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Articolo 1271 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Eccezioni opponibili dal delegato

Dispositivo dell'art. 1271 Codice Civile

Il delegato può opporre al delegatario le eccezioni relative ai suoi rapporti con questo(1).

Se le parti non hanno diversamente pattuito, il delegato non può opporre al delegatario, benché questi ne fosse stato a conoscenza, le eccezioni che avrebbe potuto opporre al delegante(2), salvo che sia nullo il rapporto tra delegante e delegatario.

Il delegato non può neppure opporre le eccezioni relative al rapporto tra il delegante e il delegatario, se ad esso le parti non hanno fatto espresso riferimento(3)(4).

Note

(1) Cioè del c.d. rapporto finale, ad esempio, l'eccezione di inadempimento (1460 c.c.).
(2) Se la delegazione è titolata per la provvista, cioè se il delegato promette di pagare al delegatario quanto egli stesso deve pagare al delegante, può opporgli le eccezioni che avrebbe potuto opporre al delegante.
(3) Se la delegazione è titolata per la valuta, cioè il delegato promette di pagare al delegatario quanto quest'ultimo deve conseguire dal delegante, egli può opporgli le eccezioni che avrebbe potuto opporre il delegante.
(4) La delegazione può anche essere titolata per la valuta e per la provvista se il delegato promette di pagare al delegatario quanto quest'ultimo deve ricevere dal delegante ma nei limiti di quanto il delegato deve al delegante: in tal caso il delegato può opporre le eccezioni derivanti da entrambi i rapporti.
Se, invece, non possono essere opposte le eccezioni ai alcuno dei due rapporti la delegazione è pura, cioè la promessa del delegato non si riferisce a nessuno di essi.

Ratio Legis

Le eccezioni che il delegato può opporre al debitore dipendono dal fatto che l'accordo di delegazione si riferisca o meno ai rapporti che intercorrono tra le parti; nel primo caso si parla di delegazione titolata, nel secondo di delegazione pura. La regola è nel senso dell'irrilevanza, per il delegato, dei rapporti originari, perché il suo dovere di adempiere trova adeguata giustificazione nella delega.
E' sempre ammesso, invece, in caso di nullità del rapporto tra delegante e delegatario, a opporre le eccezioni che poteva opporre al delegante perché la nullità fa venir meno la causa sia dell'obbligazione del delegato ad adempiere sia del diritto del creditore a ricevere (c.d. nullità della doppia causa).

Spiegazione dell'art. 1271 Codice Civile

I due rapporti causa della delegazione ed il funzionamento dei relativi vizi di fronte al delegatario. Lo stato della disciplina e della dottrina sotto il vecchio codice

Le disposizioni di questo articolo rappresentano lo sviluppo organico di quelle rudimentali, monche ed equivoche che si leggevano nel vecchio art. #1278# circa il problema più imponente e difficile del negozio delegativo; quali eccezioni, cioè, possa opporre il delegato al delegatario nell'atto in cui egli dovrebbe adempiere la assunta obbligazione. Come si è già accennato, due sono i rapporti presupposti sui quali si adagia la causa integrale della delegazione (nonché dei negozi analoghi di espromissione ed accollo). Uno è quello originario tra delegante e delegatario, che si sposta da un debitore all'altro e viene chiamato comunemente valuta. Esso è come il lato di un triangolo
che si muove all’esterno e si sposta da un angolo (soggetto) all'altro nel senso inverso alla lancetta di un orologio; fermo, cioè, rimanendo il vertice (creditore delegatario). Ma la ragione economica per cui tale spostamento si attua non può che consistere in un altro preesistente rapporto giuridico tra i due debitori. E’ il cosiddetto rapporto di provvista, perché il delegante, per determinare il delegato ad accettare la delegazione, deve provvederlo, o averlo provveduto, dei fondi occorrenti. Di solito esso consiste in un altro rapporto di debito precedente (creditore il debitore delegante), il quale si viene a saldare indirettamente con la delegazione. Ma può anche risiedere in un contestuale debito che assume il delegante verso il delegato dicendogli sostanzialmente: «assumi tu il debito ed io resto obbligato a rimborsarti». In questo caso la delegazione prenderà più spesso la forma contemplata nell’art. 1269, poiché quello che importa al delegante è solo di assicurarsi l'altrui pagamento alla scadenza. Infine, la causa dello spostamento soggettivo può consistere in una indiretta liberalità che, con tal mezzo, il delegato fa al delegante. Così come, peraltro, simile causa gratuita può avere il rapporto spostantesi, cioè quello di volontà.

