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Articolo 2516 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Rapporti con i soci

Dispositivo dell'art. 2516 Codice Civile

Nella costituzione e nell'esecuzione dei rapporti mutualistici deve essere rispettato il principio di parità di trattamento.

Ratio Legis

La disposizione cristallizza il principio cardine della parità di trattamento tra i soci, atto a regolare in particolare i rapporti tra soci ed organo amministrativo.

Spiegazione dell'art. 2516 Codice Civile

La norma riconosce, nell'ambito delle cooperative, la sussistenza del principio della parità di trattamento tra soci. Suddetto principio non va tuttavia confuso con il principio di uguaglianza dei diritti contenuti nell'azione (di cui all'art. 2348), né in generale può essere inteso come principio di uguaglianza assoluta dei soci nei confronti della società.
In generale può dirsi che la norma impone alla società e, quindi, ai suoi organi, di non trattare in maniera differenziata e/o discriminatoria soci che si trovino nella medesima situazione, senza che vi siano pertanto ragioni oggettivamente apprezzabili.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

15 Questa norma vuole dare concreta attuazione alle previsioni della legge delega che auspicano la introduzione di una disciplina protettiva dello scopo mutualistico del cooperatore, e va completata con un collegamento alla norma dell'art. 11 che prevede la necessità di una disciplina statutaria o regolamentare del rapporto mutualistico con i soci (inteso come rapporto contrattuale distinto da quello societario). Con essa si introduce espressamente la clausola generale della parità di trattamento nello svolgimento della attività mutualistica. La codificazione del principio di parità di trattamento, che comunque si ritiene vigente anche in mancanza di espresse previsioni, potrà avere un grande ruolo nella corretta determinazione del prezzo della prestazione mutualistica (si pensi alle cooperative di consumo in senso ampio, alle cooperative edilizie) o nella remunerazione delle prestazioni dei soci (nelle cooperative di produzione e lavoro) e potrà consentire alla giurisprudenza di sanzionare i casi di mancata attuazione della mutualità riconducibili alla violazione della regola della uguaglianza. Non è stato ritenuto opportuno, viceversa , introdurre la clausola generale di correttezza, anche per una esigenza di simmetria con la disciplina delle società di capitali.

Massime relative all'art. 2516 Codice Civile

Cass. civ. n. 6510/2004

Nell'ordinamento delle società cooperative attesa l'accentuata rilevanza dell'elemento personale che ad esse è propria e stante l'operatività della regola di buona fede nell'esecuzione di ogni rapporto contrattuale (ivi compresi quelli societari) è da ritenersi vigente (già prima dell'espressa previsione nel testo dell'art. 2516 c.c., novellato dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6) un generale principio di parità di trattamento dei soci da parte della società, il quale da intendersi in senso relativo, e cioè come parità di trattamento dei soci che si trovino, rispetto alla società, in eguale posizione attiene al modo in cui la società, e per essa i suoi amministratori e rappresentanti, è tenuta a comportarsi, definendo una regola di comportamento per gli organi sociali, la cui violazione, ove in fatto accertata, ben può esporre gli amministratori a responsabilità, ai sensi dell'art. 2395 c.c., applicabile alle cooperative in virtù dell'art. 2516 (ora art. 2519) c.c. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito, la quale, in sede di giudizio di rinvio, aveva affermato la responsabilità degli amministratori di una cooperativa edilizia, per il fatto che essi, a fronte della situazione debitoria di alcuni soci, non avevano attivato contro di essi alcuna iniziativa recuperatoria del credito sociale, ma avevano invece sopperito al fabbisogno finanziario dell'ente accendendo ipoteche su beni destinati ad altri soci, i quali avevano già assolto ogni obbligo di pagamento).

Cass. civ. n. 5724/2004

Gli atti contrattuali con i quali una società cooperativa trasferisca ad alcuni soci la proprietà di alloggi, da essa costruiti, a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate (o che in futuro è prevedibile possano essere praticate) ad altri soci non sono, per ciò stesso, affetti da nullità, sia perché non ogni anomalia di funzionamento del rapporto sociale si traduce, sol perché tale, in un vizio genetico del contratto di cessione dell'alloggio di per sé altrimenti valido (un simile vizio potendosi ravvisare solo quando quell'anomalia sia tale da recidere del tutto l'indispensabile nesso tra la causa mutualistica del rapporto societario e la causa sinallagmatica del contratto di scambio), sia perché il principio di parità di trattamento, vigente nel sistema delle società cooperative già prima nella novellazione dell'art. 2516 ad opera del D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, definisce una regola di comportamento per gli organi sociali, ma non è idoneo a riflettersi sulla validità dei singoli rapporti contrattuali per il cui tramite i singoli soci si assicurano la prestazione mutualistica loro fornita dalla cooperativa.

