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Articolo 289 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio

Dispositivo dell'art. 289 Codice di procedura penale

1. Con il provvedimento che dispone la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio [c.p. 357] o servizio [c.p. 358], il giudice interdice temporaneamente all'imputato, in tutto o in parte, le attività a essi inerenti(1).

2. Qualora si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione [314-360], la misura può essere disposta a carico del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 287 comma 1(2). Nel corso delle indagini preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all'interrogatorio dell'indagato, con le modalità indicate agli articoli 64 e 65. Se la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio è disposta dal giudice in luogo di una misura coercitiva richiesta dal pubblico ministero, l'interrogatorio ha luogo nei termini di cui al comma 1-bis dell'articolo 294(3).

3. La misura non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare.

Note

(1) Al giudice spetta dunque la determinazione del contenuto della misura, che può quindi comportare una limitazione anche solo parziale.
(2) Quindi in questi casi l'applicazione della misura interdittiva è possibile a prescindere dalla pena edittale irrogabile per il reato contestato.
(3) Comma così modificato dall’art. 7, comma 1, L. 16 aprile 2015, n. 47.

Ratio Legis

La ratio di tale norma si ravvisa nell'esigenza di contenere il rischio di inquinamento probatorio e di reiterazione delle condotte criminose.

Spiegazione dell'art. 289 Codice di procedura penale

Le misure interdittive, al pari di quelle coercitive, subiscono un limite alla loro applicabilità. Esse possono infatti essere disposte solamente qualora si proceda per delitti per il quali la legge stabilisce l'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni.


Tuttavia, per particolari esigenze di tutela del buon andamento della pubblica amministrazione, ed al fine di scongiurare ulteriori danni sia all'immagine che al patrimonio della stessa, la norma in commento prevede che il giudice possa disattendere ai limiti di cui all'art. 287 comma 1, e quindi, quando si procede per un delitto contro la pubblica amministrazione, tale delitto può anche prevedere la pena della reclusione inferiore nel massimo a tre anni.

L'ultimo comma stabilisce inoltre che tale misure non va applicata a chi ricopra uffici elettivi derivanti da investitura popolare, coma ad esempio il sindaco.

Massime relative all'art. 289 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 26929/2018

L'interrogatorio preliminare all'emissione della misura dell'interdizione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, previsto dall'art. 289, comma 2, cod. proc. pen., deve essere preceduto dal deposito di tutti gli atti posti a fondamento della richiesta di applicazione della misura al fine consentire all'indagato di estrarne copia e di approntare un'adeguata difesa; ne consegue che, qualora successivamente al suo espletamento, e prima dell'emissione del provvedimento del giudice, il pubblico ministero alleghi ulteriori atti di indagine, siano essi o meno dipendenti dalle dichiarazioni rese dall'indagato, il giudice deve procedere ad un nuovo interrogatorio anch'esso preceduto dalla previa ostensione degli atti all'indagato ed al suo difensore, la cui mancanza determina la nullità per violazione del diritto di difesa.

Cass. pen. n. 16396/2018

In tema di misure interdittive, anche se l'interrogatorio ex art. 289, comma 2, cod. proc. pen. avviene senza il preventivo deposito degli atti - come invece accade per quello ex art. 294 comma 1-bis, cod. proc. pen. - in forza dell'esplicito richiamo agli artt. 64 e 65 cod. proc. pen., il giudice deve rendere noti all'indagato gli elementi di prova a suo carico, salvo che possa derivarne pregiudizio alle indagini, ricorrendo, pertanto, nei due istituti una disciplina analoga, che non giustifica la necessità di duplicare, dopo l'applicazione della misura interdittiva, l'interrogatorio già svoltosi. (In motivazione la Corte ha precisato che la previsione di cui all'art. 289, comma 2, cod. proc. pen. costituisce norma speciale, che consente l'esercizio del diritto di difesa in anticipo rispetto all'applicazione della misura, salvo che la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio sia disposta dal giudice in luogo di una misura coercitiva richiesta dal pubblico ministero, dovendo procedersi, in tale ipotesi, all'interrogatorio nei termini previsti dalla disposizione generale di cui all'art. 294, comma 1-bis, cod. proc. pen.).

Cass. pen. n. 10940/2017

È illegittima l'applicazione della misura cautelare interdittiva della sospensione dall'esercizio di pubblico ufficio o servizio nei confronti di persona che ricopre un ufficio elettivo per diretta investitura popolare, stante il divieto previsto dall'art. 289, comma terzo, cod. proc. pen. (Nella specie, la S.C. ha annullato senza rinvio l'ordinanza che aveva applicato la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio dell'ufficio nei confronti di un sindaco, precisando che il divieto opera sia nella fase genetica, sia in caso di sostituzione di una misura coercitiva in precedenza adottata).

Cass. pen. n. 44896/2013

È legittima l'applicazione a persona che ricopre un ufficio elettivo per diretta investitura popolare (nella specie, sindaco di un comune) della misura cautelare del divieto di dimora, anche se la stessa produce di fatto effetti assimilabili alla misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, vietata dall'art. 289, comma terzo, cod. proc. pen., perché questa disposizione non può essere interpretata in termini estensivi, pena la violazione del principio di uguaglianza.

Cass. pen. n. 29132/2013

L'art. 289 c.p.p. non prevede che l'ordinanza che disponga la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio debba indicare un termine di efficacia, applicandosi, infatti, la regola generale prevista per le misure interdittive dall'art. 308, comma secondo, c.p.p..

