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Articolo 4 Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni

(D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81)

[Aggiornato al 15/11/2024]

Definizione

Dispositivo dell'art. 4 Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni

1. Nel rapporto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, l'assunzione può avvenire a tempo pieno, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o a tempo parziale.

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relative all'articolo 4 Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni

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Mario G. chiede
lunedģ 18/01/2021 - Puglia
“Medico dipendente di IRCCS di diritto privato convenzionato con la Regione, sono in regime di libera professione intramuraria allargata, quindi senza partita iva. Chiedo le modalità di legge e la tipologia di contratto di assunzione di una segretaria presso lo studio privato dove esercito la libera professione intramuraria allargata. Trattasi di attività da due a tre giorni al mese per un impegno lavorativo dalle 2 alle 4 ore per giornata.”
Consulenza legale i 24/01/2021
La segretaria potrebbe, innanzitutto, essere assunta con un contratto di lavoro part-time verticale.

Rientrano nella categoria del lavoro a tempo parziale tutti i rapporti di lavoro che prevedono un orario di lavoro giornaliero o settimanale inferiore rispetto a quello giornaliero stabilito dalla legge o dal contratto collettivo.
Attualmente il lavoro part-time è disciplinato dall’art. 4 decreto legislativo n. 81/2015, attuativo della Legge delega n. 183 del 2014 (c.d. Jobs Act), che ha abrogato e sostituito la previgente disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 61/2000.
Salvo che non sia diversamente previsto dalla legge o dal contratto collettivo, al rapporto di lavoro part-time si applicano le stesse disposizioni che regolano il rapporto a tempo pieno, venendo tutti i diritti di carattere retributivo riparametrati in base alla quantità della prestazione concordata.
Il contratto di lavoro a tempo parziale deve contenere la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
Qualora il contratto di lavoro manchi di determinare la durata della prestazione lavorativa, il lavoratore può rivolgersi al giudice chiedendo che sia dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno; gli effetti della conversione del rapporto di lavoro, da tempo parziale a tempo pieno, operano dal giorno della relativa pronuncia.
Qualora, invece, il contratto di lavoro ometta di precisare la sola collocazione temporale dell’orario, il lavoratore non ha diritto alla conversione del rapporto di lavoro, ma può chiedere esclusivamente che il giudice determini le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale; nel fare ciò, il giudice dovrà tenere conto delle responsabilità familiari del lavoratore e delle sue necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro (art. 10, d.lgs. 81/2015).
In entrambi i casi, il lavoratore ha diritto, per il periodo antecedente alla pronuncia di conversione del rapporto ovvero di determinazione delle modalità temporali della prestazione, al risarcimento del danno.

Le parti che stipulano un contratto part-time possono concordare delle clausole accessorie che consentono al datore di lavoro una maggiore flessibilità nella definizione dell’orario di lavoro. Il d.lgs. 81/2015 prevede delle clausole elastiche, con le quali le parti possono ora pattuire sia la variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa, sia la variazione in aumento della sua durata. Le parti sono libere di inserire clausole elastiche nel contratto di lavoro anche se ciò non è espressamente previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto, purché la pattuizione avvenga per iscritto avanti alle commissioni di certificazione.
Le clausole elastiche devono contenere, a pena di nullità, l’indicazione delle condizioni e delle modalità con le quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale ovvero variare in aumento la durata della prestazione; devono inoltre precisare la misura massima dell’aumento, che in ogni caso non può superare il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale.
Allorché, poi, il datore di lavoro decida di procedere alla modifica dell’orario di lavoro, il lavoratore ha diritto a un preavviso di almeno due giorni lavorativi e a una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto.