Orbene, in tutte queste ipotesi, al momento in cui il delegato viene richiesto per adempiere alla contratta obbligazione uno dei due rapporti sui quali le parti operarono può rivelarsi come affetto da vizi di costituzione organica (incapacità, errore etc.) o causali. Il delegato, specialmente se il rapporto di provvista non c'era od è venuto meno, avrà tutto l'interesse di evitare un pagamento, che almeno provvisoriamente lo danneggia. A tale interesse egli provvede anche opponendo la eventuale nullità della obbligazione originaria tra delegante e delegatario. Comunque, qui è importante apprendere dalla norma di legge a quali eccezioni il delegatario vada soggetto per iniziativa del delegato. E’ chiaro, peraltro, che se le parti hanno espressamente pattuito, all'atto della delegazione, la opponibilità di un dato ordine di eccezioni (rapporto esterno, rapporto interno od ambedue) non sorge alcuna seria difficoltà per l'interprete, fino a quando non ci sia una più che rara norma cogente. Il problema incombente era di sapere in che modo, senza l'espressa pattuizione, si potessero o si dovessero considerare come sufficientemente richiamati i precedenti rapporti ai fini delle opponibilità, contro il delegatario delle relative eccezioni. Quali fossero cioè, le norme dispositive nel silenzio delle parti o di fronte ad un loro equivoco riferimento. In proposito il vecchio codice, come altrove si è già cennato, non conteneva che la unica ed insufficiente norma dell'art. #1278#, il cui preciso riferimento, quanto alla inopponibilità delle cennatevi eccezioni, costituì sempre un rompicapo per l'interprete. Non si capiva bene se si alludesse al rapporto originario (novato) oppure al rapporto di provvista; ed ancora, se la norma fosse applicabile anche alla delegazione attiva (si parlava, infatti, di un «secondo creditore») ed alla delegazione cumulativa. Ne sorse tutta una complicata costruzione dottrinaria circa i concetti di delegazione pura e delegazione titolata, secondo che, alla stregua dei più o meno discutibili elementi, fosse o no opponibile al delegatario il rapporto causa della delegazione. Rimaneva poi nell'ombra ogni altro aspetto del problema riguardante la possibilità di una delegazione liberativa non novativa (con la opponibilità, cioè, delle vecchie eccezioni causali), ed al regolamento analogo della delegazione cumulativa. Così come era assai dubbio se il delegato potesse opporre la nullità del non richiamato rapporto interno, nel caso in cui l'altro rapporto fosse anche esso nullo o gratuito; ed il delegatario venisse quindi a conseguire un arricchimento a danno del delegato indifeso. Per questo ultimo caso il progetto del 1936 aveva inserito una norma nuova (art. 207) della quale gli interpreti avevano ravvisato la equitativa soluzione nel senso che al delegato spettassero sempre le eccezioni se ambedue i rapporti presupposti fossero affetti da nullità. La giurisprudenza più recente vi aveva aggiunto anche il caso in cui uno dei rapporti fosse nullo e l'altro gratuito; seguendo in ciò un antico insegnamento del Pothier.


Le norme espresse dal vecchio codice sui tre ordini di eccezioni. Le eccezioni fondate sul rapporto costitutivo della delegazione

Tale era lo stato delle varie questioni quando la riforma ne impose la soluzione integrale tradotta nelle disposizioni dell'articolo in esame.
Il primo comma afferma la opponibilità delle eccezioni che riguardano i rapporti negoziali personali tra il delegato e il delegatario; cioè, la costituzione e 1a permanenza della dichiarazione di debito nella quale la delegazione va a sboccare. Come per ogni altra obbligazione contrattuale, il debitore può qui opporre la propria incapacità, i vizi della volontà, la simulazione, la estinzione, sempre che riguardino il negozio finale tra lui e il creditore. Sono esclusi i vizi soggettivi ed oggettivi degli altri due presupposti rapporti perché essi non rientrano nell'ambito della norma e sono invece regolati dai due commi successivi. In sostanza, questa prima regola non è che l'applicazione dei principi generali sul contratto, e vi sarebbe egualmente dedotta anche senza la espressa formulazione.


