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Articolo 1330 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Morte o incapacitā dell'imprenditore

Dispositivo dell'art. 1330 Codice Civile

La proposta o l'accettazione, quando è fatta dall'imprenditore nell'esercizio della sua impresa, non perde efficacia se l'imprenditore muore o diviene incapace [414] prima della conclusione del contratto [1326](1), salvo che si tratti di piccoli imprenditori [2083] o che diversamente risulti dalla natura dell'affare o da altre circostanze(2).

Note

(1) Dal disposto di tale norma e dell'art. 1329 del c.c. si ricava che la regola generale è nel senso che morte o sopravvenuta incapacità del proponente, così come dell'accettante, prima del perfezionarsi del contratto, comportano l'inefficacia di proposta ed accettazione.
(2) Si pensi, ad esempio, alla proposta che, pur se fatta ad un imprenditore, sia volta a concludere un contratto per la fornitura di un servizio ad opera della persona dell'imprenditore stesso per la fiducia riposta in questi.

Ratio Legis

La norma si giustifica considerando che in caso di impresa la proposta si inserisce in un contesto ampio nel quale si prescinde dalla persona del singolo imprenditore le cui vicende personali, pertanto, divengono irrilevanti. Ciò non accade in caso di piccola impresa nella quale, per definizione, l'organizzazione risente delle persone che ne fanno parte.

Spiegazione dell'art. 1330 Codice Civile

Estinzione per revoca della proposta e dell'accettazione. Irrevocabilità della proposta

E’ stato mantenuto nel nuovo codice il principio della revocabilità della proposta e dell'accettazione (art. 1328), già accolto nell’art. 36 cod. comm.

Limiti a codesto potere di revoca derivano dalla legge o dalla volontà privata. Un'irrevocabilità legale di proposta contrattuale è prevista nell'art. 1887; la validità della clausola di irrevocabilità della proposta è affermata nell'art. 1329; non è proposta irrevocabile quella che esige l'immediata esecuzione della prestazione, perchè esonera soltanto dalla comunicazione della preventiva risposta d'accettazione; solo le circostanze potranno chiarire se l'apposizione di un termine alla proposta induca irrevocabilità di essa per tutto il tempo prefisso o semplicemente una limitazione di tempo per la validità della proposta. Non è praticamente configurabile una rinunzia al potere di revoca dell'accettazione; essa infatti dovrebbe essere contenuta nella risposta dell'accettante, ma non potrebbe impedire che la revoca successiva, se giunta prima dell'accettazione, ne produca l'estinzione (la clausola stessa avrebbe effetto soltanto con la conoscenza che il proponente abbia dell'accettazione di cui è clausola accessoria) o che, se giunta posteriormente all'accettazione, rimanga senza efficacia essendo il contratto già andato a perfezione.

La clausola di irrevocabilità ha in sè un’efficacia limitata nel tempo e quando, come nel caso dell’art. 1887, questa limitazione non è espressamente dettata dalla legge, deve intendersi che duri per tutto il tempo previsto dall'art. 1326. Essa non apporta modifiche al meccanismo di formazione del contratto, in quanto non è di per sè sola sufficiente ad escludere la necessità di una preventiva risposta di accettazione; opera soltanto circa i poteri del proponente riguardo alla proposta, di cui lo stesso proponente non può disporre provocandone l'estinzione per mera sua volontà. Non un negozio a sè stante essa contempla, né una proposta distinta da quella che mira a concludere il contratto; ma è un tutt'uno con la proposta, alla quale conferisce un valore
giuridico particolare col farle acquistare una fermezza di effetti che normalmente non ha. Sotto l'impero dell'art. 36 cod. comm. si sostenne che se il proponente, violando l'impegno di revocare, in effetti receda dalla proposta, rimane impedita la conclusione del contratto, perchè l'accettazione non può combinarsi con la proposta, che più non esiste, onde formare il contratto. Questa tesi non è sostenibile alla stregua del nuovo codice, perché l’art. 1329 dichiara senza efficacia la revoca della proposta fatta in violazione dell'impegno di non revocarla; in modo che, se la proposta è irrevocabile, per quanto i1 proponente abbia desistito da essa, il contratto, giunta al proponente la notizia dell'accettazione, viene ugualmente a perfezione. Di fronte al carattere fermo della proposta, la revoca non ha efficacia così come resta privo di effetto il recesso da un contratto già perfetto; il che è da ritenere compatibile col dogma dell'incoercibilità del volere in un sistema come l'odierno che, con l'art. 2932, permette di far produrre gli effetti del contratto ad una promessa obbligatoria diretta a concluderlo, anche se nel frattempo muti la determinazione già espressa.


