AUTORE:
Lucia Venturi
ANNO ACCADEMICO: 2023
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea (vecchio ordinamento)
ATENEO: Università degli Studi di Bologna
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Attraverso uno studio analitico della materia catastale e analizzandone la struttura si è potuto constatare che il sistema ha molteplici criticità e difetti che lo rendono scarsamente attendibile nel raffigurare la reale situazione economica, dando luogo a valori fortemente sperequati.
Tale analisi è stata necessaria a dimostrare come l’attuale sistema di determinazione delle rendite fondiarie, il quale attribuisce centralità al catasto, talvolta non riesca a captare le riduzioni di capacità contributiva in quelle aree che subiscono danni ambientali dove emergono gli effetti negativi causati dall’inquinamento, non soltanto nella sfera privata, ma anche in quella collettiva, dal momento che la perdita della ricchezza di un territorio, oltre che a impoverire l’ambiente, depreda anche il patrimonio dei suoi abitanti.
Sarebbe auspicabile pensare di delineare una qualificazione differenziata che possa incidere sul valore degli immobili rispetto alla qualità ecologica, così come potrebbero essere applicate agevolazioni che prendano in considerazione il contesto in cui si verifichi un danno ambientale. Al contrario, invece, entrando nel merito del tema dell’inquinamento ambientale, si è riscontrata l’assenza di norme che attribuiscano rilevanza al degrado subito dall’immobile che si trova in un contesto di diffuso inquinamento territoriale e ne tengano conto, di conseguenza, per diminuire la sua redditività medio ordinaria, la rendita potenziale.
Dal momento che la base imponibile dell’IMU dipende, in gran parte (almeno per i fabbricati e i terreni agricoli) direttamente dai valori catastali, questa mancanza incide fortemente sulla giustizia distributiva di questa imposta. Solo terreni edificabili e immobili a destinazione speciale (cat. Catastale D) sono valorizzati in base al valore venale in comune commercio. Tra l’altro, nella disciplina dell’IMU, non traspare alcuna fiscalità di vantaggio di sostegno per gli immobili collocati in aree inquinate. Peraltro, in un tributo patrimoniale, l’inquinamento ambientale non dovrebbe soltanto essere tenuto in considerazione per concedere agevolazioni come deroghe alla capacità contributiva, ma per misurare più e meglio la capacità contributiva stessa, rappresentata dalla disponibilità del bene patrimoniale.
L’utilità che il contribuente può ritrarre dal possesso di un immobile (per fini personali, per metterlo a reddito, per utilizzarlo in un’attività economica) si riduce, potenzialmente, quanto più l’immobile è localizzato in una zona di forte degrado ambientale.
In ogni caso, vi sono alcune misure agevolative in senso lato, come le esenzioni IMU per i fabbricati o gli interventi per il ripristino degli immobili danneggiati a seguito di eventi calamitosi, che possono apparire significative ai fini del nostro discorso.
Allo stesso modo, è da sottolineare che la disciplina statale dell’IMU prevede un abbattimento al 50% della base imponibile per quanto riguarda gli immobili inagibili.
A fronte dell’interpretazione giurisprudenziale, l’applicabilità di questa agevolazione presuppone che il Comune abbia rilevato, con attestazione dell’ufficio tecnico Comunale, una fatiscenza sopravvenuta frutto di un degrado progressivo non superabile con interventi di manutenzione.
Se l’inquinamento ambientale di un territorio (salvi casi estremi) non rappresenta, di per sé, una ragione per dichiarare tecnicamente “l’inagibilità” strutturale di un immobile da parte di un Comune, e per quanto in materia fiscale non vi sia molto spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma, pare tuttavia legittimo desumere che, in presenza di ordinanze comunali che limitano l’esercizio del diritto di proprietà, come accade per alcuni edifici situati nei quartieri delle città industrializzate come il quartiere "Tamburi" di Taranto, le rendite catastali ad oggi non sembrino essere collegate ai cicli socioeconomici reali.