Opponibilità delle eccezioni fondate sul rapporto interno (provvista). La norma negativa e il patto derogativo

Il secondo comma contempla le eccezioni fondate sul rapporto interno di provvista tra delegante e delegato. Comunque sia tale rapporto (pagamento, costituzione di debito, liberalità), e per quanto, il delegatario ne avesse avuto originaria conoscenza (quella sopravvenuta era già indifferente per i principi generali in materia di buona fede), il delegato non può fondarvi le proprie eccezioni per evitare o ritardare il pagamento. Se il delegante non adempie alla controprestazione verso il delegato, se sopravviene una causa risolutiva fra i due, e addirittura era nullo il rapporto medesimo; i1 delegatario pur consapevole, opporrà a suo presidio questa norma ostativa. La quale è fondata sul fatto che, in sostanza, il delegatario non riscuote altro che il suo; cioè, quello che gli spettava in base all'originario rapporto con i1 delegante. Lo riscuoterà dall'uno piuttosto che dall'altro; ma la presunzione di legge nel silenzio delle parti, è che il delegato si sia riservato soltanto l'eventuale regresso contro il delegante. Tali conseguenze si verificano in qualunque specie di delegazione poiché la norma non contiene esclusioni o limitazioni relativamente alle precedenti e ricomprese forme delegative. Vi rientra quindi la delegazione cumulativa come quella liberativa; ed è compresa anche la ipotesi in cui il delegato si sia obbligato di propria iniziativa in base alla semplice delegazione di pagamento (art. 1269, comma 1°). Due sono le espresse eccezioni contro tale regola: a) che le parti abbiano diversamente pattuito; b) che, insieme con i vizi abolitivi del rapporto in questione concorra la nullità del rapporto base tra delegante e delegatario.

La prima eccezione contempla la cosiddetta delegazione titolata; cioè a dire, condizionata alla sorte del rapporto di provvista. Il delegato, dice al delegatario: «io adempirò soltanto se va a buon fine la provvista che mi ha prestata, mi presta o mi presterà il delegante per assumere la presente obbligazione». Con tale forma di assunzione di debito si rientra sostanzialmente nel campo delle obbligazioni condizionali, poiché essa è contestualmente autolimitata dall’evento che riguarda l'altra obbligazione interna del delegante. Se, ad esempio, si tratta di un prezzo di vendita dovuto dal delegato, l'inadempienza corrispettiva del venditore delegante potrà essere opposta al delegatario come una vera e propria condizione mancata. In questa ipotesi è presumibile che venga stipulata la delegazione cumulativa normale contemplata dall’art. 1268. Non conviene certamente al delegatario liberare il proprio incondizionato debitore per acquistare un altro sotto condizione. Ma se la liberazione espressa c'è stata, al delegatario non basterà eventualmente richiedere senz'altro al delegato il pagamento (il che è previsto solo per la ipotesi dell'art. 1268 comma 2°) , ma dovrà escutere il nuovo debitore, che è l’unico attualmente rimastogli in base al rapporto delegativo. Soltanto a processo negativamente ultimato, ovvero anche con una chiamata in garanzia per il previsto pericolo dell'inadempienza, egli potrà rivolgersi contro il vecchio debitore delegante che non ha pagato nè a lui nè al delegato, e che, per i principi sulla nullità della solutio, riprenderà la sua veste di debitore. La soluzione qui è analoga a quella che si esaminerà nel commento dell'art. 1276. Anzi è più ovvia; al punto che la legge non ha inteso, come in quel caso, il bisogno di regolarla espressamente. Onde sarà applicabile anche la norma sulla non reviviscenza delle estinte garanzie.