Ricettizietà della revoca della proposta e dell’accettazione

La revoca dell'accettazione è, per l'art. 1328, indubbiamente recettizia: la revoca stessa, per essere efficace, deve cioè giungere a notizia del proponente prima dell'accettazione.
A proposito della revoca della proposta non si ripete, nel primo comma dell'art. 1328, l'esigenza di una notifica all'accettante come presupposto perché essa abbia l'effetto di impedire la formazione del contratto; ma della necessità di tale notifica si fa cenno a proposito dei danni cui il revocante è tenuto verso l'accettante che di buona fede abbia iniziato l'esecuzione del contratto: si nega il risarcimento delle spese e delle perdite successive alla scienza della revoca. Il che vuol dire che la notifica di tale revoca, della quale si fa menzione pure nell'art. 1335, è imposta non per l'effetto di produrre la estinzione della proposta e quindi a finalità costitutive, ma a solo scopo di notizia; per evitare cioè che l'accettante, confidando nel presumibile arrivo al proponente dell'accettazione e ignorando la revoca, inizi l'esecuzione del contratto o continui nell'esecuzione stessa. Da ciò la conseguenza che la proposta viene posta nel nulla fin dal momento dell'emissione della revoca, sempreché, s'intende, non sia ancora giunta a conoscenza del proponente l'accettazione della proposta; nel qual caso il contratto è già perfetto e solo il mutuo dissenso potrebbe dissolverlo.

La differenza fra la condizione fatta alla revoca della proposta e quella fatta alla revoca dell'accettazione potrebbe attribuirsi al fatto che, emessa la revoca della proposta, la risposta di accettazione, quando giunge a notizia del proponente, non trova più una volontà diretta al contratto con la quale possa combinarsi; ciò che è un fatto la cui esistenza deve ritenersi indipendente dalla notifica che ne abbia avuta l'altra parte, mentre, se la revoca dell'accettazione non giungesse al proponente prima dell'accettazione o contemporaneamente alla medesima, potrebbe trovare il contratto già concluso.

Qualunque, del resto, possa essere la giustificazione della differenza già notata, certo è che non solo il rapporto letterale fra i1 primo e il secondo comma dell'art. 1238, ma la storia di quest'articolo conferma che, a differenza della revoca dell'accettazione, la revoca della proposta impedisce la formazione del contratto per il solo fatto dell'emissione. Il progetto del codice di commercio del 1925 espressamente dichiarava (art. 2962) che «la proposta e l'accettazione possono essere revocate, purché la notizia della revoca giunga a conoscenza dell'altra parte prima della perfezione del contratto»: se fosse stato accolto tale principio non si sarebbe potuto dubitare che la notifica della revoca della proposta era necessaria per l'efficacia di essa come dichiarazione estintiva della proposta. L'art. 2 del progetto italo-francese del codice delle obbligazioni e il corrispondente art. 2 del progetto preliminare del libro delle obbligazioni (progetto della Commissione reale) si limitarono a dire che «il proponente può revocare l'offerta finche non ha avuto conoscenza dell'accettazione» e «l'accettazione può essere revocata finché non è giunta a conoscenza del proponente»: non si risolveva il problema della recettizietà della revoca e ne era venuta qualche critica. Il progetto ministeriale del libro delle obbligazioni (art. 186), mentre per la revoca della proposta si limitò a ripetere il principio dell'art. 2 del progetto preliminare predetto, per la revoca dell'accettazione volle espressamente dichiararne la recettizietà, adottando la formula che poi divenne il secondo comma dell'art. 1328. La dizione del primo comma fu criticata dalla Commissione delle assemblee legislative perché non teneva conto che l'accettazione poteva avvenire re oltre che verbis, e che nel primo caso il contratto si perfezionava indipendentemente dalla conoscenza dell'avvenuta esecuzione della prestazione indicata nella proposta; in accoglimento di questa osservazione, invece della formula «finché il proponente non ha avuto conoscenza dell'accettazione» si adottò l'altra «finché il contratto non sia concluso». Ora è evidente che, essendovi già nel progetto del codice di commercio del 1925 la determinazione apposita che avrebbe rivelato la recettizietà della revoca della proposta, il non averla accolta nei successivi progetti è indice evidente della intenzione di ripudiarla. Tanto più questa intenzione si può affermare, in quanto il progetto ministeriale del libro delle obbligazioni, modificando quello della Commissione reale, aveva accolto, dal progetto di codice di commercio del 1925, la determinazione circa la recettizietà della revoca dell'accettazione e non quella circa la recettizietà della revoca della proposta.

