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Articolo 1278 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Debito di somma di monete non aventi corso legale

Dispositivo dell'art. 1278 Codice Civile

Se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato(1), il debitore ha facoltà(2) di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento [1182](3).

Note

(1) Si tratta, quindi, di moneta estera.
(2) La tesi prevalente è che si tratti di un'obbligazione alternativa (1285 c.c.), cioè che ha ad oggetto due prestazioni e da cui il debitore si libera eseguendone una, e non un'obbligazione facoltativa, cioè avente ad oggetto una prestazione ma con facoltà del debitore di liberarsi eseguendone un'altra (1556 c.c.). Questo perchè l'impossibilità di pagare in moneta estera non libera il debitore ma lo obbliga ad adempiere con moneta nazionale.
(3) Attualmente il cambio è fissato in modo uniforme dalla legge per l'intero territorio e quindi è divenuto irrilevante il riferimento al luogo.

Ratio Legis

La norma è giustificata con l'esigenza di non determinare in capo al debitore un'onere eccessivo, cioè quello di procurarsi denaro di uno Stato diverso.

Spiegazione dell'art. 1278 Codice Civile

Pagamenti di debiti in moneta non avente corso legale

Prima dell'entrata in vigore del nuovo codice civile, la materia dei pagamenti di debiti contratti in moneta estera era regolata, oltre che dall'art. 1821 e segg. del codice civile, anche dall'art. 39 del cod. comm., che così stabiliva: « Se la moneta indicata in un contratto non ha corso legale o commerciale nel Regno e se il corso non fu espresso, il pagamento può essere fatto colla moneta del paese, secondo il corso del cambio a vista nel giorno della scadenza, e nel luogo del pagamento ».

Data la grande importanza pratica che, in tempo di violente oscillazioni dei cambi, ha il determinare, in caso di debiti contratti in moneta non avente corso legale nello Stato, il momento con riguardo al quale si abbia a fissare il corso del cambio (importanza che si accresceva per il fatto che il vecchio codice civile del 1865, non accordava, in caso di mora nel pagamento, altro indennizzo all'infuori di quello costituito dagli interessi moratori (art. 1231 vecchio codice civile), sorse e si protrasse fra i nostri civilisti e commercialisti una ostinata controversia, circa il modo di intendere il giorno della scadenza al quale si riferiva l'art. 39 del vecchio codice di commercio.

Eminenti autori sostennero che per “giorno della scadenza” si dovesse intendere il giorno del pagamento, e che all'evidente scopo di far godere al creditore il vantaggio che gli poteva provenire da una eventuale svalutazione nella moneta legale fra il giorno della scadenza e il giorno posteriore del pagamento, o di far godere il corrispondente vantaggio al debitore nel caso opposto. In quel caso infatti il debitore avrebbe dovuto, a tutto vantaggio del creditore, pagare una somma numerica maggiore di euro di quella che avrebbe pagato ove si fosse attenuto al corso del cambio del giorno della scadenza; mentre, nel caso contrario, egli avrebbe invece dovuto pagare, con suo vantaggio, una somma numerica minore della stessa moneta. Di proposito si è poi detto che la dottrina che tendeva a identificare giorno della scadenza con quello dell'effettivo pagamento era mossa dal comprensibile desiderio di aiutare it creditore, nei casi nei quali per la mora del suo debitore poteva venire a risentire un danno in vista del fatto che, in caso di mora del debitore, il creditore non poteva, secondo il vecchio codice del 1865 (art. 1321, ora modificato), ottenere, a titolo di risarcimento, che i soli interessi moratori. Ma molto opportunamente si osservò che da questa circostanza doveva assolutamente prescindersi nell' interpretazione dell'art. 39 del vecchio codice di commercio: si trattava infatti di due distinte e diverse questioni, da studiare e risolvere l'una indipendentemente dall'altra.

Ora, per quanto riguarda l'interpretazione da darsi all'art. 39 vecchio codice di commercio, è certo da escludere che il legislatore avesse potuto identificare due concetti (giorno della scadenza e giorno del pagamento), poiché in altre sue disposizioni li aveva tenuti nettamente distinti, come ad esempio negli articoli 1173 e 1225. Nè poteva certo bastare a giustificare la tesi, anche da noi combattuta, osservare che il legislatore parlasse nell'art. 39 cod. comm. del giorno della scadenza non già in contrapposizione al giorno del pagamento, ma piuttosto in contrapposizione al giorno della stipulazione del contratto. Questo argomento non è convincente, perché ammesso anche che il legislatore accentuasse, nel suo art. 39, la contrapposizione fra giorno della scadenza e giorno del concluso contratto, ciò non escludeva che fosse nello stesso art. 39 fissata anche la contrapposizione fra giorno della scadenza e giorno del pagamento. Non mancavano, d'altra parte, valide ragioni per accentuare anche questa seconda contrapposizione, come risulta dal fatto che non solo il nostro legislatore, ma anche quello austriaco (art. 336 del vecchio codice di commercio austriaco), e il legislatore svizzero (codice delle obbligazioni, art. 84) l'avevano accentuata, mentre tende essa pure in parte almeno ad intendere il giorno del pagamento di cui al § 244 del cod. civ. ted. come giorno della scadenza anziché come vero e proprio giorno del pagamento. Questa interpretazione non può essere condivisa, ma, ad ogni modo, si differenzia notevolmente da quella da sopra criticata, perchè, identificando il giorno del pagamento con quello della scadenza, si incitano i debitori a pagare puntualmente, mentre identificando il giorno della scadenza con quello del pagamento, si stimolano i debitori a ritardare il pagamento nella speranza di un lucro a danno del creditore, lucro che nella nostra vecchia legislazione era assicurato dall'art. 1231 del vecchio codice.

Si è già visto quale fosse lo stato della dottrina secondo l'art. 39 cod. comm. prima dell'entrata in vigore del nuovo codice civile. Confermando ora l'art. 1278 del nuovo codice civile che il debitore ha facoltà di pagare i debiti da lui contratti in moneta non avente corso legale nello Stato, con moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza, e ciò ben sapendo il legislatore come l'interpretazione di questa espressione aveva dato luogo a così vive controversie, deve ammettersi che egli abbia voluto troncare la controversia in favore della interpretazione letterale della parola « scadenza ». Infatti è evidente che se esso avesse voluto pronunciarsi in favore della tesi che per scadenza intendeva il pagamento, l'avrebbe fatto espressamente, sostituendo alla parola scadenza, la parola pagamento. Il giorno della scadenza è dunque, secondo l'art. 1278 del nuovo codice, il giorno della scadenza, e non già il giorno del pagamento. L'interpretazione della dottrina era certo influenzata dal loro desiderio di impedire che il creditore potesse venire danneggiato da una maliziosa mora del suo debitore, speculante al rialzo e al ribasso del cambio a seconda che credesse pia probabile quello o questo. Ora questa considerazione che spiega, fino a un certo punto, ma non giustifica affatto l'opinione sostenuta da parte della dottrina, ha perduto ogni valore, in quanto il nuovo codice ha corretto col suo art. 1224 l'infelice art. 1231 del vecchio codice del i 865, rendendo superflua la sforzata dimostrazione di quegli egregi autori, e meglio tutelando il creditore. L'art. 1278 del nuovo codice va poi lodato anche per avere soppresso l'inciso « commerciale » che si trova nell'art. 39 del vecchio codice di commercio, troncando vane discussioni in proposito.

La moneta estera viene in considerazione solo in quanto sia moneta, nel qual caso ha sempre un corso, sebbene non legale. Chi dà a prestito somme di moneta estera, p. e. dollari, yen, o compera con essa delle merci, può sempre essere costretto ad accettarla in pagamento, sebbene queste monete non abbiano corso legale nel suo Stato. I debiti di somme di denaro non aventi corso legale nello Stato nel creditore sono tuttavia debiti di denaro che il debitore deve, per regola, pagare con la moneta indicata.

La legge tuttavia può accordare al debitore (e cosi fa appunto l'art. 1278) la facoltà di pagare invece (ove preferisca) con moneta legale « al corso del cambio nel giorno della scadenza ». Si tratta qui di una facultas in solutione, e non di una vera e propria obbligazione alternativa, come da alcuni autori si sosteneva sotto il regime del vecchio codice, e ciò, a nostro avviso, è fuor di dubbio secondo il nuovo codice, che certo non avrebbe, dati i precedenti dottrinali, usate le parole « è in facoltà del debitore » se avesse considerato il caso come di vera e propria obbligazione alternativa.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1278 Codice Civile

Cass. civ. n. 19084/2015

L'obbligazione pecuniaria avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro in valuta estera convertibile in moneta italiana sulla base di un semplice calcolo aritmetico con riferimento al tasso ufficiale di sconto (nella specie, aiuto comunitario ai produttori di olio, da corrispondere in ecu, il cui valore di conversione in lire era fissato dall'art. 1 del reg. CEE n. 1502 del 1985), integra un debito di valuta, insuscettibile di trasformarsi in debito di valore a seguito di costituzione in mora del debitore, sia per la facoltà che quest'ultimo ha, ex art. 1278 c.c., di convertire la moneta estera in quella avente corso legale anche solamente all'atto del pagamento, sia in virtù del principio della "perpetuatio obligationis".

Cass. civ. n. 18584/2014

Le norme valutarie che vietano i pagamenti in moneta estera, al di fuori dei casi espressamente e tassativamente previsti, non determinano l'invalidità dell'obbligazione pattuita in moneta estera, ma incidono sulle modalità di adempimento dell'obbligazione, nel senso che questa deve essere regolata in valuta italiana, ragguagliata al cambio di quella estera al giorno della scadenza del debito, attraverso l'ufficio italiano dei cambi. (Rigetta, App. Roma, 07/11/2006).

Cass. civ. n. 555/1998

In tema di adempimento di obbligazioni pecuniarie determinate in valuta estera, l'art. 1278 c.c., nel limitarsi ad attribuire al debitore la facoltà alternativa di pagare in moneta avente corso legale, non indica anche le specifiche modalità secondo cui tale facoltà abbia ad essere esercitata, restando, per l'effetto, rimessa al debitore ogni determinazione circa i tempi e le forme della relativa scelta, con la conseguenza che, svincolata da ogni rapporto di contestualità con l'effettivo pagamento, quest'ultima ben può manifestarsi per facta concludentia, posti in essere in qualunque tempo dall'obbligato prima del concreto adempimento, purché risulti inequivoca, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, la volontà di pagare in moneta nazionale anziché estera. Deve, pertanto, ritenersi espressione legittima della ricordata facoltà di scelta l'offerta (non formale), in corso di causa, da parte del debitore, di una somma di denaro in moneta nazionale — sempreché non ostino alla inequivocità di tale manifestazione di volontà altri elementi che ne contrastino la apparente significazione — così che il giudice di merito, vincolato a detta scelta, dovrà, in sede di emanazione della sentenza, disporre necessariamente il pagamento in valuta nazionale, senza che possa spiegare influenza, sul contenuto della pronuncia, la richiesta — formulata dall'attore in citazione e non modificata per tutto il corso del procedimento — di pagamento in valuta estera, cosa come originariamente convenuto tra le parti.

Cass. civ. n. 9810/1997

Nelle obbligazioni risarcitorie, l'equivalente pecuniario del danno è espressione di un dato meramente numerico, non suscettibile di oscillazioni per effetto delle alterne vicende dei cambi tra valuta nazionale e valute estere nel corso della mora (e del processo), proprio perché rappresentativo, per definizione, di un valore insensibile ad ogni successiva variazione in quanto rapportabile ad una diminuzione patrimoniale «istantanea» (verificatasi, cioè, in coincidenza con il momento della produzione del danno). Se, pertanto, l'acquisto di una partita di merci, poi perdute dal depositario, sia stato compiuto, dal depositante, in moneta straniera, il corrispondente risarcimento in divisa nazionale risulterà necessariamente vincolato, per l'indicata esigenza di certezza, al cambio del giorno di produzione dell'evento dannoso (e, cioè, della perdita della res), salvo adeguamento (atteso il principio dell'obbligo dell'integrale ripristino della originaria condizione patrimoniale del danneggiato) della corrispondente somma, espressa in moneta italiana, alla svalutazione della moneta nazionale (che, come è noto, non ne incrementa il valore reale, ma lo commisura soltanto al variato potere di acquisto) eventualmente sopravvenuta fino al momento della decisione.

Cass. civ. n. 4562/1991

La disposizione dell'art. 1278 c.c., il quale dà facoltà al debitore di un'obbligazione pecuniaria in valuta estera di effettuare il pagamento in moneta legale al corso del cambio al momento della scadenza, è applicabile anche a forme diverse di estinzione del debito, come la compensazione ex artt. 1241 e ss. c.c., considerando rilevante a tali effetti il corso del cambio al momento in cui i debiti sono venuti a coesistenza (art. 1242 c.c.), sempreché non risulti una contraria volontà delle parti.

Cass. civ. n. 2691/1987

Il debitore di somma determinata in valuta estera, se inadempiente, nel caso di sopravvenuta svalutazione della moneta italiana rispetto a quella straniera, deve la differenza tra il cambio della data della scadenza e quello della data del pagamento poiché, diversamente, trarrebbe ingiusta locupletazione dalla sua mora ove pagasse in moneta legale al corso del cambio del giorno della scadenza, secondo la facoltà accordatagli dall'art. 1278 c.c.

Cass. civ. n. 6887/1986

Allorquando venga dedotta in contratto, come modalità e mezzo di pagamento del corrispettivo di un appalto, una moneta non avente corso legale nello Stato ed essa non sia indicata con la clausola «effettiva» o altra equipollente, né risulti che le parti abbiano avuto riguardo ad una specie monetaria avente valore intrinseco, la norma da applicare alla fattispecie è quella di cui all'art. 1278 c.c., secondo la quale il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento, con conseguente impossibilità per il creditore di ottenere la rivalutazione del credito per la differenza tra il cambio all'epoca della stipulazione e quello all'epoca della soluzione.

Cass. civ. n. 3414/1983

Nell'ipotesi regolata dall'art. 1278 c.c., (debito di somma di monete non aventi corso legale), oggetto dell'obbligazione è la moneta estera, ma è in facultate solutionis il pagamento in moneta avente corso legale nel luogo all'uopo stabilito, secondo il cambio ufficiale del giorno della scadenza del debito. La mora debendi non può importare il mutamento dell'oggetto dell'obbligazione, che rimane sempre la valuta estera, sia per il principio della perpetuatio obligationis sia, inoltre, perché il debitore non ha esercitato la facoltà di commutazione in moneta legale, che si avvera solo mediante pagamento.

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