell'art. 894 del c.c. (art. 581 del codice del 1865) la facoltà del vicino di esigere che siano estirpati gli alberi e le siepi che sorgono a distanza minore di quella legale. L'art. 895 del c.c. regola il caso che si sia acquistato il diritto di tenere l'albero a distanza minore di quella legale e l'albero muoia o venga reciso o abbattuto: in questo caso l'albero che sia ripiantato dovrà essere tenuto alla distanza legale. Non così se la pianta perita faceva parte di un filare lungo il confine, poiché la sistemazione in filare conferisce al complesso arboreo un carattere unitario. Ad eliminare ogni ragione di dubbio ho esplicitamente dichiarato (art. 896 del c.c., primo comma) che il diritto di esigere il taglio dei rami degli alberi del vicino che si protendono sul proprio fondo e di tagliare le radici che vi si addentrano può esercitarsi in qualunque tempo. In questa materia è lasciato però ampio campo di applicazione, oltre che ai regolamenti, agli usi locali, e ciò per tutte le specie arboree, in quanto si è soppressa l'inopportuna limitazione del codice del 1865 (art. 582), che gli usi richiamava soltanto per gli ulivi. A proposito dei rami che si protendono dal fondo del vicino, il secondo comma dell'art. 896 risolve un'annosa questione, e cioè se i frutti naturalmente caduti da tali rami appartengano al proprietario dell'albero che li ha prodotti ovvero al proprietario del fondo su cui sono caduti. Facendo salvi gli usi locali, è sembrato preferibile adottare la seconda soluzione.

Massime relative all'art. 895 Codice Civile

Cass. civ. n. 10192/2013

Il diritto di tenere alberi a distanza minore di quella legale si mantiene, ai sensi dell'art. 895, secondo comma, cod. civ., anche in base all'esistenza delle ceppaie e dei polloni, atteso che le piante di nuova germogliazione sono la continuazione vegetativa delle precedenti, sia come singoli individui, sia nella "universitas rerum" in cui si concretizza il filare.

Cass. civ. n. 15199/2008

Il diritto di tenere a distanza minore di quella legale un filare di alberi situato lungo il confine ha per oggetto non le piante singolarmente, bensì l'intero filare inteso come universitas rerum. Pertanto, finché questo conserva unitariamente la sua vitalità, esso può essere integrato mediante la sostituzione di piante nuove a quelle che via via muoiono o vengono abbattute; quando, invece, il filare venga distrutto nella sua interezza, per opera dell'uomo o per evento naturale, la sostituzione può avere luogo soltanto nel rispetto della distanza prevista dalla legge.

Cass. civ. n. 5928/1999

Ai sensi dell'art. 895, comma primo, c.c., nella ipotesi in cui, per morte, recisione o abbattimento, un albero non facente parte di un filare sia stato eliminato, si estingue, in deroga ai principi in tema di estinzione delle servitù, anche la servitù che consentiva il mantenimento dell'albero a distanza inferiore a quella legale, non avendo il titolare del fondo dominante alcun diritto di sostituire l'albero eliminato se non osservando le distanze legali.

Cass. civ. n. 1898/1975

La deroga al divieto di ripiantare alberi a distanza non legale presuppone l'esistenza di «un filare», cioè di una serie unitaria di alberi — piantati o seminati dalla mano dell'uomo, ovvero germinati spontaneamente — che si incorporino nel suolo in allineamento secondo una linea ideale, retta od anche non rigorosamente tale. Rappresenta un apprezzamento di fatto del giudice del merito, insindacabile nel giudizio di Cassazione, ove adeguatamente motivato, lo stabilire se, in concreto, secondo la loro disposizione sul suolo, gli alberi costituiscano un filare. (Nella specie, la Corte Suprema ha ritenuto che il giudice del merito abbia adeguatamente motivato rilevando che gli alberi non seguivano una linea ideale rettilinea ma, invece, erano posti alle distanze più disparate dal rettilineo confine).

