Nei reati commessi da chi è soggetto alla altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell'autorità, o incaricata della direzione o vigilanza, è obbligata, in caso di insolvibilità del condannato, al pagamento di una somma pari all'ammontare della multa o dell'ammenda inflitta al colpevole, se si tratta di violazioni di disposizioni che essa era tenuta a far osservare e delle quali non debba rispondere penalmente(1).
Qualora la persona preposta risulti insolvibile, si applicano al condannato le disposizioni dell'articolo 136(2).
Note
(1)
La norma riconosce la figura del civilmente obbligato alla pena pecuniaria in colui che esercita autorità, direzione o vigilanza nei confronti di un altro soggetto. Tale rapporto deve intendersi, secondo la dottrina prevalente, come un obbligo giuridico di controllo, che la persona civilmente obbligata era tenuta a far osservare. Quindi vi rientrano ad esempio i rapporti di custodia, familiari, di istruzione e di lavoro. In virtù di questo rapporto così inteso, il civilmente obbligato è chiamato a soddisfare un'obbligazione di natura civilistica, quantificata, nell'ammontare, in misura corrispondente alla multa o all'ammenda, trasmissibile agli eredi, accessoria, in quanto sorge con la condanna e si estingue con l'estinzione del reato o della pena (v. 198) e sussidiaria, essendo condizionata alla insolvibilità del condannato. Qualora infatti il condannato ridiventi solvibile, la persona civilmente obbligata che abbia adempiuto può esperire, nei suoi confronti l'azione di regresso, al fine di recuperare quanto pagato.
(2)
Quanto affermato nel secondo comma deve essere inteso nel senso che il condannato ha la possibilità di pagare la pena, anche se già convertita, attraverso la deduzione della somma corrispondente alla durata della libertà controllata scontata o del lavoro sostitutivo prestato, ove possibile.