La
ineleggibilità esprime una condizione che preesiste all'elezione e la impedisce. E' relativa se deriva dallo svolgere un'attività che crea una situazione di vantaggio che potrebbe favorire il soggetto rispetto agli altri candidati; è assoluta se riguarda due posizioni non conciliabili. Le cause di ineleggibilità dei deputati sono contenute nell D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (T.U. delle disposizioni per l'elezione alla
Camera dei deputati) e si applicano ai senatori stante il richiamo del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533 (T.U. per le elezioni del
Senato della Repubblica).
Tra i soggetti ineleggibili vi sono, ad esempio, i Presidenti delle Provincie, i prefetti, i magistrati nella circoscrizione in cui operano ecc.; i giudici della consulta ai sensi della l. 11 marzo 1953, n. 87. Poichè l'elettorato passivo rappresenta un diritto del singolo (v.
51 Cost.), le cause in esame devono essere interpretate restrittivamente e non in via analogica e devono sempre esprimere esigenze riconducibili al superiore interesse pubblico.
Le
incompatibilità esprimono l'impossibilità di conciliare due posizioni diverse ed impongono al soggetto di scegliere tra queste. Incompatibili sono la carica di deputato e quella di senatore (v. comma successivo), quella di parlamentare e di Presidente della Repubblica (
84 Cost.) o di giudice costituzionale (
135 Cost.) ecc..
Da ultimo, la l. 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge Severino) ha introdotto l'ulteriore istituto della
incandidabilità, che colpisce i soggetti che vengono condannati in via definitiva a determinati reati ovvero a reati puniti con precise pene e che ha determinato, secondo una nota vicenda, la mancata convalida di Silvio Berlusconi all'elezione a senatore (seduta del 27 novembre 2013).
Nessuno può appartenere contemporaneamente sia alla Camera dei Deputati che al Senato.