AUTORE:
Giuseppe Lucia
ANNO ACCADEMICO: 3
TIPOLOGIA: Laurea liv. I
ATENEO: Universitą Telematica Mercatorum
FACOLTÀ: Economia
ABSTRACT
Fermo restando la natura sociale e garantista della Costituzione italiana, nel tempo il legislatore è dovuto ricorrere all’emanazione di “Leggi speciali”, alcune delle quali distintesi su base internazionale per la loro unicità, dettate da contingenti situazioni emergenziali.
Tra le varie norme si possono certamente annoverare una serie di Leggi e Decreti che hanno segnato la storia repubblicana, conseguenti ad avvenimenti socio culturali che hanno interessato più periodi storici d’Italia, messi in atto da più Governi succedutisi nel tempo, con finalità precipua di repressione dei fenomeni particolarmente cruenti e ad ogni modo sovversivi dell’ordinamento e dei principi democratici dello Stato. Tra questi vi è il Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice antimafia, già Legge 575/1965), il quale contiene una serie di provvedimenti di difesa sociale adottabili nei confronti di soggetti portatori di una pericolosità sociale qualificata, indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, camorristico o ad esse equiparate, di soggetti indiziati per aver commesso uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3 bis, del Codice di procedura penale, o del delitto di cui all’art. 12-quinquies, comma 1 della L. 356/92, ovvero nei confronti dei soggetti (c.d. pericolosi comuni) abitualmente dediti a traffici delittuosi o che per la loro condotta ed il tenore di vita debba ritenersi che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.
Le misure di prevenzione sono volte ad evitare la commissione di reati; tuttavia, questa circostanza non è indispensabile per la loro applicazione in quanto sono finalizzate al contenimento della pericolosità sociale di un soggetto che può individuarsi ancor prima della commissione dell’illecito. Più specificatamente le misure di prevenzione, del tutto autonome rispetto al procedimento penale, mirano ad accertare la reale pericolosità sociale di un determinato individuo così da autorizzare, allorquando via sia nesso eziologico, le autorità preposte ad adottare le prescrizioni necessarie ad arginare tale pericolosità.
Per definire l’alveo della pericolosità sociale, il legislatore le ha estese al patrimonio ed alle attività economiche lato sensu. Questo per via del fatto che le attività economiche lecite od illecite potenzialmente potrebbero foraggiare organizzazioni criminali e quindi insidiare il corretto sviluppo economico e la tenuta sociale e democratica del sistema paese e dei diritti sui quali esso si fonda. Pertanto, l’attuale sistema normativo italiano mira a limitare la pericolosità sociale dell’individuo ed allo stesso tempo punta a respingere la pericolosità di risorse economico/finanziarie accumulate e/o gestite illegalmente.
Negli ultimi anni, il tema della compatibilità delle misure di prevenzione con la CEDU si è andato sempre più acuendo. Si percepisce la sempre più stringente necessità di avere un chiaro quadro normativo, non più solo costituzionale, ma anche sovranazionale, che punti ad evitare storture o interpretazioni di comodo, in nome della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che mirino di fatto al depotenziamento di un ottimo strumento di contrasto all’accumulo di patrimoni illegali.
Fino ad oggi, la Corte europea ha affermato la piena compatibilità delle misure di prevenzione con la Convenzione, salvo alcuni piccoli correttivi apportati nel tempo, tanto è dimostrato dal fatto che la giurisprudenza della CEDU inquadra le misure di prevenzione personali come limitative e non privative della libertà personale.
Nello specifico, con la trattazione della normativa in parola (D.Lgs 159/2011, Codice antimafia), si analizzeranno gli strumenti che l’ordinamento pone a tutela dei principi suddetti, avvalendosi dell’intervento dello Stato che si manifesta attraverso il potere giudiziario, il potere esecutivo ed anche legislativo, poi posto in essere tramite il lavoro di valorosi uomini dello Stato come Magistrati, Prefetti, Questori e, non in ultimo, Forze dell’Ordine.
Tra le varie norme si possono certamente annoverare una serie di Leggi e Decreti che hanno segnato la storia repubblicana, conseguenti ad avvenimenti socio culturali che hanno interessato più periodi storici d’Italia, messi in atto da più Governi succedutisi nel tempo, con finalità precipua di repressione dei fenomeni particolarmente cruenti e ad ogni modo sovversivi dell’ordinamento e dei principi democratici dello Stato. Tra questi vi è il Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice antimafia, già Legge 575/1965), il quale contiene una serie di provvedimenti di difesa sociale adottabili nei confronti di soggetti portatori di una pericolosità sociale qualificata, indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, camorristico o ad esse equiparate, di soggetti indiziati per aver commesso uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3 bis, del Codice di procedura penale, o del delitto di cui all’art. 12-quinquies, comma 1 della L. 356/92, ovvero nei confronti dei soggetti (c.d. pericolosi comuni) abitualmente dediti a traffici delittuosi o che per la loro condotta ed il tenore di vita debba ritenersi che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.
Le misure di prevenzione sono volte ad evitare la commissione di reati; tuttavia, questa circostanza non è indispensabile per la loro applicazione in quanto sono finalizzate al contenimento della pericolosità sociale di un soggetto che può individuarsi ancor prima della commissione dell’illecito. Più specificatamente le misure di prevenzione, del tutto autonome rispetto al procedimento penale, mirano ad accertare la reale pericolosità sociale di un determinato individuo così da autorizzare, allorquando via sia nesso eziologico, le autorità preposte ad adottare le prescrizioni necessarie ad arginare tale pericolosità.
Per definire l’alveo della pericolosità sociale, il legislatore le ha estese al patrimonio ed alle attività economiche lato sensu. Questo per via del fatto che le attività economiche lecite od illecite potenzialmente potrebbero foraggiare organizzazioni criminali e quindi insidiare il corretto sviluppo economico e la tenuta sociale e democratica del sistema paese e dei diritti sui quali esso si fonda. Pertanto, l’attuale sistema normativo italiano mira a limitare la pericolosità sociale dell’individuo ed allo stesso tempo punta a respingere la pericolosità di risorse economico/finanziarie accumulate e/o gestite illegalmente.
Negli ultimi anni, il tema della compatibilità delle misure di prevenzione con la CEDU si è andato sempre più acuendo. Si percepisce la sempre più stringente necessità di avere un chiaro quadro normativo, non più solo costituzionale, ma anche sovranazionale, che punti ad evitare storture o interpretazioni di comodo, in nome della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che mirino di fatto al depotenziamento di un ottimo strumento di contrasto all’accumulo di patrimoni illegali.
Fino ad oggi, la Corte europea ha affermato la piena compatibilità delle misure di prevenzione con la Convenzione, salvo alcuni piccoli correttivi apportati nel tempo, tanto è dimostrato dal fatto che la giurisprudenza della CEDU inquadra le misure di prevenzione personali come limitative e non privative della libertà personale.
Nello specifico, con la trattazione della normativa in parola (D.Lgs 159/2011, Codice antimafia), si analizzeranno gli strumenti che l’ordinamento pone a tutela dei principi suddetti, avvalendosi dell’intervento dello Stato che si manifesta attraverso il potere giudiziario, il potere esecutivo ed anche legislativo, poi posto in essere tramite il lavoro di valorosi uomini dello Stato come Magistrati, Prefetti, Questori e, non in ultimo, Forze dell’Ordine.