L’altro caso eccezionale di opponibilità e la sua integrale interpretazione

La seconda cennata ipotesi in cui il delegato viene autorizzato ad opporre al delegatario la mancanza o la nullità della provvista (concorrente nullità della obbligazione originaria tra delegante e delegatario) deriva da una antica tradizione che risale al Pothier e si appoggia su di una evidente ragione di equità. Se, infatti, l’obbligazione originaria era nulla e nel contempo si contesta l’esistenza del rapporto di provvista, il delegatario non viene più a riscuotere quel che
gli era da qualcuno dovuto, ma verrebbe ad arricchirsi a danno dell’uno o dell'altro. Ciò, d'altronde, si verificherebbe soltanto provvisoriamente, in quanto, mancato il rapporto interno, il delegato, se fosse costretto a pagare, si rivolgerebbe senz'altro contro il proprio contraente obbligato alla provvista, cioè contro il delegante; e questi, a sua volta, acquisterebbe il diritto di ripetere dal delegatario quanto gli aveva fatto versare indebitamente dal proprio delegato. Il lungo giro di queste due azioni di regresso si evita appunto con la norma del secondo comma, la quale attribuisce direttamente al delegato il diritto di dedurre la nullità della obbligazione originaria verso il delegatario come presupposto necessario e sufficiente delle eccezioni fondate sul rapporto interno di provvista, altrimenti inopponibile.

La norma in esame parla di nullità dell'originario rapporto tra delegante e delegatario (la c.d. valuta). Ormai tale nozione è stata precisata nell'art. 1418 e segg. in contrapposto alle cause di annullamento contemplate nel successivo capo XII. Per queste ultime, infatti, le eccezioni personali spettano esclusivamente all'originario contraente del creditore; e perciò l'estraneo delegato, se manca il rapporto di provvista, dovrà pagare, salvo a rivolgersi contro il delegante. E costui, a sua volta, potrà o meno risollevare quelle eccezioni in sede di ripetizione a seconda che il già stipulato contratto delegativo escluda o contenga la convalida per parte dello stesso delegante. Le eccezioni del rapporto di provvista, normalmente inopponibili al delegatario, sono quelle che tendono a dedurre la mancanza originaria e sopravvenuta del corrispettivo interno. E’ un rischio contrattuale che ha assunto il delegato e dal quale resta immune il pur consapevole delegatario. Ma se si tratta, invece, di un rapporto fondato su causa illecita, la precisa e contestuale consapevolezza del delegatario lo esporrebbe alla efficace eccezione del delegato, perché allora la delegazione è servita soltanto per eludere la legge proibitiva e per passare in testa al delegatario un credito per il quale veniva negata l'azione. La conoscenza, in tal caso, è partecipazione diretta e necessaria alla consumazione della frode alla legge; la quale frode omnia connupit, è quindi anche il negozio delegativo.


Le eccezioni relative al rapporto originario (valuta). La loro normale inopponibilità e l’eccezionale opponibilità

Il terzo ordine di eccezioni, che possono venire in funzione nel complesso rapporto delegativo, è quello contemplato nel terzo comma. Esse attengono al rapporto originario di valuta tra delegante e delegatario e trovano anche ostacolo nella norma negativa. E’ il fenomeno normalmente, se non necessariamente, novativo che nel vecchio codice si verificava con la liberazione del delegante, mentre nel nuovo si ha con qualunque specie di delegazione di debito e quindi anche con quella cumulativa contemplata con ipotesi normale nell'art. 1268. Se, infatti, il delegato ha ricevuto la provvista, non può avere alcun interesse e quindi alcun diritto, a dedurre quella nullità che riguardava solo il contraente del creditore. Se non l'ha ricevuta, o è venuta meno, entra in funzione la norma del comma precedente; e quindi il delegato potrà dedurre soltanto la eventuale nullità, del rapporto originario come presupposto per opporre la mancanza di provvista. Che se, invece, si tratta di semplici eccezioni causali contro il delegatario (il quale, ad esempio, abbia commesso una inadempienza corrispettiva e risolutiva, il delegato, pure essendogli mancata la provvista, non le potrà opporre proprio in forza della norma in esame, e dovrà pagare salvo il regresso contro il delegante.