Se ben si guarda, l'attribuzione all'accettante del diritto ai danni per l'esecuzione del contratto intrapresa nell'ignoranza della revoca, potrebbe trovare giustificazione soltanto nell'estinzione della proposta per effetto dell'emissione della revoca, non per effetto della sua conoscenza da parte dell'accettante. Infatti, tenendo presenti i principi stabiliti in tema di proposta e di accettazione, dovrebbe ammettersi che la conoscenza della revoca, se richiesta come condizione per produrre l'estinzione della proposta, potrebbe essere efficace soltanto quando fosse intervenuta prima che il proponente avesse avuto notizia dell'accettazione. Ma allora l'esecuzione del contratto che l'accettante intraprendesse prima del tempo in cui presumibilmente l'accettazione avrebbe dovuto giungere a destino dovrebbe ritenersi fatta a rischio e pericolo dell'accettante; a sua volta poi quella compiuta posteriormente al tempo predetto dovrebbe ritenersi adempimento valido del contratto.
Nell'un caso e nell'altro di danni a favore dell'accettante non si potrebbe parlare. Se nell'art. 1238 si attribuiscono danni all'accettante, segno è che vi è stata un'esecuzione ad opera di lui, che si pone nel nulla perché la revoca, pur essendo giunta a notizia dell'accettante posteriormente all'intrapresa esecuzione, e cioè quando era possibile ritenere che il contratto si fosse perfezionato, in realtà aveva prodotto il suo effetto estintivo della proposta prima che l'accettante ne avesse avuto notizia, il che vale quanto dire per il solo fatto dell'emissione.

Di fronte a questi rilievi non sarebbe convincente opporre la asimmetria di un sistema che riconosce ricettizia la proposta e l’accettazione per il loro effetto costitutivo del contratto, ma non la revoca della proposta per il suo effetto estintivo della volontà diretta alla conclusione del contratto. L'asimmetria è voluta dal codice per ragioni pratiche, perché, mentre è agevole per il proponente provare (come gliene è fatto onere) che la revoca è stata da lui emessa prima di aver notizia dell'accettazione, dato che le relative circostanze si producono nella sfera di lui, è difficile per l’accettante (al quale, in ipotesi, competerebbe l'onere relativo) dimostrare che la revoca è giunta a notizia di lui prima che il proponente avesse avuto conoscenza dell'accettazione, perchè tale conoscenza si produce in una sfera estranea alla sua.


Danni per revoca della proposta

Nel progetto del codice di commercio del 1925, in quello del codice italo-francese delle obbligazioni e in quello del libro delle obbligazioni preparato dalla Commissione reale, non era riprodotta la disposizione dell'art. 363 cod. comm., secondo la quale non ostante la tempestività dell'emissione della revoca, se essa giungeva a notizia dell'altra parte dopo che questa ne aveva impresa l'esecuzione, il revocante sarebbe stato tenuto al risarcimento dei danni.

Questa disposizione, per l'opinione dominante, valeva tanto per la revoca della proposta quanto per la revoca dell'accettazione; ma il progetto ministeriale del libro delle obbligazioni e poi il testo definitivo accolsero il principio della risarcibilità del danno da revoca limitatamente al caso di recesso dalla proposta e quindi solo a favore dell'accettante. Infatti non riprodussero con dizione generica il principio di risarcibilità del danno da revoca, che si leggeva nell'art. 36 cod. comm., in un comma unico riguardante la revoca della proposta e dell'accettazione, ma lo riportarono solo a proposito della revoca della proposta, nello stesso comma in cui si parla di essa, e in continuità logica di formulazione col principio di revocabilità della proposta.