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Sante P. chiede
giovedì 12/05/2016 - Veneto
“Nell'anno 1996 il Consiglio di amministrazione di una cooperativa edilizia, a sostegno pubblico, assegnava a sei soci altrettanti alloggi di una palazzina. L'assegnazione avveniva con atto notarile, a firma del Presidente della cooperativa e di un socio di volta in volta.
A tre di detti soci, insieme all'appartamento, veniva assegnata anche una porzione del porticato comune, di superficie diversa in funzione dell'altezza del piano dell'appartamento: circa 3/6 al socio del primo piano, 2/6 al secondo piano, 1/6 al terzo piano. Quest'ultimo è il sottoscritto.
Nel 2001 il sottoscritto veniva trasferito per lavoro in un'altra città. Al ritorno, nel 2004, si avvede che i due soci suddetti avevano chiuso le aree del porticato per ricavarne due appartamenti con tanto di abilitazione. Convinto, insieme al mio avvocato, che non potevano farlo, faccio causa ad entrambi e la perdo...
L'occasione della causa tuttavia mi ha dato l'opportunità di leggere tutti gli atti notarili. Scoprivo così che i due proprietari in questione avevano pagato alla cooperativa la stessa somma pagata dal sottoscritto, pur avendo ottenuto superfici maggiori, contrariamente a quanto dicono le leggi sulle cooperative.
Questo avveniva nel 2004, otto anni dall'assegnazione degli appartamenti e quindi due anni prima che scattasse la prescrizione.
Ma l'aver in corso la causa per le costruzioni ritenute abusive mi impediva di fare un'altra causa, quella appunto per la differenza di superficie assegnata e dei costi.
La domanda che pongo è: posso oggi fare causa ai due soci e alla cooperativa per la suddetta differenza ai miei danni, nella certezza di non essere ancora in prescrizione? C'è della giurisprudenza in merito?
In attesa di una risposta, porgo distinti saluti.
Sante”
Consulenza legale i 19/05/2016
Purtroppo, nel caso di specie, non vi è più alcuna possibilità di agire per via giudiziale, essendo maturate le prescrizioni di legge.

Queste ultime, tuttavia, non sono quelle ipotizzate nel quesito in esame.
Infatti, laddove si ritiene che vi sia stata una violazione della normativa sulle cooperative in forza della lamentata “discriminazione” operata sulle assegnazioni degli appartamenti tra i vari soci, va purtroppo detto che la giurisprudenza si è pronunciata sul punto in senso del tutto difforme.

E’ vero, in effetti, che nell’ambito delle cooperative, vige il principio della “parità di trattamento” ai sensi dell’art. 2516 cod. civ., il quale, intitolato “rapporti con i soci”, stabilisce “Nella costituzione e nell’esecuzione dei rapporti mutualistici deve essere rispettato il principio di parità di trattamento”.

E’ altresì vero, tuttavia, che tale principio viene ritenuto valevole in relazione al solo rapporto sociale (tra socio e cooperativa) strettamente inteso e non ai rapporti – pur da questo derivanti – di altro tipo, come quelli di scambio (ad esempio, proprio le assegnazioni di immobili che – per opinione consolidata – sono riconducibili alla disciplina della compravendita vera e propria: Cass. Civ., Sez. I, 12 dicembre 2014 n. 26222).

Se così non fosse sarebbe ancora possibile, nella fattispecie in esame, procedere con un’azione di nullità dei contratti di assegnazione, azione imprescrittibile e che può essere fatta valere da chiunque abbia interesse; purtroppo, l’interpretazione offerta dai giudici dell’art. 2516 c.c. impedisce questa strada, e ne lascia aperta solamente un’altra, ugualmente – però – preclusa nel caso concreto che ci occupa, per intervenuta prescrizione.

Anche a tale ultimo proposito si riporta, di seguito, ampio stralcio della pronuncia di riferimento in materia, perché molto chiara ed esaustiva: “La questione che anzitutto esso pone si può riassumere nel seguente interrogativo: se gli atti contrattuali con cui una cooperativa trasferisca ad alcuni soci la proprietà di alloggi da essa realizzati a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate (o che in futuro è prevedibile possano essere praticate) ad altri soci siano, per ciò stesso, affetti da nullità; sicché qualunque interessato, ed in specie la cooperativa stessa (o, per essa, il curatore del fallimento successivamente dichiarato), possa far accertare tale nullità ed ottenere la restituzione degli alloggi invalidamente trasferiti a quei soci.

La difesa del fallimento ricorrente suggerisce che a tale quesito debba darsi risposta positiva in quanto, come s'è accennato, essa ravvisa una ragione di nullità nella violazione del principio di parità di trattamento dei soci e nella distorsione che, di conseguenza, subirebbe la causa mutualistica insita nel contratto sociale; distorsione destinata a ripercuotersi negativamente anche sulla causa dei contratti di assegnazione dei singoli alloggi, perché questi costituiscono lo strumento mediante il quale la cooperativa attua il proprio scopo e sono perciò ad esso imprescindibilmente legati.