Perché il delegato possa opporre senza limitazioni le eccezioni del rapporto originario occorre che le parti vi abbiano fatto «espresso riferimento» all'atto della delegazione. Così si esprime qui la norma con una locuzione alquanto diversa da quella del secondo comma, ove si dice «se le parti non abbiano diversamente pattuito». Basta, dunque, l'espresso richiamo anche senza la opposita pattuizione, perché la obbligazione originaria passi in testa al delegato con tutto il bagaglio passivo delle eccezioni causali. Questo esplicito riferimento secondo la interpretazione penetrante delle clausole contrattuali, deve rivelare una chiara volontà, del delegato di rimanere obbligato nel modo preciso come era (o come rimane anche esso nella delegazione cumulativa) obbligato il delegante. E così, se nel momento della scadenza il delegatario (ad esempio, venditore di merce) è esposto a delle eccezioni dilatorie o risolutive, queste spettano anche esse al delegato. Certo è questa una ipotesi di delegazione anormale; la quale, se c'è stata la liberazione del delegante, viene a realizzare una vera e propria successione nel debito, e se si tratta di delegazione cumulativa si traduce
sostanzialmente in una fideiussione solidale. Il delegatario sostituisce od aggiunge un altro debitore che lo garantisce di più per correntezza o per solvibilità. Tanto è vero che, salvo inopinabili relazioni, il delegato in questa ipotesi, non riceve la provvista ma si riserva solo il regresso e si garantisce intanto con quelle eccezioni che spettano ad ogni garante personale e solidale.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

139 Si è invece respinto l'indirizzo accolto dalla Commissione reale in tema di riflessione dei vizi dell'obbligazione novata nel caso di delegazione (art. 153).
L'art. 207 del progetto del 1936 escludeva che il debitore delegato potesse opporre eccezioni dipendenti dal rapporto di valuta o dal rapporto di provvista. Ma, se fosse nulla l'obbligazione novata, la delegazione rimarrebbe senza causa; l'obbligo del delegato, se in tale situazione si tenesse fermo, assumerebbe un carattere rigorosamente astratto, il che non è consentito dal nostro ordinamento giuridico, che vuole mantenere la causalità alla base di ogni rapporto. Per evitare questa astrattezza si sarebbe dovuto ammettere un regresso del delegato verso il delegante e del delegante verso il delegatario, con un giro di azioni contrario alla semplicità dei rapporti e alla economia processuale. Lo stesso risultato di un duplice regresso del genere si può conseguire ammettendo il delegato a far valere la nullità dell'obbligazione novata.
Dal fatto che l'art. 153 considera nel suo primo comma esclusivamente l'ipotesi della nullità, deriva che si è voluta negare al delegato la possibilità di far valere l'annullabilità; il che si giustifica con il carattere personale dell'azione dl annullamento la quale, nella specie, sarebbe nella disponibilità del delegante e non potrebbe essere lasciata all'arbitrio del delegato.
Quanto alle eccezioni relative ai rapporti del debitore delegato con il debitore originario, il solo fatto di avere accettata la delegazione distacca il delegato dal suo rapporto con il delegante, e lo pone con il delegatario in una relazione nuova che, appunto perché tale, non riceve riflessi da quella anteriore di provvista.
L'art. 153 eccettua i casi di malafede del creditore, in applicazione di principi analoghi prevalsi nella giurisprudenza della Corte Suprema.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

586 La disciplina della delegazione trova però il suo fulcro nell'art. 1271 del c.c., che regola per tutte le ipotesi il problema delle eccezioni. Fermo il principio, assolutamente ovvio, che il delegato può opporre al creditore le eccezioni che ineriscono al rapporto diretto costituito tra loro, la disposizione in oggetto considera la nuova obbligazione del delegato, come normalmente indipendente dagli eventuali vizi dei due rapporti di base (c. d. delegazione pura), salvo il caso che entrambi quei rapporti siano viziati. Questo principio, derivante, secondo alcuni scrittori, dall'art. 1278 del vecchio codice, si giustifica praticamente col duplice rilievo a) che il delegato non ha interesse a indagare sul contenuto del rapporto delegante-delegatario, essendo egli indotto ad assumere l'obbligazione diretta verso il creditore sulla base dell'autorizzazione del delegante, che crea per il delegato una sufficiente giustificazione causale; b) che, d'altra parte, il creditore, una volta accettato il nuovo debitore offerto dal debitore originario, non deve essere vulnerato dalle eccezioni che il delegato poteva eventualmente avere nei confronti del delegante. La deroga a questo principio di indipendenza del rapporto delegato-delegatario dai rapporti interni, quando entrambi siano viziati, si spiega, a sua volta, con la considerazione che in tal caso viene meno sia il fondamento economico che giustifica l'obbligazione del delegato, sia il fondamento che legittima il creditore a ricevere. Non si è creduto però di assimilare alla nullità della doppia causa il caso di concorso tra una causa nulla e una causa lucrativa essendo parso che le ragioni di equità che giustificavano in diritto romano questa soluzione non fossero tali da legittimare una deroga alla logica dell'istituto e alla disciplina positiva. Naturalmente la disciplina legale è puramente dispositiva. Le parti quindi possono pattuire la riserva del delegato di opporre le eccezioni relative al suo rapporto interno col delegante, come possono subordinare la validità della nuova obbligazione del delegato all'esistenza di un valido rapporto tra delegante e delegatario. Risolvendo anche qui vivaci questioni pratiche, l'art. 1271 del c.c. stabilisce, sul primo punto, che la semplice conoscenza da parte del delegatario delle eccezioni che il delegato aveva nei confronti del delegante non equivale alla pattuizione che ne consente l'opponibilità, e, sul secondo punto, che, per ritenere devoluto nella delegazione il rapporto delegante-delegatario, non è necessaria una pattuizione espressa, essendo sufficiente, secondo l'intento normale delle parti, il riferimento a tale rapporto, fatto al momento in cui il delegato assume direttamente l'obbligo nei confronti del creditore. Questo riferimento, come chiarisce l'art. 1271 del c.c., non potrà essere semplicemente tacito. Va infine osservato che l'art. 1270 del c.c. stabilisce il principio che il delegante può revocare la delegazione finché questa non si è perfezionata con la creazione del rapporto finale tra delegato e delegatario, mentre la morte o la sopravvenuta incapacità del delegante non impedisce il perfezionamento della delegazione. Secondo il codice del 1865 la soluzione di questi problemi si faceva discendere da quella circa la natura giuridica della delegazione. Ma, poiché intorno alla natura della delegazione si sono svolte interminabili discussioni, negandosi persino l'unitarietà della delegazione, così era miglior partito, prescindendo delle controversie teoriche, risolvere espressamente quei problemi secondo i criteri che si rivelano praticamente opportuni.

Massime relative all'art. 1271 Codice Civile

Cass. civ. n. 12885/2021

In caso di delegazione di pagamento titolata rispetto al rapporto di valuta, il delegato che per errore esegua una seconda volta il pagamento in favore del terzo ha il diritto di ripetere tale ultimo pagamento, costituente un indebito oggettivo, senza che in senso contrario possa rilevare l'accordo intervenuto tra delegante e terzo ai fini dell'imputazione del secondo pagamento a un diverso debito del primo nei confronti del beneficiario, sia perché la ratifica per essere efficace deve avere per oggetto proprio il negozio compiuto dall'agente, individuato dalla sua causa (incorporata nello schema strutturale del negozio o impressa dalla destinazione funzionale data allo stesso negozio dal suo autore), sia perché, a norma dell'art. 1271, comma 3, c.c., dettato per la delegazione di debito ma applicabile anche alla delegazione di pagamento, ove la delegazione sia titolata rispetto al rapporto di valuta, la ripetizione dell'indebito può essere esperita anche dal delegato. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 16/06/2017).