Cass. pen. n. 25195/2012

Il tribunale del riesame che, in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., disattendendo la richiesta del P.M. di applicazione di misura cautelare personale, applichi, invece, la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, non ha l'obbligo di procedere al previo interrogatorio dell'indagato.

Cass. pen. n. 12816/2006

Qualora, proposta impugnazione avverso ordinanza applicativa di una misura cautelare interdittiva (nella specie, sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio) sopravvenga la perdita di efficacia di detta misura, deve escludersi che permanga un interesse giuridicamente apprezzabile all'impugnazione stessa, essendo esclusa la possibilità di una riparazione pecuniaria (prevista solo per l'ingiusta detenzione) e non residuando alcun effetto giuridico extrapenale pregiudizievole per il soggetto nei cui confronti la misura sia stata applicata, una volta che l'applicazione sia comunque venuta meno.

Cass. pen. n. 46490/2003

l Tribunale, pronunziando sull'appello del P.M. avverso l'ordinanza del Gip di rigetto della richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, non ha alcun obbligo di procedere al preventivo interrogatorio di garanzia dell'indagato qualora ritenga di respingere il gravame.

Cass. pen. n. 2412/2000

Prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di applicazione di una misura personale cautelare interdittiva il Gip ha l'obbligo, a norma dell'art. 289 c.p.p., come modificato dall'art. 2 L. 234 del 1997, di procedere all'interrogatorio dell'indagato con le modalità di cui agli artt. 64 e 65 c.p.p. e la violazione di tale obbligo, vulnerando il concreto esercizio del diritto di difesa, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime cd. intermedio; qualora il Gip non abbia adempiuto al suddetto obbligo ed abbia rigettato la richiesta del P.M., il tribunale della libertà, chiamato a pronunciarsi sull'impugnazione della proposta dal P.M. avverso l'ordinanza reiettiva del Gip, non può applicare la misura interdittiva richiesta senza prima procedere all'interrogatorio dell'indagato omesso a suo tempo dal Gip, giacché, in assenza di indicazioni contrarie, non può ritenersi escluso dai destinatari dall'obbligo di cui all'art. 289 cit. il tribunale che applichi la misura interdittiva in sede di appello ai sensi dell'art. 310 c.p.c.

Cass. pen. n. 2304/2000

Quando il tribunale, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, applica la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, ha l'obbligo di procedere al previo interrogatorio dell'indagato, ex art. 289 secondo comma c.p.p., la cui omissione determina la nullità generale a regime intermedio di cui all'art. 178, lett. c).

Cass. pen. n. 3106/1999

In tema di misure interdittive, la inabilitazione temporanea all'esercizio della professione notarile ex art. 140 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, non rientra nella figura della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio ex art. 289 c.p.p., ma in quella del divieto temporaneo di determinate attività professionali ex art. 290 c.p.p.; e ciò in quanto l'attività notarile, pur essendo connotata da aspetti pubblicistici, è qualificabile come professione, caratterizzata privatisticamente e svolta dal notaio in piena autonomia nell'ambito di un ordine professionale autogestito. Ne consegue che per l'applicazione della misura in questione non è richiesto il previo interrogatorio dell'imputato; garanzia che attiene solo alla misura prevista dall'art. 289 c.p.p. per i pubblici ufficiali.

Cass. pen. n. 1931/1998

L'art. 289 c.p.p., nella nuova formulazione introdotta dall'art. 2 della legge 16 luglio 1997 n. 234, che prevede l'interrogatorio dell'indagato prima della applicazione della misura interdittiva della sospensione dell'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, è una norma di garanzia in quanto mira ad assicurare l'autotutela del soggetto nel procedimento incidentale, con riferimento a questa specifica misura. Tale ratio sostiene la norma in esame sia con riferimento ai delitti contro la pubblica amministrazione, sia a quelli comuni o plurioffensivi, che sono pur sempre qualificati dalla posizione e qualità soggettive dell'agente.

Cass. pen. n. 2794/1998

Il nuovo testo dell'art. 289, comma secondo, c.p.p., introdotto dalla legge 16 luglio 1997 n. 234, che impone, nel corso delle indagini preliminari, al giudice di procedere all'interrogatorio dell'imputato prima di decidere sulla richiesta di sospensione dall'esercizio di pubblico ufficio o servizio, va applicato in ogni caso, indipendentemente dal titolo di reato contestato. Sarebbe infatti erroneo ritenere che la garanzia riguardante la misura interdittiva ex art. 289 c.p.p. possa costituire un privilegio a favore dei soli pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che siano imputati o indagati per un delitto contro la pubblica amministrazione.

Cass. pen. n. 1721/1993

Le misure coercitive e interdittive sono due sottotipi delle misure cautelari personali, a loro volta ascrivibili nel più ampio genus delle misure cautelari. Dette misure - unitariamente disciplinate - sono tra loro assimilabili. Nell'ipotesi di sussistenza di esigenze probatorie le prime (coercitive) possono essere sostituite dalle altre (interdittive), quando mirino a conseguire la finalità di garantire le indispensabili cennate esigenze istruttorie con il minore danno per i diritti inviolabili dei cittadini. Tale possibilità è esclusa soltanto quando il pubblico ministero abbia richiesto esclusivamente una specifica misura. La Corte ha osservato che non è di ostacolo il limite di durata previsto per le misure interdittive dall'art. 308 c.p.p., poiché nel caso di esigenze probatorie è sempre possibile la rinnovazione. (Nella specie la Cassazione ha ritenuto legittima la sostituzione degli arresti domiciliari con la sospensione dall'esercizio del pubblico servizio di tecnico dell'ufficio tecnico erariale).

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