Già da una prima lettura dell'articolo, si comprende come essa sia una norma di complemento, la cui applicabilità e espressamente subordinata alla non configurabilità del concorso in relazione ai reati appena analizzati.
Qui dunque viene punita la condotta del commerciante che, essendo a conoscenza dell'avvelenamento, corrompimento,
adulterazione e contraffazione delle
acque e sostanze da egli in vario modo detenute, ne dispone comunque la messa in
commercio, provocando un
pericolo per la salute pubblica.
Trattasi inoltre di
reato di pericolo concreto, e sul punto si e sostenuto che il pericolo e presupposto del reato e dunque non può essere classificato come condizione di punibilità, dato che non ci si riferisce al fatto costitutivo del delitto.
Proprio come per il reato di cui all'art.
440 inoltre, non viene il rilievo la detenzione per il commercio di
alimenti di cui e alterata la genuinità per fatto naturale, come appunto per il cattivo stato di conservazione ecc. , in cui cioè non vi e l'intenzione da parte del produttore originale di
alterare la composizione naturale del prodotto.
Porre in commercio significa, secondo la dottrina dominante, offrire in vendita o in permuta al pubblico, direttamente o tramite interposta persona, gli alimenti di cui trattasi, e ciò amplia notevolmente la gamma di persone astrattamente punibili, in quanto
non e strettamente necessaria una qualifica di commerciante vera e propria. La norma gode quindi di ampia applicabilità, e ciò è dato anche dal fatto che viene punita la semplice
detenzione a fini commerciali, venendo in tal guisa annoverata anche la mera introduzione nei locali di vendita di cose destinate alla vendita.
In seguito, con riferimento proprio all'art.
442, ma in realtà fornendo una definizione generale di contraffazione, la Suprema Corte ha precisato che deve considerarsi contraffatta ogni sostanza che deliberatamente e
fraudolentemente rechi false indicazioni circa la sua origine, in quanto ciò che importa e la regolamentazione messa in atto dal legislatore in materia e non la genuinità naturale o storicamente abituale del prodotto.
Quanto appena detto riapre una parentesi relativa all'annosa questione dei valori-soglia, in quanto e appunto il legislatore a fissare normativamente quando una sostanza può dirsi contraffatta o meno. In realtà qui il discorso e diverso, in quanto comunque, trattandosi di reato di pericolo concreto, il giudice deve accertare la reale pericolosità del prodotto; ma ciò non toglie che ad esempio, in assenza di univoche leggi scientifiche sul punto, egli possa in qualche modo farsi guidare da prescrizioni legislative più o meno affidabili e, essendo sufficiente l'accertamento della
normale pericolosità, possa condannare per contraffazione soggetti innocenti.
Il commerciante comunque deve essere a conoscenza sia della difformità del prodotto sia della pericolosità di esso per la salute pubblica. Rispetto all'ipotesi di
alimenti avvelenati le considerazioni cambiano, dato che in questo caso non e necessaria la consapevolezza della nocività, rientrando essa tra gli elementi del reato di cui all'art.
439, fattispecie che rientra tra i reati di pericolo astratto.
Il reato si consuma con la detenzione, la messa in commercio o la detenzione dell'alimento e il tentativo appare difficilmente concepibile, proprio in ragione della nozione lata di messa in commercio; ma ciò non toglie che esso possa configurarsi, come nel caso di chi acquisti prodotti pericolosi predisponendosi ad una non ancora attuale destinazione al commercio.