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Articolo 1580 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Cose pericolose per la salute

Dispositivo dell'art. 1580 Codice Civile

Se i vizi della cosa o di parte notevole di essa espongono a serio pericolo(1) la salute [32 Cost.] del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti(2), il conduttore può ottenere la risoluzione(3) del contratto, anche se i vizi gli erano noti, nonostante qualunque rinunzia [1229].

Note

(1) Il pericolo è serio se determina un'alta probabilità di effetti dannosi per la salute.
(2) Dal tenore della norma, che si riferisce sia ai familiari che ai dipendenti, si deduce la volontà di renderla applicabile sia alle locazioni ad uso abitativo (v. L. 9 dicembre 1998, n. 431) che a quelle ad uso commerciale (v. L. 7 luglio 1978, n. 392).
(3) L'azione di risoluzione spetta solo al locatario quale parte del rapporto contrattuale (1453 c.c.). L'eventuale danno alla salute patito dai suoi familiari o dipendenti potrà essere fatto valere da questi in via aquiliana (2043 ss. c.c.).

Ratio Legis

La previsione è giustificata dal rilievo primario che assume, nel nostro ordinamento, il diritto alla salute (32 Cost.).

Spiegazione dell'art. 1580 Codice Civile

Pericolo per la salute

La seconda parte dell'art. 1229 del codice stabilisce la nullità di qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico. L'articolo in esame contiene un'applicazione di tale principio, in virtù del quale le rinunzie relative ai vizi della cosa che espongono a pericolo la salute sono prive di efficacia giuridica perché il bene tutelato con la sanzione di responsabilità è sottratto alla disposizione delle parti.

La norma trae origine dalle dispute sorte circa il diritto alla risoluzione del contratto nel caso di malattia, seguita o non da morte, del precedente conduttore affetto da tubercolosi od altra malattia contagiosa. Durante l'applicazione del codice civile del 1865 non mancò qualche decisione che estese la garanzia per i vizi della cosa locata al caso di abitazione in precedenza occupata da persona affetta da tubercolosi e riconobbe al conduttore, che ignorava tale circostanza, il diritto a domandare la risoluzione del contratto e i danni.
Sembra però che, di regola, la malattia del precedente inquilino dia piuttosto luogo ad un inconveniente riparabile ed in mancanza del riparo il locatore debba rispondere di inadempimento all'obbligo di cui all'art. 1575, n. 1, all'obbligo cioè di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione. L'obbligo del locatore, nella generalità dei casi, si esaurisce nel denunciare il fatto all'ufficio d'Igiene del Comune e nell'ottenere le disinfezioni e le opere che l'Ufficio nel suo apprezzamento
discrezionale-tecnico ha ritenuto necessarie e sufficienti. Tali disinfezioni potranno estendersi a tutta o a parte dell'abitazione o anche alla sola stanza ove soggiornò o morì il precedente conduttore ammalato; ciò non toglie che il nuovo conduttore possa interloquire sulla misura e sull'efficienza delle disinfezioni medesime. Non devono infatti confondersi gli atti dell'autorità amministrativa con quelli cui l'individuo, in base ad un rapporto di diritto privato, sia tenuto. È stato osservato che delle deficienze del servizio amministrativo e della sua eventuale deficienza dal lato tecnico non deve sopportare le conseguenze il conduttore e d'altra parte le misure d'ordine permanente che il locatore deve prendere possono essere assai diverse da quelle di natura provvisoria, quali quelle cui provvede l'autorità sanitaria.

Qualora, nonostante le riparazioni, le più diligenti disinfezioni o verifiche i vizi sussistano tuttora e siano tali da esporre a serio pericolo la salute del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti, non si versa piu in tema di manutenzione ed entra in gioco la garanzia per i vizi della cosa. Quando è che ricorra il pericolo per la salute e quando questo possa dirsi serio. è un problema che non è dato risolvere a priori con una definizione unica, ma occorrerà determinare caso per caso tenuto conto delle effettive condizioni della cosa, delle persone cui è stato garantito il godimento della cosa medesima e così via. È serio il pericolo che susciti un ragionevole timore nelle persone minacciate, ma questa concezione soggettiva del pericolo non è quella che la legge tiene presente: la legge vuol riferirsi al pericolo oggettivamente considerato e il cui accertamento potrà richiedere indagini di ordine tecnico.

La norma in esame è stata dettata a tutela della salute di persone determinate e non è suscettibile di interpretazione estensiva. La risoluzione del contratto non potrebbe essere invocata per il pericolo corso dalla salute di un ospite occasionale, anche se si tratti di un parente, dovendosi intendere per familiare del conduttore colui che abitualmente conviva con lui. Dipendente è invece tanto il domestico, quanto l'operaio o impiegato che, per ragioni del suo lavoro, è costretto a trattenersi nel locale esposto al pericolo. Non è infatti detto che la norma si applichi soltanto alle case per abitazione, ma per la sua portata generale si riferisce a qualsiasi cosa idonea ad essere locata.

Se non occorre che l'intera cosa sia tale da esporre il conduttore o i suoi familiari e dipendenti al pericolo, deve sempre trattarsi di una parte notevole di essa. Così non potrebbe essere denunciata l'insalubrità della cantina o del pollaio per invocare la risoluzione del contratto di locazione, sia perché tale difetto riguarderebbe una parte accessoria della cosa locata, sia perché da tale insalubrità potrebbe derivare danno alle cose, non alla salute delle persone.
Se al pericolo si aggiunge un danno effettivo, accanto alla responsabilità contrattuale è configurabile una responsabilità extra-contrattuale.

All'ipotesi della malattia del precedente conduttore si suole avvicinare quella del pericolo di malattia infettiva derivante dalle condizioni del luogo, sia che minacci la persona, sia che minacci gli animali del conduttore e si fanno gli esempi del conduttore di un prato che chieda lo scioglimento del contratto dinanzi all'avvicinarsi di un morbo contagioso per gli animali, ma in questa fattispecie non sembra che possano addossarsi al locatore le conseguenze di un avvenimento che non colpisce né la cosa né la sua produttività e che comunque non minaccia le persone ma soltanto il bestiame.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

395 Pure nuovo è l'art. 432 con il quale ho disciplinato l'ipotesi di vizi che espongono a pericolo la salute del conduttore, dei suoi familiari o dei suoi dipendenti.
Se tali vizi investono la cosa nella sua interezza o in una sua parte notevole, il locatore può ottenere lo scioglimento del contratto; in ogni altra ipotesi si applica l'art. 430 e quindi può anche domandarsi semplicemente la riduzione.
L'art. 432 si applica altresì quando i vizi non siano ignorati dal conduttore al momento della conclusione del contratto e se pure il conduttore abbia rinunziato al diritto di sciogliersi dal contratto. La conservazione della salute non è un diritto disponibile; epperò deve essere priva di effetti la conoscenza del vizio che la minaccia, la rinunzia a preservarla sciogliendosi dal contratto e in genere la rinunzia a far valere azioni dirette a rimuovere situazioni pregiudizievoli alla stessa.

Massime relative all'art. 1580 Codice Civile

Cass. civ. n. 19744/2014

Il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell'immobile locato anche in relazione a vizi preesistenti la consegna ma manifestatisi successivamente ad essa qualora gli stessi, con l'uso dell'ordinaria diligenza, potessero essere a lui noti; né rileva che tali condizioni abitative fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità.

Cass. civ. n. 23909/2006

In materia di locazioni l'art. 1580 c.c., che consente al conduttore di chiedere la risoluzione del contratto e non anche il risarcimento del danno nel caso in cui i vizi siano dal medesimo conosciuti al momento della conclusione del contratto, ha carattere eccezionale e non è applicabile nelle ipotesi in cui la cosa sia affetta da vizi non conosciuti dal locatario ovvero quando il locatore si sia reso inadempiente all'obbligo di mantenere il bene in stato di servire alluso convenuto, trovando applicazione, in detti casi; le disposizioni di cui agli artt. 1218 e 1453 c.c.

Cass. civ. n. 915/1999

Il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell'immobile locato quand'anche tali condizioni fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità.

Cass. civ. n. 3636/1998

L'art. 1580 c.c. attribuisce al conduttore la cui salute sia minacciata da vizi della cosa a lui noti al momento della conclusione del contratto il potere di chiedere la risoluzione, non anche l'ulteriore rimedio del risarcimento del danno eventualmente subito in conseguenza dei vizi, giacché in tale ipotesi il danno deve ritenersi consapevolmente accettato dal conduttore. La norma, atteso il suo carattere eccezionale, non è applicabile nelle ipotesi in cui la cosa sia affetta da vizi non conosciuti dal conduttore ovvero quando il locatore siasi reso inadempiente all'obbligo di mantenere la cosa in stato di servire all'uso convenuto, trovando applicazione in dette ipotesi le disposizioni di cui agli artt. 1218 e 1453 c.c.

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LUIGI P. chiede
martedì 31/12/2019 - Molise
“Buonasera, sono locatario di un appartamento in M.
sulla parete esterna del bagno sopra il serramento dell'appartamento che occupo, si è creata della muffa a causa della condensa che si forma specialmente durante l'uso della doccia.
Ho segnalato la problematica al proprietario, manifestando che tale parete non è sufficientemente coibentata e che la muffa che si crea ha macchiato l'intonaco provocando anche cattivo odore.
Il tecnico del locatore sostiene che:

"la causa più probabile è ascrivibile ad una non corretta aerazione del locale stesso in occasione dell'utilizzo dell'acqua calda ad esempio per la doccia o comunque imputabile alla stesura di panni ad asciugate che disperdano umidità nell'aria……. si consiglia di effettuare aereazioni più frequenti del locale".

Ritenendomi responsabile del danno, con richiesta di provvedere a mie spese alle riparazioni necessarie.
Premetto che non stendo i panni ad asciugare nel bagno e che il bagno viene destinato esclusivamente all'uso per il quale è destinato.

Vi chiedo gentilmente un Vostro parere.
cordiali saluti”
Consulenza legale i 08/01/2020
Qualunque inquilino di un alloggio ha diritto ad una abitazione esente da vizi e/o difetti che ne diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito (cfr. art. 1578 del c.c.), e la muffa costituisce chiaramente un difetto, oltretutto pericoloso per la salute.

La presenza di muffa o di macchie di umidità è, tuttavia, un fenomeno che può verificarsi molto di frequente nel corso di un rapporto di locazione, ed i maggiori contrasti tra proprietario ed inquilino nascono dalla mancanza di una corretta individuazione di quelle che possono essere le cause che la producono.
Generalmente la sua formazione è dovuta ad isolamenti termici sbagliati (una parere esterna in condizioni normali dovrebbe essere permeabile al vapore dall’interno verso l’esterno), oppure al fatto che il locale è arieggiato male (ad esempio per installazione di finestre stagne a risparmio energetico, non accompagnato da un risanamento termico dei muri).

Chiaramente vi sono diversi rimedi preventivi in grado di evitare o quantomeno ridurre sensibilmente la formazione di condensa o muffa, quali realizzare buoni isolamenti delle pareti esterni dell’edificio (muri, pavimenti e soffitti), utilizzare materiali con capacità di assorbimento di vapore per mura e soffitti, ma anche arieggiare abbondantemente gli ambienti in cui la condensa maggiormente si forma, cercando di effettuare un cambio d’aria completo.

Come può intuirsi da quanto appena sinteticamente detto, prima di avventurarsi in qualunque tipo di azione contro il proprietario dell’immobile locato, tenuto non solo a fornire un alloggio esente da vizi, ma anche a mantenere lo stesso in buono stato locativo per tutto il corso della locazione, effettuando tutte le riparazioni necessarie tranne quelle di piccola manutenzione (così art. 1576 del c.c.), sarebbe opportuno, se non necessario, rivolgersi ad un tecnico di propria fiducia (competente, preferibilmente, in materia di isolamenti termici degli edifici), al fine di riuscire ad individuare quali possono essere le cause che hanno determinato nel caso di specie la presenza della muffa lamentata, cercando soprattutto di capire se la stessa sia dovuta esclusivamente ad un eccessivo accumulo di condensa o anche al concorso di fattori strutturali dell’edificio.

