La norma in esame disciplina una
forma aggravata del delitto di violenza privata, dato che il soggetto agisce allo scopo di far commettere un reato.
Il bene giuridico oggetto di tutela è la
libertà morale, e dunque la libertà psichica, contro ogni turbativa determinata anche semplicemente da attività di disturbo e molestia.
Per quanto riguarda il primo
elemento costitutivo del reato, ovvero la
violenza, essa va suddivisa in
propria ed impropria. Per quest'ultima va intesa quando si utilizza un qualsiasi mezzo idoneo, esclusa la
minaccia, a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione. Per violenza
propria, si intende invece l'impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento. Non sussiste invece la violenza in casi di condotta meramente omissiva tenuta in relazione ad una richiesta altrui, anche quando la stessa si risolva in una forma passiva di mancata cooperazione al risultato voluto dal richiedente.
Per
minaccia va invece intesa la prospettazione di un male ingiusto e notevole, eventualmente proveniente dal soggetto minacciante.
Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, esso consiste nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di
costringere la vittima a fare, tollerare od omettere qualcosa. Trattasi comunque di
dolo generico e di
dolo specifico, consistente nel fine di costringere la vittima a commettere un fatto preveduto come reato.
///SPIEGAZIONE ESTESA
La norma in esame punisce chi, volontariamente, usi
violenza o
minaccia per
costringere o determinare un’altra persona a
commettere un fatto costituente
reato.
La
condotta tipica consiste negli atti o nell’impiego dei mezzi con cui il soggetto agente usi
violenza o
minaccia, con l’intenzione di
costringere o
determinare un’altra persona a commettere un fatto costituente
reato.
Non è, quindi, idoneo ad integrare la fattispecie in esame l’utilizzo di qualsiasi mezzo che sia
diverso dalla
violenza o dalla
minaccia, come, ad esempio, l’inganno, o che
non realizzi una
costrizione, come nel caso della mera
istigazione.
In ogni caso la condotta dell’agente deve essere
diretta a
far commettere ad un altro soggetto un fatto costituente
reato, ossia un fatto che la legge preveda effettivamente come
delitto o
contravvenzione, non, quindi, un fatto che sia soltanto erroneamente ritenuto reato.
L’
oggetto materiale del delitto in esame è costituito dalla
persona verso cui sia rivolta la condotta criminosa, ossia la persona determinata a cui l’agente voglia
far commettere un fatto previsto come
reato, non rilevando, a tal fine, che essa sia o meno imputabile.
Qualora la condotta criminosa si rivolga a
più persone si ha un
concorso di reati.
La
conoscenza, da parte del soggetto passivo, della
violenza o della
minaccia utilizzata dall’agente per fargli commettere un fatto previsto dalla legge come reato, costituisce l’
evento tipico della fattispecie in esame.
Tale circostanza coincide, peraltro, con il
momento consumativo del reato previsto dall’art.
611 c.p.
Per quanto concerne il
tentativo, esso, pur essendo naturalisticamente configurabile, come nel caso di una lettera minatoria inviata per far commettere un reato, la quale, però, non sia arrivata a destinazione perché non recapitata,
non è
ammissibile giuridicamente, considerato che il delitto in esame si perfeziona a fronte del semplice utilizzo della violenza o della minaccia e, anteriormente ad esso, non si ha un fatto punibile.
Qualora, poi, il soggetto passivo
commetta effettivamente il
reato a cui sia stato indotto dall’agente, si ha un
concorso di persone in relazione a detta fattispecie, nella quale il reato
ex art. 611 del c.p. rimane assorbito, purché la specie della violenza usata non costituisca di per sé reato. In quest’ultimo caso, infatti, si ha un concorso di reati, fatta eccezione per il delitto di
percosse che si considera già assorbito nella violenza.
Ai fini dell’integrazione della fattispecie in esame è necessario che sia configurabile, in capo all’agente, il
dolo specifico. La lettera dell’art.
611 c.p., infatti, non richiede soltanto che l’agente realizzi
coscientemente e
volontariamente la violenza o la minaccia, ma anche che esse siano poste in essere al
fine di
costringere o
determinare un altro soggetto a commettere un fatto di
reato.
Ai sensi del comma 2, il reato in esame risulta
aggravato nel caso in cui ricorrano le condizioni previste dall’art.
339 c.p., ossia qualora, ad esempio, la violenza o la minaccia siano commesse nel corso di manifestazioni in
luogo pubblico o aperto al pubblico, oppure con l’uso di
armi.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA