È necessario premettere, prima di svolgere l’analisi dell’art. 1 della L. 392/1978, che tale disposizione, come altre della normativa in oggetto, è stata
abrogata dall’art.
14 della L. 431/1998 e si applica di conseguenza solamente ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge, oltre ovviamente ai contratti già stipulati in precedenza e ancora in corso al momento dell’emanazione della novella.
Il contratto di locazione, regolato per lungo tempo esclusivamente dalle disposizioni contenute nel
Codice Civile, ha trovato con la L. 392/1978 una
compiuta e
organica regolamentazione, ispirata a taluni principi di fondo.
Si fa riferimento, in particolare, alla tutela del conduttore, visto dal legislatore come parte debole del rapporto contrattuale.
Tale tutela si realizzava principalmente attraverso il perseguimento di due obiettivi, a tutela della parte conduttrice: una durata contrattuale minima, in modo da garantire al conduttore una certa stabilità abitativa (il fondamentale diritto all’abitazione è stato più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale) e una determinazione del canone di locazione che fosse appunto “equa”, in quanto parametrata a diversi criteri di carattere oggettivo.
Sulla scia della condivisione di tali obiettivi, la Corte Costituzionale ha sempre respinto le eccezioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo alla presente normativa, in particolare con riferimento agli articoli
3 e
42.
Ai fini della individuazione dell’immobile “urbano”, la dottrina ha fatto riferimento alla destinazione dell’immobile, con riguardo alla natura dell’attività svolta al suo interno, differenziandolo così dagli immobili a destinazione agricola.
Tale indagine sulla destinazione del bene riveste carattere oggettivo, e si fonda su quanto previsto in tal senso dal contratto di locazione, a prescindere, quindi, dalla concreta idoneità dell’immobile a realizzare le esigenze abitative del conduttore.
Per quanto attiene alla durata del contratto, è necessario osservare come la norma in oggetto privi le parti della loro libertà di stabilire una certa durata del rapporto locatizio.
La durata di 4 anni è stata convenuta dalle parti politiche che hanno ritenuto 4 anni un lasso di tempo sufficiente per garantire al conduttore una certa stabilità abitativa, senza costringerlo a continui e frequenti cambi di abitazione.
Nel caso in cui le parti abbiamo predeterminato una durata contrattuale inferiore, opereranno, in combinato disposto, le norme di cui agli articoli
1419 secondo comma e
1339 i quali prevedono, nel caso di nullità parziale, la sostituzione della clausole nulle con le norme imperative. Diversamente, nel caso in cui le parti nulla abbiano stabilito con riguardo alla durata contrattuale, troverà applicazione l’art.
1374, il quale prevede che “
il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità”.
Il secondo comma della disposizione in commento prevede tuttavia una eccezione alla durata legale di quattro anni: le esigenze abitative di natura transitoria.
Esigenze transitorie sono sicuramente quelle rappresentate da esigenze di lavoro o di studio. Più in generale, la giurisprudenza maggioritaria individua l’esigenza di transitorietà del conduttore nell’assenza, sostanzialmente, della volontà di rendere l’immobile oggetto del contratto di locazione la propria dimora abituale, conferendole carattere di stabilità nel tempo.