Questa tesi, benché elegantemente argomentata e non priva di spunti suggestivi, non appare però persuasiva
Non si può non convenire sul fatto che la realizzazione di uno scopo mutualistico attiene alla causa stessa della società cooperativa. Del pari non sembra dubbio che, per il modo in cui la cooperativa tende alla realizzazione del proprio scopo mutualistico, consentendo ai soci di conseguire direttamente il soddisfacimento di bisogni che altrimenti imporrebbero loro di sopportare i costi dell'intermediazione di terzi, i distinti rapporti contrattuali intrecciati tra la società ed i propri soci al fine di realizzare detti scopi abbiano con il contratto sociale un preciso collegamento causale (cfr., in tal senso, Cass. 23 ottobre 1997, n. 10422).
Se questo è vero, e se è pur vero che ciò in via di principio non esclude possibili riflessi di un'eventuale patologia del rapporto cooperativo societario sui distinti rapporti negoziali che, in attuazione del primo, intercorrano tra la società ed i singoli soci, resta nondimeno indispensabile distinguere questi da quello. Occorre cioè non dimenticare che il socio di una cooperativa edilizia, che sia anche beneficiario del servizio mutualistico reso dalla medesima cooperativa, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti: l'uno, di carattere associativo, che direttamente discende dall'adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio; l'altro, di natura sinallagmatica, che deriva dal contratto bilaterale di scambio mediante il quale egli si appropria del bene che la cooperativa gli fornisce. Il fatto che il contratto di assegnazione dell'alloggio sia frutto di una contrattazione ulteriore e diversa, rispetto a quella da cui discende il rapporto sociale, e che sia dotato di una propria distinta causa (quantunque all'altra collegata), non consente quindi di affermare che ogni eventuale anomalia di funzionamento del rapporto sociale si traduca, solo perché tale, in un vizio genetico del contratto di cessione dell'alloggio di per sé altrimenti valido. Un simile vizio lo si potrebbe ravvisare solo qualora quell'anomalia fosse tale da recidere del tutto l'indispensabile nesso tra la causa mutualistica del rapporto societario e la causa sinallagmatica del rapporto di scambio, finendo così per stravolgere anche quest'ultima (come, ad esempio, in ipotesi di cessione di alloggi a terzi estranei alla cooperativa, in violazione dei diritti dei soci prenotatari degli alloggi medesimi: cfr. Cass. 25 settembre 1999, n. 10602); ma occorre verificare se questo sia il caso.

La curatela ricorrente sostiene, per l'appunto, che un simile stravolgimento sarebbe effetto, nella presente fattispecie, della violazione del principio di parità di trattamento dei soci, che vulnererebbe lo scopo mutualistico posto a fondamento della cooperativa. A ciò si deve però anzitutto obiettare che l'invocato principio di parità di trattamento dei soci, pur trovando nello scopo mutualistico della cooperativa un valido punto di appiglio, non si identifica affatto con esso. Lo scopo mutualistico si differenzia da quello lucrativo, proprio in genere delle società commerciali, essenzialmente per il fatto che l'attività imprenditoriale di queste ultime è volta alla creazione di un profitto, destinato a remunerare il capitale investito, mentre l'attività d'impresa svolta dalle cooperative è orientata alla soddisfazione diretta di determinati bisogni dei soci, cui vengono forniti beni o servizi o possibilità di lavoro a condizioni che l'assenza di ogni intermediazione di terzi rende più favorevoli.

Nello scambio mutualistico è sicuramente insito un connotato di reciprocità, ma non anche, da un punto di vista logico, l'assoluta equivalenza per tutti i soci delle condizioni alle quali il servizio è reso. La mutualità, in sé sola considerata, potrebbe insomma anche esser diseguale. Non deve esserlo, naturalmente; ma non per ragioni ad essa intrinseche, bensì per effetto di un diverso principio - il principio di parità di trattamento - che alla mutualità si riallaccia ma con essa non si confonde.

Ne consegue che la sua violazione (a parte gli eventuali riflessi sulla validità degli atti interni alla società, ed in specie delle deliberazioni assembleari o consiliari: si veda Cass. 24 gennaio 1990, n. 420), può eventualmente giustificare l'esercizio, da parte dei singoli soci sacrificati, di un'azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali della cooperativa cui quella violazione sia imputabile, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 2395 c.c., applicabile alle cooperative in virtù del rinvio operato dall'art. 2516 (ora 2519) c.c.. Non giustifica invece la pretesa della medesima società (o degli organi del suo fallimento) di far dichiarare la nullità dei contratti stipulati con i soci favoriti.

Come si legge nella sentenza, residuerebbe quindi – in ipotesi come quella in esame – la possibilità di agire nei confronti degli organi della cooperativa (che abbiano deliberato sulle contestate assegnazioni) ai sensi dell’art. 2395 del codice civile (articolo appartenente alla disciplina delle società per azioni ma applicabile anche alle cooperative), in forza del quale il singolo socio può agire per il risarcimento del danno nei confronti della società qualora abbia subìto un danno diretto dalla condotta dolosa o colposa degli amministratori.

L’azione in commento, tuttavia, si prescrive in cinque anni dal compimento dell’atto pregiudizievole.