Del resto, accolto il principio della recettizietà della revoca dell’accettazione (supra n. 2), data l'affermata stretta connessione tra il principio dell'emissione e quello della risarcibilità del danno da revoca (supra n. 2), altra soluzione non sarebbe stata possibile. La revoca dell'accettazione, dovendo giungere al proponente prima che gli pervenga l’accettazione, non ne pregiudica alcuna aspettativa, perché egli, fino alla notizia dell'accettazione, deve astenersi dall'eseguire i1 contratto, non potendo contare sulla sua conclusione, come vi potrebbe invece contare l'accettante dopo che ha emesso la sua risposta favorevole. La situazione per l'accettante si pone quindi in modo diverso che per il proponente, il quale, compiendo a proprio rischio e pericolo l'esecuzione del contratto prima della notizia dell'accettazione, non può pretendere risarcimento se l'accettazione viene revocata anteriormente al suo arrivo.


Presupposti dell’obbligo di risarcimento

Presupposto del risarcimento ex art. 1328 è dunque l'esistenza di una dichiarazione di revoca della proposta emessa prima che il proponente abbia avuto notizia dell'accettazione, conosciuta dall'accettante dopo il tempo in cui, se non fosse intervenuta la revoca, il contratto si sarebbe formato, o mai pervenuta all'accettante. Non è risarcibile il danno prodotto da un'esecuzione del contratto iniziata prima del decorso del tempo necessario alla conoscenza dell'accettazione da parte del proponente; non è nemmeno risarcibile il danno prodotto da un'esecuzione del contratto anteriore al termine indicato nella proposta o al verificarsi della condizione alla quale la prestazione avrebbe dovuto subordinarsi; non è infine risarcibile (e ciò è molto più ovvio) il danno che l'accettante ha subito per un'esecuzione del contratto posteriore alla conoscenza, da parte sua, della revoca della proposta.

L'art. 1328 ha poi precisato (ciò che non faceva i1 codice di commercio) che l'accettante, per pretendere i danni causatigli dalla revoca della proposta, deve essere di buona fede. Infatti, se si tutela la ragionevole opinione che l'accettante poteva avere del perfezionamento del contratto (supra n. 2), e la sua buona fede che si protegge, la quale si costituisce sulla considerazione del prevedibile arrivo a destino della risposta di accettazione. Si costituisce soprattutto nell'ignoranza della esistenza di una revoca; in modo che non basta ad affermarla il mancato arrivo della dichiarazione di revoca, se risulta che l'accettante sapeva comunque che il proponente aveva revocato la sua proposta.

Ma si è sostenuto che ulteriore presupposto della responsabilità del revocante è la colpa di lui, consistente nell'avere emesso la revoca in tempo tale che essa non poteva pervenire prima dell'emissione dell’accettazione, ovvero di essersi servito di un mezzo di trasmissione non idoneo al tempestivo arrivo o che non avrebbe garantito l'arrivo stesso. L'assunto aggiunge alla legge qualcosa che la legge non contiene; e del resto non si concilia con il fatto che la revoca estingue la proposta subito dopo l'emissione; in modo che la inopponibilità dell'esecuzione iniziata non dipende dal mancato arrivo della revoca o dall'arrivo in ritardo, ma dal mancato perfezionamento del contratto.

La comunicazione della revoca della proposta chiude il periodo entro il quale l'esecuzione del contratto potrebbe dall'accettante invocarsi come titolo di risarcimento; la mancanza di notifica o il ritardo di tale notifica opera a danno del revocante solo nel senso che, fino a quando non avviene, egli non si libera dall'obbligo di risarcimento o dall'obbligo di un maggiore risarcimento. Nemmeno può giovare l'imprevedibilità degli eventi che hanno provocato la perdita della missiva di revoca, il suo smarrimento o il ritardo nel suo arrivo; e la ragione di ciò si rinviene nell'art. 1335, con un argomento a fortiori sul quale si ritornerà più avanti (infra n. 10): il fortuito ha infatti interrotto o ritardato il processo di comunicazione della revoca quando questa, non essendo ancora pervenuta all'indirizzo del destinatario, non era peraltro nella sfera della percepibilità di lui e il rischio relativo non poteva quindi essere a suo carico.