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Consulenze legali
relative all'articolo 895 Codice Civile

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F. P. chiede
mercoledì 03/05/2023
“Ho abitato da più di 15 anni a casa di mio suocero come ospite con suo figlio.
Prima era un sottoparcheggio, ora invece la casa a fianco a me, sempre di mio suocero c'è un coinquilino in affitto, un appartamento che prima non era registrato ed era vuoto. I vicini di fronte hanno un albero noce che non rispetta i limiti di confine, mio suocero non ha mai esposto il problema per più di 20 anni perché non conosceva la legge a riguardo. La mia domanda: può mio suocero denunciare l'abuso dell'albero siccome paga le tasse del nuovo appartamento dove abita la persona messa in affitto? Io ovviamente per più di 15 anni ho pulito continuamente le foglie dell'albero senza contestare nulla ma i vicini con pretesa e arroganza perché ero ospite di mio suocero e non avevo nessun diritto di parlare, ci sono state discussioni per questo ed altri motivi. Ovviamente il coinquilino non pulisce, non raccoglie le foglie e non si fa nessun problema al momento che lo faccio io, ma io sto traslocando in una nuova casa e il problema persisterà`poi in futuro.”
Consulenza legale i 09/05/2023
Purtroppo casi come quello qui descritto sono molto frequenti nella prassi quotidiana e quando ci si rende conto solo dopo tanti anni che un albero, peraltro di alto fusto (si considera tale un albero di noce), è stato piantumato a distanza inferiore a quella stabilita per legge, vi è ben poco da fare.

Il n. 1 del comma primo dell’art. 892 del c.c. è molto chiaro al riguardo, disponendo che va rispettata la distanza di metri tre dal confine per gli alberi di alto fusto, tra i quali vengono espressamente indicati i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili.
Il successivo art. 894 del c.c. attribuisce al confinante il potere di esigere, oltre al semplice taglio, anche che si estirpino gli alberi e le siepi che sono stati piantati o che nascono a distanza inferiore a quella legale.

Trattasi di facoltà inerente al diritto di proprietà, come tale imprescrittibile, salvo che il confinante abbia acquistato regolarmente la servitù di tenere gli alberi a distanza inferiore.
Tale servitù, a cui si fa espresso riferimento al successivo art. 895 c.c., essendo apparente, può costituirsi oltre che per convenzione anche per destinazione del padre di famiglia e usucapione.
La stessa, peraltro, va tenuta distinta dalla servitù di far protendere i rami sul fondo del vicino, nel senso che una non implica necessariamente l'altra, anche se esse non si escludono reciprocamente e ben possono coesistere ove sorga una servitù che comprenda entrambe le utilità.
Si precisa in giurisprudenza che ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del piantamento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto per decorso del tempo (così Cass. n. 21855/2007).

Pertanto, in considerazione di quanto sopra riportato nonché della circostanza che la piantumazione di quell’albero risale ad oltre venti anni (termine minimo richiesto per l’usucapione ordinaria di un diritto reale, qual è il diritto di servitù, ex artt. 1061 e 1158 c.c.), come si è accennato all’inizio di questa consulenza, non si ha più alcun diritto di richiedere al vicino l’estirpazione di quell’albero, diritto che sarebbe potuto spettare, oltre che al proprietario, anche al possessore, all'enfiteuta, al superficiario e all'usufruttuario, atteso che l'esistenza degli alberi costituisce un limite al godimento.

L’unico modo per potersi avere un mutamento della situazione che si è venuta a creare è quello disciplinato dallo stesso art. 895 c.c., il quale prevede che nell'ipotesi in cui per morte, recisione o abbattimento, un albero non facente parte di un filare sia stato eliminato, si estingue anche la servitù che consentiva il mantenimento dell'albero a distanza inferiore a quella legale, non avendo il titolare del fondo dominante alcun diritto di sostituire l'albero eliminato se non osservando le distanze legali (così Cass. n.5928/1999).
Tale disposizione costituisce una deroga al principio tradizionale in tema di servitù, ovvero al principio secondo cui i mutamenti dello stato dei luoghi, che determinino l'impossibilità di usare la servitù, producono la sua estinzione solo dopo il decorso del termine di prescrizione per non uso.
Da ciò se ne fa conseguire che la norma, avendo natura eccezionale, debba essere interpretata restrittivamente, sicché la morte dell'albero deve accadere per cause naturali inerenti ad esso, e non per evento fortuito, quale può essere un fulmine o un'inondazione, né per fatto addebitabile al vicino, potendosi in tal caso procedere alla sostituzione.

Permane, invece, il diritto di pretendere la recisione degli eventuali rami che si addentrano sul proprio fondo e dai quali, probabilmente, dipende l’accumularsi di fogliame, così come il diritto di tagliare direttamente le radici che vi si addentrano.
Tale diritto, infatti, trova espresso fondamento all’art. 896 del c.c. e si tratta di un diritto imprescrittibile; da ciò sia la giurisprudenza che la dottrina prevalenti ne fanno conseguire che una eventuale servitù di protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante può costituirsi solo per titolo ovvero per destinazione del padre di famiglia, ma non per usucapione, e ciò proprio perchè l'art. 896, nel riconoscere espressamente al proprietario del fondo (nel quale si protendono i rami degli alberi del vicino), il potere di costringere quest'ultimo a tagliarli in qualunque tempo, implicitamente lo esclude (così Cass. n. 14632/2012; Cass. n. 4361/2002; Cass. n. 5928/1999; Cass. n. 1788/1993).

E. C. chiede
domenica 05/06/2022 - Lombardia
“Possiedo una casa da 21 anni con due alberi ad alto fusto (cedri dell'atlante) piantati 50 anni fa. Provvedo ogni tanto al taglio dei rami che si protendono sul fondo vicino. I vicini di casa sono cambiati negli anni, l'ultima è qui da 10 anni. L'attuale potrebbe pretendere estirpamento visto che sono a distanza non legale? O aveva un termine di tempo per proporlo? Come faccio a intervenire sulle branche in continuazione (appena passano di qualche centimetro?). Se per fare potatura devo transitare nella proprietà vicina ho diritto ad accedere?”
Consulenza legale i 09/06/2022
Le domande che vengono poste trovano esplicita risposta nelle norme che il codice civile detta in tema di distanze agli artt. 873 e ss.
In particolare, le norme che nel caso di specie vengono in considerazione sono gli artt. 894, 895 e 896 c.c.
La prima di tali norme attribuisce al vicino il diritto di esigere, oltre al semplice taglio, l’estirpazione degli alberi e delle siepi che siano piantate o che nascono a distanza inferiore a quella legale, come fissata dall’art. 892 del c.c..
E’ questa una facoltà inerente al diritto di proprietà ed, in quanto tale, è imprescrittibile, salvo che il confinante abbia acquistato regolarmente la servitù di tenere gli alberi a distanza inferiore a quella legale.
Proprio a questa ipotesi si riferisce il successivo art. 895 c.c., ove si riconosce la possibilità di acquistare il diritto di tenere gli alberi a distanza inferiore a quella legale, diritto che determina l’insorgere di una servitù a carico del fondo del confinante.
Si tratta di una servitù di tipo apparente, la quale, al pari delle altre servitù, può costituirsi oltre che per convenzione, anche per destinazione del padre di famiglia e per usucapione.

In giurisprudenza viene precisato (cfr. Cass. civi, Sez. II n. 21855 del 18.10.2007) che, ai fini dell’usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal confine inferiore a quella legale, il termine (ventennale) per il maturarsi della stessa decorre dalla data del piantamento, in quanto è da tale momento che inizia la situazione di fatto idonea a determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste dalla legge, l’acquisto del diritto per decorso del tempo.

Nel caso di specie, stando a quanto viene riferito nel quesito, il termine ventennale sembra essere abbondantemente decorso, considerato che si tratta di alberi piantati da circa 50 anni.
Inoltre, trattandosi di diritti reali, nessuna incidenza può avere la circolazione nel tempo degli immobili che ne risultano gravati, in quanto il diritto di servitù, come ogni altro diritto reale (ed a differenza dei diritti di obbligazione e dei diritti personali di godimento), grava sul bene in modo diretto e non, in modo mediato, su colui che ne risulta proprietario.