Il decreto legislativo 81/2015 stabilisce altresì che il lavoratore, una volta dato il suo consenso alle clausole elastiche, può revocare detto consenso nei soli casi in cui (i) sia un lavoratore studente, (ii) sia affetto da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative, (iii) assista persone con patologie oncologiche, gravi patologie cronico-degenerative o gravi disabilità, ovvero (iv) conviva con figlio di età non superiore a 13 anni o portatore di handicap. La legge precisa, infine, che il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Il datore di lavoro può richiedere (o in alcuni casi addirittura pretendere) prestazioni di lavoro supplementare, ossia aggiuntive rispetto all’orario concordato.
I primi due commi dell’art. 6 del d.lgs. 81/2015 escludono la necessità del consenso del lavoratore allo svolgimento delle prestazioni di lavoro supplementare, prestazioni che il datore di lavoro è libero di richiedere, in assenza di previsioni ad hoc da parte dei contratti collettivi, in misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate.
Per le prestazioni di lavoro supplementare, il lavoratore ha diritto a una maggiorazione della retribuzione pari al 15%, ferma restando la possibilità di rifiutarne lo svolgimento in presenza di comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

La legge non prevede un orario part time minimo al di sotto del quale non si può scendere: un numero di ore minimo, però, può essere previsto dal contratto collettivo applicato.
Se il datore di lavoro non rispetta l’orario minimo previsto dagli accordi collettivi, è sanzionabile da parte dell’ispettorato del lavoro, con diffida ad adeguarsi, anche se sono stati firmati accordi individuali col dipendente interessato.
Diversamente, gli accordi individuali dovranno essere certificati presso una commissione di certificazione, per convalidare l’effettiva volontà del lavoratore di svolgere l’attività per un numero di ore più basso rispetto al minimo e non essere esposti al rischio di sanzioni.

Una seconda opzione da considerare potrebbe essere quella del lavoro intermittente o a chiamata.

Il lavoro intermittente conosciuto anche come “Job on call” (lavoro a chiamata) è l’espressione di un tipo di lavoro subordinato flessibile, con il quale un lavoratore pone a disposizione del datore di lavoro la propria prestazione lavorativa con cadenza appunto intermittente e dunque discontinua nel tempo.
Caratteristica peculiare del lavoro intermittente è la non continuità delle prestazioni lavorative richieste dal datore di lavoro, in tale tipo di lavoro, infatti, la frequenza delle prestazioni lavorative e la durata delle stesse, non sono predeterminabili a differenza del lavoro a tempo pieno o parziale che, invece, impone una precisa indicazione dell’orario e del periodo temporale in cui il lavoro si svolgerà. Le prestazioni di lavoro discontinue sono inquadrate ed espletate in base alle effettive esigenze del datore di lavoro, esigenze che per rendere legittimo il ricorso a questa tipologia contrattuale di lavoro subordinato, devono essere individuate dalla contrattazione collettiva. In mancanza di contrattazione collettiva, le ipotesi di ricorso a questo tipo di contratto sono comunque individuate da un apposito decreto ministeriale, il D.M. 23.10.2004 che rinvia alla tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923.

Il lavoro a chiamata è attualmente disciplinato in maniera organica dall’articolo 13 del d. lgs 81/2015, il quale sostanzialmente mantiene la linea della precedente disciplina normativa in materia (d.lgs n.276/2003; d.l. 112/2008; L.92/2012; d.l.n.76/2013).

Al di là di quanto previsto dalla contrattazione collettiva e dal decreto ministeriale sopra citati, questo contratto “a chiamata”, può in ogni caso essere sempre stipulato con lavoratori che siano in possesso di determinati requisiti anagrafici, vale a dire:
  • lavoratori con meno di 24 anni di età, a patto che le prestazioni di lavoro vengano poste in essere entro i 12 mesi del venticinquesimo anno di età della persona coinvolta,
  • lavoratori con più di 55 anni.
Il contratto di lavoro intermittente, in base alla normativa vigente, può essere stipulato da qualunque impresa, a condizione che la stessa abbia effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla legge “tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro” (D. lgs. 626/1994, oggi artt. 28-30 d.lgs 81/2008).

Si distinguono due diverse varianti di contratto di lavoro intermittente o a chiamata.
Un primo tipo riguarda il lavoratore che sceglie di vincolarsi alla chiamata del datore di lavoro e dunque espressamente si carica dell’obbligo di eseguire la prestazione ove richiesta. In questo tipo di contratto, per i periodi in cui il lavoratore non lavora ma resta a disposizione del datore, è prevista la corresponsione di una indennità di disponibilità.
Una seconda tipologia riguarda il lavoratore che sceglie di non vincolarsi alla chiamata del datore di lavoro, dunque non è contrattualmente tenuto ad ottemperare alla chiamata del datore di lavoro, ma è libero di valutare se eseguire la prestazione oppure no. In questo caso non ha diritto ad alcuna indennità, in assenza per il periodo in cui non lavora.