Entità dei danni da risarcire

Altra precisazione compiuta dall'art. 1328 riguarda l'entità dei danni che il revocante è tenuto a risarcire. Essi, come del resto era già prima affermato in dottrina con quasi unanime opinione, si riducono al c. d. interesse negativo, e cioè consistono nelle spese che il revocante ha sostenute per eseguire il contratto (spese per imballaggio e spedizione della merce, pigione di magazzini, noleggio di piroscafi, provvigioni a mediatori, telegrammi, ecc.), nelle perdite subite per acquistare la merce con cui doveva eseguire il contratto, nel guadagno che si sarebbe avuto per la conclusione di altri affari se la parte non ne fosse stata distolta dall'esistenza della proposta: se la fattispecie contrattuale era ad elementi complessi, sarebbero risarcibili anche le spese resesi necessarie per il completamento della fattispecie, che si aggiungerebbero alle spese fatte ai fini dell'esecuzione del contratto.

Un maggiore risarcimento potrebbe essere consentito solamente se la revoca fu colposa o fraudolenta, in quanto cioè, nella dichiarazione di recesso dalla proposta, possa scorgersi un illecito extracontrattuale. Ma in tal caso l'azione si fonderebbe non sull'art. 1328, ma sull'articolo 2043.


Altre cause di estinzione della proposta o dell’accettazione. Normale effetto estintivo della morte o dell’incapacità del proponente o dell’accettante

Si desume dal secondo comma dell'art. 1329 e dall'art. 1330 che, di regola, la proposta e l'accettazione si estinguono per la morte o l'incapacità del proponente o dell'accettante, intervenuta successivamente alla loro emissione. Infatti negli articoli predetti si enuncia tassativamente in quali casi gli eventi medesimi non tolgono efficacia alla proposta e all'accettazione; per il che rimane implicito il normale effetto estintivo di essi.

Ne è ragione il carattere, di regola, strettamente personale della proposta e dell'accettazione, che non sono se non intenti, sia pure esternati, fino a quando il loro incontro non produce il contratto, salvo che risulti da elementi univoci una loro vita distinta e indipendente dalla personalità del soggetto, e la loro immanenza nel patrimonio di lui; la mera volontà non può trasmettersi negli eredi del soggetto al quale inerisce, né può apprendersi dal suo rappresentante legale che, salvo i casi espressamente indicati dalla legge, non svolge funzioni per ciò che è in intima connessione con la persona dell'incapace.

Ne è ancora ragione il fatto che non sempre gli eredi o il rappresentante legale del dichiarante sono in grado di aver notizia della dichiarazione emessa, e pertanto potrebbero non essere in grado di impedire tempestivamente la perfezione del contratto ove non fosse di loro convenienza o non fosse più di convenienza dell'incapace: l'effetto sarebbe che il patrimonio del de cuius o dell'incapace verrebbe gravato di un'obbligazione per la sola circostanza del sopravvenire della morte o della incapacità del suo titolare, che ha impedito quell'ulteriore valutazione della convenienza dell'affare, ancora possibile per legge, ma non più possibile in fatto per gli eventi sopravvenuti.


Fallimento e incapacità naturale del dichiarante: buona fede del destinatario della dichiarazione

L'incapacità alla quale allude l'art. 1329 è quella che viene considerata nell'art. 1425; e quindi comprende l'incapacità naturale, ma non il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa.

Rispetto al fallimento opera lo spossessamento prodotto dalla sentenza dichiarativa che toglie al fallito la possibilità, di portare a perfezione rapporti aventi per oggetto l'amministrazione o la disposizione dei suoi beni; analogamente deve dirsi per la liquidazione coatta amministrativa.

Circa l'incapacità naturale deve soggiungersi che è rilevante ai fini qui considerati soltanto quella situazione del soggetto che si protrae per tutto il tempo utile ad una revoca efficace. Pertanto non influisce sulla vita della proposta e dell'accettazione un qualsiasi stato anormale temporaneo, se dopo la sua cessazione rimane tempo sufficiente per emettere o (se la revoca riguarda l'accettazione) per far pervenire tempestivamente a destino la dichiarazione di revoca.