Sarebbe necessario pensare a nuove forme di prelievo e di agevolazioni fiscali erariali e locali in armonia con la tutela ambientale così come richiesto dall’Unione Europea e come, probabilmente, si può considerare che sia richiesto anche dalla nuova formulazione dell’art. 9 Cost., che recita: “la Repubblica promuove la cultura, la ricerca e la tutela del paesaggio, del patrimonio storico e artistico e dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
Tale analisi è stata necessaria a dimostrare come l’attuale sistema di determinazione delle rendite fondiarie, il quale attribuisce centralità al catasto, talvolta non riesca a captare le riduzioni di capacità contributiva in quelle aree che subiscono danni ambientali dove emergono gli effetti negativi causati dall’inquinamento, non soltanto nella sfera privata, ma anche in quella collettiva, dal momento che la perdita della ricchezza di un territorio, oltre che a impoverire l’ambiente, depreda anche il patrimonio dei suoi abitanti.
Sarebbe auspicabile pensare di delineare una qualificazione differenziata che possa incidere sul valore degli immobili rispetto alla qualità ecologica, così come potrebbero essere applicate agevolazioni che prendano in considerazione il contesto in cui si verifichi un danno ambientale. Al contrario, invece, entrando nel merito del tema dell’inquinamento ambientale, si è riscontrata l’assenza di norme che attribuiscano rilevanza al degrado subito dall’immobile che si trova in un contesto di diffuso inquinamento territoriale e ne tengano conto, di conseguenza, per diminuire la sua redditività medio ordinaria, la rendita potenziale.
Dal momento che la base imponibile dell’IMU dipende, in gran parte (almeno per i fabbricati e i terreni agricoli) direttamente dai valori catastali, questa mancanza incide fortemente sulla giustizia distributiva di questa imposta. Solo terreni edificabili e immobili a destinazione speciale (cat. Catastale D) sono valorizzati in base al valore venale in comune commercio. Tra l’altro, nella disciplina dell’IMU, non traspare alcuna fiscalità di vantaggio di sostegno per gli immobili collocati in aree inquinate. Peraltro, in un tributo patrimoniale, l’inquinamento ambientale non dovrebbe soltanto essere tenuto in considerazione per concedere agevolazioni come deroghe alla capacità contributiva, ma per misurare più e meglio la capacità contributiva stessa, rappresentata dalla disponibilità del bene patrimoniale.
L’utilità che il contribuente può ritrarre dal possesso di un immobile (per fini personali, per metterlo a reddito, per utilizzarlo in un’attività economica) si riduce, potenzialmente, quanto più l’immobile è localizzato in una zona di forte degrado ambientale.
In ogni caso, vi sono alcune misure agevolative in senso lato, come le esenzioni IMU per i fabbricati o gli interventi per il ripristino degli immobili danneggiati a seguito di eventi calamitosi, che possono apparire significative ai fini del nostro discorso.
Allo stesso modo, è da sottolineare che la disciplina statale dell’IMU prevede un abbattimento al 50% della base imponibile per quanto riguarda gli immobili inagibili.
A fronte dell’interpretazione giurisprudenziale, l’applicabilità di questa agevolazione presuppone che il Comune abbia rilevato, con attestazione dell’ufficio tecnico Comunale, una fatiscenza sopravvenuta frutto di un degrado progressivo non superabile con interventi di manutenzione.
Se l’inquinamento ambientale di un territorio (salvi casi estremi) non rappresenta, di per sé, una ragione per dichiarare tecnicamente “l’inagibilità” strutturale di un immobile da parte di un Comune, e per quanto in materia fiscale non vi sia molto spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma, pare tuttavia legittimo desumere che, in presenza di ordinanze comunali che limitano l’esercizio del diritto di proprietà, come accade per alcuni edifici situati nei quartieri delle città industrializzate come il quartiere "Tamburi" di Taranto, le rendite catastali ad oggi non sembrino essere collegate ai cicli socioeconomici reali.
Sarebbe necessario pensare a nuove forme di prelievo e di agevolazioni fiscali erariali e locali in armonia con la tutela ambientale così come richiesto dall’Unione Europea e come, probabilmente, si può considerare che sia richiesto anche dalla nuova formulazione dell’art. 9 Cost., che recita: “la Repubblica promuove la cultura, la ricerca e la tutela del paesaggio, del patrimonio storico e artistico e dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.