La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata dalla vicenda che aveva visto come protagonista una condomina, la quale aveva citato in giudizio il condominio chiedendo che venisse accertata la legittimità del proprio distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato, essendo, pertanto, tenuta al pagamento delle sole spese di conservazione dell’impianto stesso, ma non anche di quelle relative al consumo energetico.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, però, rigettavano le istanze attoree. La Corte territoriale, in particolare, fondava la propria decisione sull’art. 11 del regolamento contrattuale di condominio, il quale conteneva un esplicito divieto di distacco del condomino dall'impianto centralizzato, prevedendo, al contempo, in materia di riparto delle spese, l'obbligo di contribuzione da parte di tutti i condomini, anche se non residenti nell'appartamento di loro proprietà. Lo stesso regolamento stabiliva, inoltre, che nessun condomino potesse rinunciare al riscaldamento comune.
Rimasta soccombente in entrambi i gradi del giudizio di merito, l’attrice decideva di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1362, 1369, 1371 e 1374 del c.c. A suo avviso, infatti, la Corte d’Appello aveva erroneamente interpretato l’art. 11 del regolamento condominiale, basandosi sul mero dato letterale della norma, la quale, in realtà, ammetteva la possibilità, per i condomini, di modificare gli elementi radianti, seppur con il consenso dell’amministratore. Secondo la ricorrente tale facoltà avrebbe dovuto comprendere anche la possibilità, per il condomino, di distaccarsi dall'impianto centralizzato, in virtù del principio di solidarietà sociale e dell'interesse preminente al risparmio energetico, sanciti nel D.L. n. 102/2014, in attuazione della direttiva CEE 2012/27/UE in materia di contabilizzatori individuali. Il giudice di merito avrebbe, quindi, dovuto accertare unicamente se il distacco dal riscaldamento centralizzato avesse arrecato un pregiudizio al funzionamento del sistema.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Gli Ermellini hanno, innanzitutto, ribadito che il regolamento condominiale, anche se contrattuale, non può, comunque, derogare alle disposizioni richiamate dal comma 4 dell’art. 1138 del c.c., né può menomare i diritti che, ai condomini, derivino dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, “la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti "in radice" al condomino di rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto termico comune, è nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, se il distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento” (Cass. Civ., n. 28051/2018; Cass. Civ., 11970/2017; Cass. Civ., n. 19893/2011).
Secondo il consolidato orientamento della Cassazione, dunque, la condizioni per il distacco dall’impianto centralizzato vanno ravvisate nell’assenza di pregiudizio al funzionamento dell’impianto stesso, e comportano il conseguente esonero, per il condomino che operi il distacco, dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato, in applicazione del principio contenuto nel comma 2 dell’art. 1123 del c.c., essendo, quindi, egli tenuto pagare soltanto le spese di conservazione dell’impianto comune.
Come, peraltro, rilevato dagli stessi Giudici di legittimità, l’ordinamento ha, anzi, dimostrato di privilegiare il distacco dall’impianto centralizzato, alla luce del generale interesse al risparmio energetico, tanto da prevedere l’esclusione di tale tipologia di impianti negli edifici di nuova costruzione.