Infine deve rilevarsi che l'estinzione della proposta o dell'accettazione si produce, quando muore o diviene incapace il dichiarante, qualunque sia lo stato soggettivo del destinatario delle dichiarazioni. La buona fede di quest'ultimo che, sotto l'impero del codice di commercio, si riteneva potesse essere protetta mediante l’inopponibilità dell’effetto estintivo, in base al nuovo codice non ha rilevanza, perché non è stata fatta salva nell'art. 1329, come lo è, ad esempio, nell'articolo 428, in materia di annullabilità del contratto per incapacità naturale e nell'art. 1396 a proposito dell’opponibilità ai terzi delle cause di estinzione della rappresentanza.


Eccezione derivante dall’irrevocabilità della proposta

Quando la proposta è irrevocabile, vi è un chiaro indizio della immanenza, nel patrimonio del proponente o nella sua impresa, dell'interesse che ha provocato la proposta, e resta esclusa l'inerenza alla persona del proponente, del bisogno che la ha suscitata; pervenuta a cognizione del destinatario, la proposta si distacca cosi definitivamente dalla persona del dichiarante e dalla sua volontà. Per questo l'art. 1329 la mantiene ferma anche dopo la morte o l’incapacità del proponente.

Ciò però entro limiti ben definiti, perché la natura irrevocabile della proposta non è rilevante se l'indole dell'affare o altre circostanze si oppongano a ritenere concluso il contratto nonostante la morte del dichiarante o la sua sopravvenuta incapacità. Si accenna qui all'ipotesi di offerta che ha per oggetto una prestazione a carattere personale come può essere, ad esempio, la prestazione di lavoro, che non può trasferirsi agli eredi del dichiarante, verso i quali l'altra parte può non nutrire fiducia di esatto adempimento; si accenna ancora a qualsiasi ipotesi di negozio di fiducia o di negozio fiduciario, che non ammette fungibilità di soggetti, e quindi interesse a perfezionare il contratto con gli eredi del dichiarante o con il suo tutore.


Ulteriore eccezione nel caso in cui il dichiarante sia un imprenditore

Altra eccezione alla regola per cui la morte o l’incapacità del dichiarante estingue la proposta o i'accettazione, si ha quando dichiarante è un imprenditore.

a) In tal caso si presume che la dichiarazione si scorpori dalla persona dell'imprenditore per fissarsi nell'organizzazione che il dichiarante aveva creato con carattere di continuità, in modo che vive una vita indipendente dalle vicende che colpiscono la persona del dichiarante, e può trasmettersi agli eredi come passa agli eredi ogni interesse relativo alla impresa e la sua stessa organizzazione, che consta anche di res facti. L'organizzazione della impresa garantisce agli eredi o al rappresentante legale la possibilità di una immediata conoscenza degli affari in corso, che possono rilevarsi o dalla notizia che ne hanno coloro ai quali l'imprenditore aveva conferito il potere di trattare affari o gli altri preposti dell'imprenditore, ovvero dalle registrazioni che ne sono state fatte o dalle documentazioni che se ne sono avute: gli eredi o il rappresentante legale, immediatamente dopo la morte del loro autore o dall'inizio della sua attività, sono perciò posti in condizione di conoscere se esistono affari in corso, in modo da apprezzare tempestivamente la convenienza in relazione alla nuova situazione dell'impresa. Le ragioni esposte valgono tanto per l'imprenditore commerciale, quanto per quello agricolo, non avendo il codice fatta alcuna distinzione; nè occorre che l'affare risulti dai libri contabili, non avendo l’art. 330 ripetuto la limitazione scritta nell'art. 2560.

