La revoca della delegazione. Termine, modalità ed effetti
Il primo comma risolve conformemente ai principi del contratto trilatero l'importante quesito sul momento fino al quale il delegante conserva la potestà di revocare la delegazione. Come si è detto il contratto di delegazione di debito deve ritenersi concluso nel momento in cui il delegato, obbedendo all'invito del suo delegante ed incontrandosi con il creditore, cui è giunto dalla stessa origine l'atto di assegnazione, si obbliga in piena conformità e suggella il contratto a tre. Da quel momento il contratto stesso non può più essere unilateralmente risoluto. Non se ne poteva dubitare. Ma dalla stessa norma risulta ancora che anche l'obbligazione, assunta di propria autorità dal delegato per il semplice pagamento, riesce a bloccare la potestà di revoca del delegante che non abbia inserito il tempestivo divieto. Se il divieto c'era, la potestà di revoca sussiste, fino a che il delegato, eseguendo la particolare e limitata delegazione, non abbia eseguito il pagamento.
La revoca deve essere indirizzata al delegato e deve giungergli a notizia prima dell'attimo in cui egli si obbliga o paga in favore dell'accettante delegatario. Per l'ampia locuzione del nuovo art. 1335 in forza del quale «qualunque dichiarazione diretta ad una determinata persona» si presume conosciuta nel momento in cui giunge al suo indirizzo, salva prova della colpevole ignoranza effettiva, deve ritenersi che anche la dichiarazione di revoca del delegante è assistita dalla stessa presunzione di conoscenza. Ma cosa succede nel caso in cui il delegato si obblighi egualmente, nonostante la revoca, specie se l’altro non si era affatto curato di avvertire l'assegnatario creditore?
Il rigore dei principi sul contratto trilatero importerebbe che la revoca debba seguire la duplice via verso cui era diretta la doppia dichiarazione negoziale della delegazione (assegnazione, al creditore; e ordine al delegato). Ma sembra più logico e più consono alla espressione della legge il ritenere che basti la comunicazione tempestiva al solo delegato perchè egli debba arrestare ogni ulteriore attività negoziale e perchè questa rimanga eventualmente a suo carico esclusivo. Se il delegatario ignaro della revoca viene a subire un qualsiasi pregiudizio (rinunzia corrispettiva o dismissioni di documenti probatori), ne risponderà limitatamente al danno, il delegante colpevole; ma il contratto delegativo, spezzato il filo principale, non potrà attingere più la sua conclusione. L'obbligazione eventuale del delegato od il suo pagamento avranno il rispettivo contenuto di una espromissione (art. 1272 primo comma) o di un adempimento ad opera di un terzo (art. 1180) con le conseguenze giuridiche inerenti a tali ipotesi di legge.
Posta la trilateralità del negozio delegativo, per cui è la obbligazione adesiva del delegante quella che salda il gruppo dei necessari compensi, e dato che tale ultima obbligazione può essere più o meno distaccata nel tempo dalle altre due dichiarazioni di volontà, non solo nel caso eccezionale dell'art. 1269 primo comma ma in quello normale dell'art. 1268, sorgeva frequente ed imponente il quesito sul se e sul come la morte o la incapacità di una delle parti influissero sulla sorte del contratto non ancora saldato dal terzo lato.
Anche qui, a rigore, dovrebbe verificarsi il congelamento delle rispettive situazioni di attesa e quindi l'arresto di ogni ulteriore attività negoziale. Su due casi, infatti, la morte o la incapacità non ostacolano la eventuale perfezione e sono quelli dell'art. 1329 (morte od incapacità del proponente impegna a tener ferma la proposta per un certo tempo), e dell'art. 1330 (eventi simili per l'imprenditore proponente od accettante). Ma nè tali norme di eccezione, nè quelle comuni potevano bastare per questo specialissimo negozio in cui funziona come presupposto dei consensi, la duplice esistenza del rapporto di valuta e di quello di provvista. Sopratutto il rapporto di provvista richiedeva la maggiore considerazione, perchè mentre l'arresto di una trasmissione di credito o di debito non porta di per sè gravi conseguenze, il contrario avviene quando vi sia stata già la provvista fra delegante e delegato; e più ancora quando essa sia sorta proprio in occasione e nel corso della delegazione. Ispirata a giusti criteri di praticità e di economia appare pertanto la norma del secondo comma per cui, morto o divenuto incapace il delegante, il delegato può egualmente perfezionare il contratto obbligandosi verso il delegatario o tenerlo fermo fino al pagamento nella ipotesi della delegazione prevista nell'art. 1269. Rimane ferma, si intende, la applicabilità del primo comma e quindi gli eredi del delegante acquistano, in tale qualità, la potestà della revoca tempestiva che impedisca al delegato ogni ulteriore attività.
Nulla dispone l'articolo in esame per le altre due ipotesi in cui simili eventi incidano sulla persona del delegato o del delegatario. Non resta che applicarvi le norme generali sulla conclusione dei contratti. Gli eredi del delegato non potrebbero concludere la delegazione con il delegatario se non con la integrale rinnovazione dei rispettivi consensi. E nella stessa situazione verrebbero a trovarsi gli eredi del delegatario di fronte alla attività negoziale del delegato.