Cass. civ. n. 27346/2009
A seguito dell'apertura della liquidazione coatta amministrativa - ed analogamente a quanto accade nel fallimento - sussiste, in riferimento ai rapporti patrimoniali in essa compresi, una legittimazione processuale suppletiva dei soggetti sottoposti all'anzidetta procedura, e ciò in deroga alla legittimazione esclusiva spettante di regola agli organi di quest'ultima, ma soltanto nel caso di inattività e disinteresse di detti organi; là dove, invece, gli organi della procedura si siano al riguardo attivati, detta legittimazione non sussiste e la relativa carenza può essere rilevata d'ufficio.
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Le esigenze di certezza giuridica espresse nel generale principio di conservazione degli effetti degli atti legalmente compiuti nelle procedure concorsuali, ricavabile dagli artt. 21 della legge fall. (riprodotto nell'art. 18, comma 15, del D.L.vo n. 5 del 2006), 10, comma 2 e 33 del D.L.vo n. 270 del 1999 (per l'amministrazione straordinaria) e 4 del D.L. n. 347 del 2003, conv. nella L. n. 39 del 2004, estensibile - nei limiti di compatibilità - alla liquidazione coatta amministrativa, comportano che, in relazione alla costituzione dei rapporti processuali attinenti ai soggetti sottoposti a tale procedura (nella specie, impresa di assicurazione), l'apertura della stessa - con la nomina dei suoi organi sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la loro immissione nel possesso e nella gestione del patrimonio - costituisce un "fatto giuridico" di per sé idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, del commissario liquidatore in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dalla validità intrinseca del predetto provvedimento e finché esso non venga rimosso dalla stessa amministrazione ovvero annullato, dichiarato nullo o giuridicamente inesistente con pronuncia giurisdizionale passata in giudicato che renda non più proseguibile la procedura e che avrà, dunque, effetti "ex nunc".
Cass. civ. n. 19293/2005
Ancorché l'art. 21 della L.F. non sia richiamato dalla disciplina della liquidazione coatta amministrativa, il principio in esso previsto deve ritenersi applicabile, ricorrendo una eadem ratio anche alle vicende concernenti l'illegittimità di tale procedura concorsuale minore, sia che esse afferiscano al provvedimento di messa in liquidazione, sia che riguardino l'eventuale sentenza dichiarativa dell'insolvenza. Ne consegue che, qualora avverso un provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa penda avanti all'A.G.O. (dopo positivo regolamento di giurisdizione) un giudizio di accertamento della sua giuridica inesistenza (promosso dall'ex amministratore contro la gestione liquidatorie e l'autorità amministrativa), poiché, in applicazione dell'art. 21 citato, gli effetti della sentenza di accertamento della inesistenza del provvedimento di liquidazione amministrativa (peraltro destinati a prodursi solo al momento del passaggio in cosa giudicata) non sono configurabili come retroattivi, nel senso che non eliminano gli effetti dello svolgimento dell'attività da parte degli organi della gestione liquidatoria, non è sostenibile, perché sarebbe contraddittorio, che la previsione del loro verificarsi possa giustificare la sospensione del giudizio, nel quale la gestione liquidatoria abbia fatto valere verso un terzo un diritto dell'impresa assoggettata alla liquidazione, pur se in esso sia intervenuto l'ex amministratore della società in bonis assumendo l'inesistenza del provvedimento.
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La decisione che (pur dopo positivo regolamento di giurisdizione) deve intervenire in un giudizio instaurato dall'ex amministratore avanti all'A.G.O. per la declaratoria della giuridica inesistenza di un provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa di una società, se comporta che l'esame della domanda di accertamento della inesistenza del provvedimento di liquidazione debba essere svolto dal giudice ordinario (il quale, dunque, potrà dichiarare inesistente il provvedimento, se ricorrano le ragioni di fondatezza del merito della relativa pretesa) e se implica che la relativa declaratoria comporterà che l'Amministrazione che dispose la liquidazione si debba conformare a quanto imposto da tale declaratoria, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 2248 del 1865, All. E, abolitiva del contenzioso amministrativo, non può, invece, determinare l'automatico venir meno degli effetti prodotti dal provvedimento di messa in liquidazione e quindi degli atti di gestione compiuti dagli organi della procedura e, pertanto, anche dell'esercizio della legittimazione processuale in un giudizio che il commissario liquidatore abbia instaurato nei confronti di un terzo relativamente ad un rapporto corrente con la società e quindi, e per converso, la retroattiva attribuzione della legittimazione a rappresentare la società all'ex amministratore che in esso sia intervenuto, agendo per la società in bonis e facendo valere l'inesistenza del provvedimento di messa in liquidazione. Infatti, se non si accedesse a tale conclusione, si attribuirebbe alla sentenza adottata dall'A.G.O. l'effetto di rimuovere il provvedimento di liquidazione quanto agli effetti che ha prodotto, fra cui quello di consentire al commissario liquidatore di agire in giudizio e di escludere — ai sensi dell'art. 200 legge fall. — la legittimazione all'organo sociale, con conseguente violazione del comma secondo del citato art. 4. Viceversa, una volta accertata con sentenza definitiva l'inesistenza del provvedimento di liquidazione, occorre che la P.A. compia gli atti necessari ad ottemperare ad essa (e fra essi la rimozione del commissario liquidatore e l'esecuzione di tutte le attività necessarie per ripristinare gli organi sociali ordinari) e, in mancanza, ben si può ricorrere al giudizio di ottemperanza. Ma, fintanto che il giudicato non si sia formato e l'ottemperanza spontanea o coattiva tramite tale giudizio non sia avvenuta, il provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa continua ad espletare i suoi effetti ed a legittimare il commissario liquidatore alla rappresentanza giudiziale (Sulla base di tali principi la S.C. ha escluso la legittimità del provvedimento di sospensione ex art. 295 c.p.c., adottato dal giudice del giudizio instaurato dal commissario liquidatore in attesa della definizione di quello sulla detta inesistenza).
Cass. civ. n. 2527/2004
La messa in liquidazione coatta amministrativa di una società configura l'evento della perdita della capacità di stare in giudizio, ai sensi dell'art. 299 c.p.c., atteso che, a norma dell'art. 200 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, detto stato comporta (fra l'altro) la cessazione delle funzioni dell'assemblea e degli organi amministrativi e di controllo della società medesima e, comunque, l'attribuzione al commissario liquidatore — e non più, quindi, alla persona fisica che la rappresentava fin quando era in bonis — della capacità di stare in giudizio nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale. Ne consegue, nella specie, la inammissibilità del ricorso per cassazione non proposto, né notificato, nei confronti della “s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa”.
Cass. civ. n. 1010/2004
A seguito della sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa di una società si determina per un verso, la perdita della capacità (anche) processuale degli organi societari e per altro verso, la temporanea improcedibilità, fino alla conclusione della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo, della domanda azionata in sede di cognizione ordinaria prima dell'inizio della procedura concorsuale; ne consegue che l'eventuale costituzione in giudizio del commissario liquidatore pone rimedio alla perdita di capacità della parte evitando l'interruzione del processo ma non può influire sull'effetto impeditivo della proseguibilità del giudizio determinato dall'attivazione sulla procedura concorsuale, essendo tale effetto, posto a salvaguardia della par condicio creditorum, non disponibile dalle parti.