b) La presunzione di autonomia delle dichiarazioni di volontà dell'imprenditore non è assoluta; cade nelle stesse circostanze in cui cessa di operare l'autonomia della proposta irrevocabile, vale a dire quando può dimostrarsi che il distacco della dichiarazione dalla persona del dichiarante non può essersi verificato. La natura dell'affare, anche nella fattispecie qui considerata, è dal codice ritenuta circostanza idonea a far considerare rilevante sulla dichiarazione la morte e l’incapacità dell'imprenditore, come quando trattasi di affare che non ha nulla da vedere con l'esercizio dell'impresa (art. 1330), quando l'affare era collegato con l'esistenza in vita dell'imprenditore, quando la scelta della parte defunta o divenuta incapace ha avuto carattere fiduciario o comunque personalissimo, come quando infine l'impresa ha dimensioni tali da lasciare intendere che la sua organizzazione si impernia intimamente sulla persona dell'imprenditore, in modo che non può essersi verificato quel fenomeno di scorporazione della dichiarazione dalla persona dell'imprenditore sul quale si erge la disposizione dell'art. 1330. Questo ultimo accenna espressamente al piccolo imprenditore per escludere che le sue dichiarazioni dirette alla formazione di un contratto possano sopravvivere alla morte o alla incapacità sopravvenuta anteriormente alla conclusione del contratto stesso; e deve ritenersi che il codice abbia alluso alla nozione che del piccolo imprenditore ha avuto presente nell'art. 2083 e non a quella dell'art. 1, del r. d. 16 marzo 1942, n. 267, che ha un rilievo operante solo nel campo del processo fallimentare.


Operatività delle cause di estinzione predette. Momento preclusivo della loro efficacia

Le cause di estinzione della proposta e dell'accettazione operano fino a quando il contratto non può ritenersi concluso. Il principio è dettato nell'art. 1328 a proposito della revoca, ma si applica ad ogni altra causa di estinzione per l’identità della ratio; è dettato nel secondo comma del predetto art. 1328, per cui la revoca dell'accettazione, per essere efficace, deve giungere a notizia del proponente prima dell'accettazione, e nel primo comma, dove si ammette efficacia alla revoca della proposta «finché il contratto non sia concluso». Il momento della conclusione del contratto coincide con quello in cui il proponente ha notizia dell'accettazione o, se è stata richiesta l'immediata esecuzione, con quello in cui l'accettante ha dato inizio all'esecuzione stessa. La revoca, la morte o l'incapacità posteriore non hanno effetto.

Si è sostenuto che, quando il revocante ha notificato la sua dichiarazione con un mezzo tale che sia prevedibile l'arrivo a destino della revoca e in tempo anteriore a quello dopo il quale il contratto possa ritenersi concluso, l'eventuale fortuito che sopravvenga ad impedire l'arrivo della revoca o a ritardarlo non graverebbe sul proponente, e la revoca dovrà ritenersi efficace. Però la revoca ha efficacia per il fatto della sua emissione; e gli eventi successivi ad essa non possono escludere il fatto materiale della sua esistenza. Un problema di incidenza del fortuito sulla dichiarazione di revoca può sorgere soltanto se l'evento impedisca o ritardi l'emissione della dichiarazione stessa. Ma l'emissione e il distacco della dichiarazione di volontà dal suo autore; e, poiché opera nella sfera del dichiarante, sembra ovvio che qualsiasi fatto che impedisca il distacco stesso o lo ritardi deve gravare sul dichiarante, anche se fortuito. Qualora una conferma di tale conclusione si volesse ricercare nella legge, essa si troverebbe nell'art. 1335, che pone a carico del dichiarante l'impossibilità incolpevole in cui si sia trovato i1 destinatario di percepire la dichiarazione a lui rivolta. Se il fortuito che arresta o ritarda il processo di comunicazione della dichiarazione e a carico del dichiarante quando questa, essendo giunta all'indirizzo del destinatario, non è più nella sfera del dichiarante, a fortiori il rischio medesimo deve cadere sul dichiarante quando la dichiarazione non è ancora nemmeno staccata dalla sua orbita giuridica.


Contratti plurilaterali e contratti nei quali almeno un elemento consta di atti collettivi

Particolari osservazioni è opportuno svolgere a proposito dei contratti plurilaterali e di quelli nei quali uno degli elementi (proposta o accettazione) consti di un atto collettivo (supra, sub articoli 1326 e 1327, n. 5), essendo possibile che cause di estinzione della proposta o dell'accettazione si producano con riferimento solo ad alcuni dei soggetti interessati al rapporto.

