Il criterio di delega, che riprende testualmente quello indicato alla lettera l-
quater) dell’articolato proposto dalla Commissione Lattanzi, risulta chiaramente finalizzato a circoscrivere all’ambito del procedimento penale la rilevanza della valutazione compiuta dal P.M. al momento dell’iscrizione della
persona sottoposta a indagini nel
registro di cui all’articolo
335 del codice.
Si tratta, senz’alcun dubbio, di uno dei profili più importanti e innovativi della riforma. Proprio in ragione di ciò, la Commissione ha ritenuto che il principio enunciato nella delega meritasse d’essere riprodotto in un apposito articolo del codice di rito.
La disposizione è stata così inserita all’articolo 335
bis, sotto la rubrica «
Limiti all’efficacia dell’iscrizione ai fini civili e amministrativi». Questa soluzione è stata confermata, precisando che, ad essere precluso, deve essere l'utilizzo, in via esclusiva, del solo dato relativo all'iscrizione, che, da solo, non può essere posto a fondamento della
motivazione di provvedimenti o, in ogni caso, di determinazioni pregiudizievoli per il cittadino.
In proposito, giova premettere che, secondo quanto si legge nella Relazione predisposta dalla Commissione Lattanzi, il legislatore delegato avrebbe dovuto «
rived[ere], rimuovendole, le ipotesi normative in cui dalla mera iscrizione nel registro delle notizie di reato discenda un effetto pregiudizievole per l’interessato».
In fase di attuazione del criterio di delega si è, tuttavia, dovuto prendere atto di come, in realtà, la dichiarata intenzione “soppressiva” non si sia tradotta in una direttiva di delega volta ad autorizzare interventi di tipo abrogativo sulle norme in questione.
Tali norme, d’altro canto, oltre che non esaustivamente censibili, risultano talora strutturate in modo da accordare rilievo alla sola posizione dell’«indagato» o della «persona sottoposta a procedimento penale» (v., rispettivamente, artt.
463 bis cod. civ. e 12, legge 7 luglio 2016, n. 122, in tema di indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti), senza menzionare quella dell’«
imputato», e cioè del soggetto nei cui confronti il P.M. si sia determinato ad esercitare l’
azione penale: sicché, in questi casi, l’intervento “ablativo” (peraltro solo incidentalmente) ipotizzato nel citato passo della
Relazione, interdicendo effetti pregiudizievoli in relazione a valutazioni ben più pregnanti (e, addirittura, espresse da un giudice: si pensi all’applicazione di una
misura cautelare personale), avrebbe finito per esorbitare lo stesso ambito di operatività delineato in via generale per il principio di garanzia introdotto dalla delega.
Ebbene, è alla stregua di tali considerazioni che il nuovo articolo
110 ter disp. att. opera una sorta di generale “conversione” del riferimento alla mera sottoposizione ad
indagini, cui vengono sostituiti snodi procedimentali più pregnanti, quali l’applicazione di una misura cautelare personale o l’avvenuto esercizio dell’azione penale. È evidente peraltro, tenuto conto del tenore della nuova disposizione di cui all'articolo 335
bis c.p.p., che, ove non ricorrano dette specifiche ipotesi, l'
autorità amministrativa o civile potrà tenere conto di qualunque altro elemento che ritenga di valorizzare purché non si risolva nel solo dato della mera iscrizione formale del nome della persona nel registro di cui all'articolo 335 c.p.p.