AUTORE:
Lorenzo Missaglia
ANNO ACCADEMICO: 2023
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Milano
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Si è stimato che circa 5 milioni di imprese, ossia il 30% nell’intero ambito europeo, abbiano dovuto far fronte nella metà degli anni ’90 alla vicenda traslativa della propria titolarità e che ci sia stato un rischio concreto di perderne 1,5 milioni, compromettendo circa 6,3 milioni di posti di lavoro, se non si fosse intervenuto in una revisione sostanziale di alcuni ordinamenti giuridici europei.
La Comunità Europea, avendo sempre avuto ben chiaro tale preoccupante scenario, non ha esitato a sollecitare i singoli Stati affinché costoro migliorassero il contesto giuridico, fiscale e amministrativo inerente alla successione nell’azienda, considerata come una delle principali cause di cessazione dell’attività di impresa con evidenti implicazioni sul piano economico-sociale.
Il legislatore italiano, dopo aver intrapreso un lavoro prodromico di indagine con la formazione del gruppo di studio del CNR coordinato da Antonio Masi e Pietro Rescigno circa la sussistenza di tale problematica all’interno del substrato nazionale, ha emanato finalmente, il 14 febbraio 2006, la legge n. 55, recante “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia”, andando a inserire nel nostro ordinamento giuridico uno strumento idoneo al passaggio intergenerazionale tra l’imprenditore, ovvero il titolare delle partecipazioni al capitale di una società, e il proprio discendente: difatti, proprio il nostro sistema codicistico appariva tra i più inadeguati sotto il profilo del diritto familiare-successorio, risultando agli occhi dell’interprete contemporaneo come un insieme di norme anacronistico e carente di un ammodernamento legislativo (i) essendo ancora vigente l’ormai desueto divieto dei patti successori e (ii) non essendo mai intervenuta alcuna riforma dalla tecnica legislativa del 1942.
All’epoca, tale disposizione legislativa è stata accolta con discreto gaudio in quanto si pensava di essere innanzi ad una primavera di riforme riguardanti l’aspetto successorio, che tanto la dottrina quanto la giurisprudenza avevano auspicato nei decenni precedenti. Tuttavia, da lì a poco, ci si è accorti di come l’intera disciplina del patto di famiglia disposta ai sensi degli artt. 768 bis e ss del Codice Civile fosse lacunosa, incompleta e contenente spesso termini atecnici quale risultato di un – probabile – maquillage tra il Code Civil francese e il BGB tedesco.
Sebbene l’esigenza sottesa all’istituto sia quella di assicurare continuità all’impresa, preservandola dai possibili moti successori e dalle diatribe che spesso si instaurano tra i familiari nelle vicende ereditarie, salvaguardando la competitività e l’efficienza dell’intero sistema economico nazionale, al giorno d’oggi il patto di famiglia non rappresenta una scelta preminente nel trapasso generazionale dell’impresa, essendo stato nella prassi notarile utilizzato di rado.
Occorre notare come il malcontento generale sia stato avvertito anche dal Parlamento, portando, conseguentemente, nella XV legislatura alla proposizione del progetto di legge n. 1043, il quale, malgrado non sia mai venuto alla luce, aveva come obiettivo quello di recuperare la centralità del testamento e degli altri negozi alternativi ad esso, subordinando la successione necessaria ad una funzione “suppletiva” rispetto all’attività negoziale esercitata dai privati: una siffatta configurazione avrebbe portato inevitabilmente all’abolizione del patto di famiglia con un’unica successione totalitaria del de cuius comprensiva di tutti i suoi beni, produttivi e non, trascurando così la natura dinamica dei beni facenti parte dell’attività d’impresa.
Sorgendo numerosi interrogativi con riferimento alla disciplina di tale istituto, mediante la presente trattazione si tenterà di offrire una soluzione ai suddetti quesiti interpretativi e, successivamente, di capire il reale motivo per il quale tale strumento giuridico non abbia ricevuto il consenso sperato da parte degli operatori del settore.
In particolar modo, tale monografia è costituita da cinque capitoli, riguardanti ciascuno un macro-argomento che ha suscitato in dottrina perplessità e controversie.
