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Diritto penale -

L'ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza delle Autoritą pubbliche: questioni teoriche e profili applicativi

AUTORE:
ANNO ACCADEMICO: 2021
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Catania
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Lo studio in questione si incentra sull’analisi del reato rubricato “Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”, introdotto nel nostro ordinamento con il D.lgs. 11 aprile 2002, n. 61.
Preliminare alla disamina delle fattispecie contenute nella norma codicistica, risulta l’analisi, effettuata nel Capitolo I, concernente la definizione di controllo all’interno delle società di capitali.
Tale attività risulta essere suddivisa ‘in più livelli’ ed affidata a soggetti diversi, preliminarmente appartenenti alla stessa compagine societaria: saranno, sommariamente, analizzati i poteri/doveri che l’ordinamento attribuisce agli amministratori, ai soci e agli specifici organi cui spetta l’effettivo compito di vigilare sull’attività sociale, distinti a seconda del sistema (tradizionale/dualistico/monistico) adottato dalla società.
A queste modalità di controllo si affiancano, per tutte, il controllo posto in essere dall’autorità giudiziaria, disciplinato dall’art. 2409 del c.c. e, per quelle società che operano in settori particolarmente rilevanti per la collettività, la vigilanza di specifiche autorità amministrative indipendenti, istituite da leggi speciali.
Ci si soffermerà sugli aspetti rilevanti di tali authorities, quali la natura giuridica, la compatibilità costituzionale e il concetto di indipendenza, caratteristica fondamentale di tali enti.
L’analisi proseguirà con l’elencazione delle principali autorità indipendenti, a cui si affiancherà la disamina delle principali funzioni ad esse attribuite dalla legge, con particolare attenzione alle funzioni di vigilanza svolte dalla Banca d’Italia e dalla Consob. Tali enti rappresentano, infatti, le due principali autorità di vigilanza cui si rivolge il reato ex art. 2638 del c.c., oggetto di analisi del Capitolo II dello studio. In tale contesto saranno affrontate tutte le problematiche che ruotano intorno a questo “peculiare reato societario”, tenendo conto delle determinazioni dottrinali e giurisprudenziali (in più di un caso contrastanti) su ciascuno degli aspetti più importanti delle fattispecie disciplinate nei due commi: la determinazione dei soggetti attivi e passivi del reato e del bene giuridico tutelato; la corretta interpretazione delle condotte penalmente rilevanti ai sensi del comma 1 (esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero/occultamento con altri mezzi fraudolenti) e dell’evento di ostacolo, quale elemento centrale del reato ex comma 2; l’individuazione del momento consumativo e del locus commissi delicti.
Lo studio si concluderà con l’analisi di un caso concreto, quello riguardante la banca Monte dei Paschi di Siena, il cui Presidente, Direttore Generale e Direttore Area Finanza sono stati prima imputati, poi condannati e, alla fine, assolti, per il reato previsto dal capoverso dell’art. 2638 c.c., per aver, nel dettaglio, occultato agli ispettori della Banca d’Italia, in più di un’occasione, uno specifico documento, denominato Mandate Agreement, avente ad oggetto la definizione dei rapporti tra la banca senese e banca Nomura, con riferimento ad una serie di operazioni economiche poste in essere dalle stesse nel 2009, al fine di evitare (o quanto meno spalmare) le perdite conseguenti al deprezzamento del derivato "Alexandria". Si presterà particolare attenzione alla sentenza del Tribunale di Siena, la quale offre interessanti profili di analisi, a partire dalla riqualificazione giuridica del fatto di reato operata dallo stesso Collegio (a fronte dell’imputazione ai sensi del comma 1, gli imputati saranno condannati ai sensi del comma 2), passando per la disamina giurisprudenziale degli elementi costituivi del reato disciplinato nel capoverso dell’art. 2638 c.c., propedeutica alla condanna dei tre imputati. Tale statuizione sarà ribaltata dalla Corte di appello di Firenze, la quale, valorizzando i documenti successivi al “MA”, acquisiti e tradotti in sede di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, assolverà gli imputati con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso tanto il Procuratore Generale presso la corte di appello quanto i singoli imputati, determinando l’intervento della Corte di cassazione. Tale sentenza offre un interessante spunto esegetico di uno degli elementi centrali della fattispecie descritta dal comma 2: il concetto di ostacolo. La Suprema Corte darà una lettura di tale evento in linea con il principio di offensività, quale principio cardine del nostro sistema penale.

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