a) Per i contratti plurilaterali, applicando il solito principio desumibile dagli articoli 1420, 1446, 1450 e 1466 (supra, sub articoli 1326 e 1327, n. 5), ne scaturisce che le singole cause di estinzione si comunicheranno al rapporto da formare impedendone la costituzione, esclusivamente quando riguardano quel soggetto o quei soggetti la cui partecipazione al rapporto deve ritenersi essenziale: il riferimento solo ad alcuni dei soggetti del rapporto delle cause di estinzione della proposta o dell'accettazione può aversi o perché quando esse si produssero era già pervenuta a notizia del proponente l'accettazione di alcuni destinatari della proposta, o perché alcuni di essi avevano già iniziato l'esecuzione della prestazione, secondo la richiesta contenuta nella proposta, o perché le cause di estinzione hanno colpito l'accettazione solo di alcuni dei destinatari della proposta. E’ ipotesi rarissima che la estinzione colpisca tutte le dichiarazioni di accettazione contemporaneamente, nel qual caso e ovvio che resta impedito ugualmente il perfezionamento del contratto.

b) Circa i contratti nei quali uno degli elementi consta di atti collettivi, la sopravvenienza della causa di estinzione per uno soltanto dei soggetti impedisce la formazione del contratto, al quale sono necessariamente legittimati tutti i soggetti dalla cui dichiarazione dipende la esistenza dell'atto collettivo.

Solo per il caso di morte può farsi un ragionamento diverso; ma sempre che essa produca trasferimento dell'interesse del defunto negli altri soggetti che con lui avrebbero dovuto costituire l'atto collettivo. Allora, però, non si ha trasferimento della dichiarazione di volontà del defunto, ma inutilità della dichiarazione stessa.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

608 Non è stata ammessa la successione degli eredi nella proposta revocabile. Normalmente il bisogno che muove l'offerente a fare una proposta si deve configurare come a lui personale, se non risulti, per la rinuncia al potere di revoca, un'immanenza dell'interesse nel patrimonio di lui. Per giunta, non sempre gli eredi sono a notizia della proposta fatta dal loro autore, e pertanto non potrebbero sempre impedire tempestivamente la perfezione del contratto ove non lo trovassaro di loro convenienza. Diversa è però la situazione che, in base al nuovo codice, si profila nell'ipotesi in cui il proponente sia un imprenditore. L'interesse all'affare in tal caso si scorpora dal proponente per incarnarsi nell'organizzazione, che egli aveva creata con carattere di continuità; è coerente allora che la proposta passi all'erede, come passa all'erede ogni interesse relativo all'impresa. Questa è ordinata in modo tale che la conoscenza di un affare concluso o proposto può agevolmente risultare o dalla notizia che ne hanno coloro ai quali il proponente ha conferito il potere di trattare affari, o dalla conoscenza che possono averne gli altri preposti dell'imprenditore a motivo del loro ufficio, ovvero dalle registrazioni che ne sono state fatte. Gli eredi dell'imprenditore sono perciò in condizione di conoscere, immediatamente dopo la morte del loro autore, se esistono affari in corso dl perfezionamento; possono cosi apprezzare tempestivamente la convenienza dell'affare in relazione alla nuova situazione dell'impresa ed eventualmente far luogo alla revoca della proposta. L'erede però potrà revocare la proposta soltanto se nel frattempo non sia pervenuta l'accettazione all'indirizzo dell'imprenditore defunto; quando poi, dalle dimensioni della impresa (piccolo imprenditore), dalla natura dell'affare o da altre circostanze, possa desumersi che l'affare medesimo era collegato con l'esistenza in vita dell'imprenditore proponente, la morte di questo impedirà perfezione del contratto (art. 1330 del c.c., in fine). Si regola, nell'art. 1330 del c.c., la successione nella proposta dell'imprenditore senza distinguere il caso in cui questi, in base al libro del lavoro, abbia obblighi di registrazione e di tenuta di libri contabili, dal caso in cui tali, obblighi non sono imposti.

Massime relative all'art. 1330 Codice Civile

Cass. civ. n. 17782/2013

La controversia concernente il procedimento di scelta del contraente originato dall'invito ad offrire diffuso dal Comune di Messina per l'acquisto di immobile da adibire a palazzo di giustizia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, dovendo tale procedimento qualificarsi, per la sua concreta regolamentazione sostanziale ed il relativo "iter" complessivo, come di evidenza pubblica, ininfluente rivelandosi il formale richiamo agli artt. 1329 e 1330 cod. civ. contenuto nel menzionato invito e difettando, altresė, il presupposto della facoltativitā dell'adozione, da parte dell'ente, di una siffatta tipologia procedimentale.

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