In casi come questo, infatti, vale la regola secondo cui se la muffa deriva da una incorretta manutenzione ordinaria, saranno indubbiamente a carico dell’inquilino le spese occorrenti per il ripristino delle superfici murarie, mentre, se trattasi di problema strutturale, delle relative spese dovrà farsi carico il proprietario-locatore.

Tale regola la si trova chiaramente espressa all’art. 1609 del c.c., norma che, richiamando l’art. 1576 c.c., pone a carico del conduttore le riparazioni di piccola manutenzione.
E’ vero che per queste ultime non esiste un elenco predeterminato per legge e che le parti dovrebbero diligentemente stabilirlo di comune accordo anche nel corpo dello stesso contratto di locazione; è anche vero, però, che se quella muffa dipende esclusivamente da una non corretta areazione del locale interessato, pur se adibito al suo uso normale, non può essere il proprietario a sopportarne le conseguenze.
Né, del resto, ha un fondamento logico quanto asserito dal perito del proprietario, nella parte in cui viene rimproverata la stesura di panni ad asciugare che disperdono umidità nell’ambiente; trattasi, probabilmente, di consuetudine comune a molti inquilini e proprietari, la quale, se accompagnata da una corretta areazione o dall’adozione di particolari cauzioni (come ad esempio evitare di stendere i panni particolarmente bagnati) non dovrebbe creare particolari problemi, se non una modesta formazione di condensa, facilmente eliminabile e senza sopportare spese tali da richiedere l’intervento del proprietario.

Qualora, invece, il tecnico di propria fiducia dovesse smentire quanto asserito dal tecnico di controparte, constatando che quella muffa è dovuta a problemi di natura strutturale (come un isolamento termico delle pareti sbagliato), allora saranno ben altre le soluzioni e sarà indubbiamente il proprietario a doverne rispondere, gravando su di lui quell’obbligo a cui prima si è fatto riferimento, ossia mantenere il bene in buono stato locativo.
In tale ipotesi occorrerà preliminarmente invitare per iscritto il proprietario dell’immobile a rimuovere la causa da cui ha origine la muffa, e ciò conformemente a quanto disposto dall’art. 1577 del c.c., allegando, se possibile, a tale richiesta, anche la perizia del tecnico di propria fiducia.
Qualora, a seguito di ciò, il proprietario non si decidesse ad intervenire, trattandosi di vizio in grado di nuocere alla salute del conduttore e dei suoi familiari, e non potendosi certamente pretendere l’esecuzione forzata dei relativi lavori, sarebbe ben possibile pretendere la risoluzione dello stesso contratto di locazione, questa volta conformemente a quanto disposto dall’art. 1580 c.c., nonché il risarcimento degli eventuali danni nel frattempo subiti.

Se, invece, non si ha alcuna intenzione di sciogliere quel contratto, rinunciando all’appartamento, ci si potrà avvalere della facoltà di chiedere una congrua riduzione del canone corrisposto, facoltà anche questa espressamente prevista dalla seconda parte del primo comma dell’art. 1578 c.c.

Per concludere si ritiene utile dare un ultimo suggerimento: se anche il tecnico di propria fiducia dovesse accertare che la presenza della muffa è dovuta soltanto a cattiva areazione o ad un uso scorretto di quel locale, occorrerà adoperarsi per ripristinare a proprie spese i danni verificatisi, e ciò al fine di adempiere a quella obbligazione contenuta all’art. 1590 del c.c., norma che pone a carico del conduttore l’obbligo di restituire la cosa al locatore nel medesimo stato in cui l’ha ricevuta, ed in conformità all’eventuale descrizione che ne sia stata fatta dalle parti nel contratto.