Cass. civ. n. 9470/2004

Il nostro sistema positivo consente di configurare la delegazione cosiddetta titolata, oltre che relativamente a preesistenti rapporti di credito, già liquidi ed esigibili, anche riguardo sia a crediti che, ancorché esistenti, non siano ancora liquidi ed esigibili, sia riguardo a crediti futuri, che, pur non potendo ancora considerarsi esistenti, risultino tuttavia geneticamente collegati al non ancora avvenuto svolgimento di rapporti che siano già in atto tra delegante e delegatario al momento in cui viene attuato il rapporto di delegazione. In caso di indebito pagamento effettuato in ipotesi di delegazione doppiamente titolata (dal rapporto di valuta e dal rapporto di provvista), ove risulti successivamente invalido il rapporto di provvista, il delegato — sul cui patrimonio vengono a ricadere le conseguenze dell'indebito pagamento, giacché il pagamento effettuato a favore del delegatario trova la sua causa nel valido rapporto di valuta — deve ritenersi legittimato ad agire nei confronti del delegante, atteso che il delegato, pagando al delegatario, estingue contestualmente il suo debito nei confronti del delegante, ed è nei confronti di questi che deve necessariamente indirizzare la pretesa ex art. 2033 c.c. allorché, avendo già provveduto al pagamento a favore del delegatario, nell'erronea convinzione della sussistenza di un valido rapporto di provvista, ne risulti, successivamente, l'invalidità o l'inefficacia.

Cass. civ. n. 11296/2000

Il secondo comma dell'art. 1269 c.c., il quale stabilisce che il terzo delegato per eseguire il pagamento non è tenuto ad accettare l'incarico, ancorché sia debitore del delegante, comporta che la delegazione può aver luogo anche fuori della normale ipotesi di una preesistente obbligazione del delegato verso il delegante.

Cass. civ. n. 535/2000

Il pagamento di un assegno bancario da parte della banca trattaria sull'erroneo presupposto dell'esistenza di sufficiente provvista non può considerarsi indebito e non è, quindi, suscettibile di ripetizione, perché la banca solvente, che riveste la qualità di delegato al pagamento del correntista-traente, non può opporre al prenditore, rimasto estraneo alla convenzione di assegno ed al rapporto di provvista da questo generato, il proprio errore, ostandovi la disposizione dell'art. 1271 comma secondo c.c., che non consente al delegato di opporre al delegatario le eccezioni che potrebbe opporre al delegante. Questo principio trova applicazione anche nel caso in cui il prenditore dell'assegno sia una banca ed il pagamento del titolo avvenga mediante compensazione a mezzo stanza, giacché tale operazione, ove non possa, ricorrendone i presupposti, essere corretta mediante storno, produce effetti definitivi ed il pagamento in tal modo avvenuto è assoggettabile a ripetizione, ai sensi dell'art. 2033 c.c., soltanto se indebito.

Cass. civ. n. 2943/1997

In caso di delegazione di pagamento titolata rispetto al rapporto di valuta, il delegato che per errore esegua una seconda volta il pagamento in favore del terzo ha il diritto di ripetere tale ultimo pagamento, costituente un indebito oggettivo, senza che in senso contrario possa rilevare l'accordo intervenuto tra delegante e terzo ai fini dell'imputazione del secondo pagamento a un diverso debito del primo nei confronti del beneficiario, sia perché la ratifica per essere efficace deve avere per oggetto proprio il negozio compiuto dall'agente, individuato dalla sua causa (incorporata nello schema strutturale del negozio o impressa dalla destinazione funzionale data allo stesso negozio dal suo autore), sia perché, a norma dell'art. 1271, terzo comma, c.c., dettato per la delegazione di debito ma applicabile anche alla delegazione di pagamento, ove la delegazione sia titolata rispetto al rapporto di valuta, la ripetizione dell'indebito può essere esperita anche dal delegato. (Nella specie il delegante aveva incaricato una banca, con cui intratteneva un conto corrente di corrispondenza, di effettuare a favore di un terzo, tramite bonifico bancario, il pagamento di alcune fatture e l'istituto di credito, per un disguido, aveva reiterato l'esecuzione di tale adempimento; d'altra parte il delegante, poi fallito, non aveva reintegrato la banca relativamente al secondo pagamento. La S.C., sulla base del riportato principio, ha annullato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la proposta azione di ripetizione.

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