Con questo vuol dirsi che, sebbene il fondo su cui grava la servitù in esame sia stata alienato da circa dieci anni, ciò non comporta che dalla data di quest’ultimo trasferimento debba farsi decorrere un nuovo termine ventennale per l’usucapione della servitù di tenere gli alberi a distanza non legale.
Coloro che da ultimo sono divenuti proprietari del fondo confinante, dunque, sono costretti a sopportare la servitù da cui risulta gravato il fondo acquistato e non hanno alcun diritto per pretendere che quegli alberi vengano estirpati.
Potranno, al limite, beneficiare di quanto previsto dall’art. 895 c.c., nella parte in cui è detto che “…se l’albero muore o viene reciso o abbattuto, il vicino non può sostituirlo se non osservando la distanza legale”.
Qualora dovesse verificarsi una di queste ipotesi (nelle quali, ovviamente, non può farsi rientrare il caso in cui l’albero venga “ucciso” dal vicino), l’albero non può essere ripiantato se non rispettando la distanza fissata dall’art. 892 c.c.
Occorre a questo proposito precisare che non si considera venuto meno l’albero che rigermoglia, il che significa che è lecito conservare alla precedente distanza i suoi polloni.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n 10192 del 30.04.2013, nella quale si legge che il diritto di tenere alberi a distanza minore di quella legale si mantiene, ai sensi dell’art. 895 comma secondo c.c., anche in base all’esistenza delle ceppaie e dei polloni, atteso che le piante di nuova germogliazione sono la continuazione vegetativa delle precedenti.
Del pari, è consentito sostituire l’albero venuto meno se lo stesso fa parte di un filare di alberi, tutti posti a distanza non legale (ipotesi che qui non si configura, in quanto due soli alberi non possono di certo costituire un filare).

Una volta chiarite le ragioni secondo cui il confinante non può pretendere l’estirpazione dei due cedri, si tratta adesso di capire come sono regolati i rapporti del confinante con l’albero che lo invade, ed in particolare come ci si deve comportare con la potatura, i rami e le radici che si protendono nel fondo altrui.
Della disciplina di tali aspetti si occupa specificatamente l’art. 896 c.c., dalla cui lettura si ricava che il proprietario di un terreno può, in qualunque tempo, costringere il vicino a recidere i rami di un albero (sia esso a distanza legale o meno) che si protendono sul suo fondo.
Il legislatore ha regolato il caso più comune in cui per recidere i rami occorre salire sull’albero e, dunque, entrare nel fondo altrui, stabilendo che è il proprietario dell’albero a dover provvedere e che potrà a tale scopo scegliere tra il tagliare l’intero ramo oppure accorciare le sue “branche” in modo che non oltrepassino il confine.
Tuttavia, è anche consentito che sia il proprietario invaso, se vi riesce, a tagliare, stando sul proprio terreno, quella parte di ramo che oltrepassa la linea ideale del confine.
Per le radici viene poi stabilito che il confinante può provvedere a tagliare personalmente quelle di esse che si protendono oltre il confine, invadendo la sua proprietà.
Il diritto di recidere rami o radici di un albero può trovare limitazioni in particolari norme locali che sottopongano a tutela alberi di certe specie o dimensioni, in quanto la recisione comporti un danno per l'albero.

Deve ritenersi in ogni caso esclusa la possibilità di acquistare per usucapione il diritto di far protendere sul fondo del vicino i rami del proprio albero, avendo a tale riguardo la Corte di Cassazione precisato (sentenza n. 4361/2002) che “Il diritto di fare protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante non può essere acquistato per usucapione perché l’art. 896 c.c. implicitamente lo esclude, riconoscendo espressamente al proprietario del fondo sul quale i rami si protendono il potere di costringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo”.