Al termine dell’indagine, si tenterà di offrire delle soluzioni concrete mediante un’attività interpretativa doverosa suppletiva al fine di salvaguardare uno strumento così duttile e fondamentale per l’economia moderna italiana, senza che esso venga “sacrificato” a causa della lacunosità e dell’ambiguità riscontrabili nel tenore letterale degli artt. 768-bis c.c. e seguenti.
La Comunità Europea, avendo sempre avuto ben chiaro tale preoccupante scenario, non ha esitato a sollecitare i singoli Stati affinché costoro migliorassero il contesto giuridico, fiscale e amministrativo inerente alla successione nell’azienda, considerata come una delle principali cause di cessazione dell’attività di impresa con evidenti implicazioni sul piano economico-sociale.
Il legislatore italiano, dopo aver intrapreso un lavoro prodromico di indagine con la formazione del gruppo di studio del CNR coordinato da Antonio Masi e Pietro Rescigno circa la sussistenza di tale problematica all’interno del substrato nazionale, ha emanato finalmente, il 14 febbraio 2006, la legge n. 55, recante “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia”, andando a inserire nel nostro ordinamento giuridico uno strumento idoneo al passaggio intergenerazionale tra l’imprenditore, ovvero il titolare delle partecipazioni al capitale di una società, e il proprio discendente: difatti, proprio il nostro sistema codicistico appariva tra i più inadeguati sotto il profilo del diritto familiare-successorio, risultando agli occhi dell’interprete contemporaneo come un insieme di norme anacronistico e carente di un ammodernamento legislativo (i) essendo ancora vigente l’ormai desueto divieto dei patti successori e (ii) non essendo mai intervenuta alcuna riforma dalla tecnica legislativa del 1942.
All’epoca, tale disposizione legislativa è stata accolta con discreto gaudio in quanto si pensava di essere innanzi ad una primavera di riforme riguardanti l’aspetto successorio, che tanto la dottrina quanto la giurisprudenza avevano auspicato nei decenni precedenti. Tuttavia, da lì a poco, ci si è accorti di come l’intera disciplina del patto di famiglia disposta ai sensi degli artt. 768 bis e ss del Codice Civile fosse lacunosa, incompleta e contenente spesso termini atecnici quale risultato di un – probabile – maquillage tra il Code Civil francese e il BGB tedesco.
Sebbene l’esigenza sottesa all’istituto sia quella di assicurare continuità all’impresa, preservandola dai possibili moti successori e dalle diatribe che spesso si instaurano tra i familiari nelle vicende ereditarie, salvaguardando la competitività e l’efficienza dell’intero sistema economico nazionale, al giorno d’oggi il patto di famiglia non rappresenta una scelta preminente nel trapasso generazionale dell’impresa, essendo stato nella prassi notarile utilizzato di rado.
Occorre notare come il malcontento generale sia stato avvertito anche dal Parlamento, portando, conseguentemente, nella XV legislatura alla proposizione del progetto di legge n. 1043, il quale, malgrado non sia mai venuto alla luce, aveva come obiettivo quello di recuperare la centralità del testamento e degli altri negozi alternativi ad esso, subordinando la successione necessaria ad una funzione “suppletiva” rispetto all’attività negoziale esercitata dai privati: una siffatta configurazione avrebbe portato inevitabilmente all’abolizione del patto di famiglia con un’unica successione totalitaria del de cuius comprensiva di tutti i suoi beni, produttivi e non, trascurando così la natura dinamica dei beni facenti parte dell’attività d’impresa.
Sorgendo numerosi interrogativi con riferimento alla disciplina di tale istituto, mediante la presente trattazione si tenterà di offrire una soluzione ai suddetti quesiti interpretativi e, successivamente, di capire il reale motivo per il quale tale strumento giuridico non abbia ricevuto il consenso sperato da parte degli operatori del settore.
In particolar modo, tale monografia è costituita da cinque capitoli, riguardanti ciascuno un macro-argomento che ha suscitato in dottrina perplessità e controversie.
Al termine dell’indagine, si tenterà di offrire delle soluzioni concrete mediante un’attività interpretativa doverosa suppletiva al fine di salvaguardare uno strumento così duttile e fondamentale per l’economia moderna italiana, senza che esso venga “sacrificato” a causa della lacunosità e dell’ambiguità riscontrabili nel tenore letterale degli artt. 768-bis c.c. e seguenti.