Il contratto di lavoro a chiamata deve innanzitutto essere stipulato in forma scritta (ai fini della prova), deve poi contenere e specificare:
  • la durata della prestazione lavorativa e dunque se a tempo determinato o indeterminato;
  • le ipotesi, (individuate dai CCNL o dal suddetto D.M), che rendono legittima la stipulazione di tale contratto;
  • il trattamento economico e normativo applicabile al lavoratore per la prestazione eseguita, qualora sia dovuta, deve contenere anche la misura dell’indennità di disponibilità oltre a tempi e modi con i quali saranno effettuati i pagamenti;
  • modalità e forme per la rilevazione delle presenze effettive del soggetto al lavoro;
  • le forme e le modalità con le quali il datore può richiedere la prestazione di lavoro;
  • le misure di sicurezza essenziali in base al tipo di attività lavorativa da svolgere;
Non da ultimo, deve indicare anche:
  • il luogo di lavoro;
  • modalità della disponibilità quando quest’ultima viene garantita dal lavoratore e modalità del relativo preavviso necessario alla chiamata, preavviso in ogni caso non inferiore a un giorno lavorativo.
Il lavoratore assunto con contratto di lavoro intermittente ha diritto – per i periodi in cui ha prestato lavoro- allo stesso trattamento economico che viene riservato, a parità di livello e mansioni, ad un altro lavoratore (ex art.17 D.lgs. 81/2015). Data la particolarità della prestazione lavorativa, la stessa legge riconosce che tutto è riproporzionato in base all’attività lavorativa effettivamente svolta, infatti, l’art 17 in parola, al punto due puntualizza che il lavoratore a chiamata matura tutti i diritti di un normale lavoratore subordinato, e dunque in base al CCNL di riferimento quindi ha diritto:
  • alla retribuzione oraria pattuita
  • permessi retribuiti;
  • alla maturazione delle ferie proporzionalmente ai giorni lavorati;
  • sempre proporzionalmente, alla tredicesima mensilità e alla quattordicesima (c.d. mensilità aggiuntive, se previste);
  • TFR trattamento di fine rapporto maturato.
Quanto all’indennità di disponibilità, essa altro non è che una indennità che il datore deve corrispondere mensilmente al lavoratore, per i periodi in cui quest’ultimo resta in attesa di chiamata a lavoro, si rimarca come abbia diritto a tale indennità solo il lavoratore che nel firmare il contratto si sia vincolato a garantire disponibilità ad eseguire la prestazione lavorativa quando richiesta.
L’importo minimo dell’indennità è stabilito dai contratti collettivi di settore, non può comunque essere inferiore al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato (percentuale minima che è stata fissata con decreto dal Ministero del Lavoro).
Nel caso di impedimenti che per un qualche ragione impediscono temporaneamente al lavoratore di effettuare la prestazione lavorativa e rispondere “si” alla ormai nota chiamata, la legge all’art. 16 punto 4 D.lgs 81/2015 prevede che il lavoratore dia tempestiva informazione al datore del suo impedimento, specificandone la durata; per tutta il periodo di impedimento il lavoratore non matura il diritto all'indennità di disponibilità. Pena per la mancata informazione è la perdita dell’indennità di disponibilità relativa ad un periodo di 15 giorni, o di un periodo diverso se previsto dal suo contratto che ha firmato.
Sempre dallo stesso art.16 si evince che, qualora il lavoratore dovesse non rispondere alla chiamata senza giustificazione, può incorrere nel licenziamento o può perdere o dover restituire la quota di indennità riferita al periodo successivo al rifiuto.

Per quanto riguarda dettagli circa le modalità di assunzione e gli eventuali risvolti fiscali si consiglia di rivolgersi ad un consulente del lavoro e/o al commercialista.