Nello specifico, il provvedimento era stato assunto in quanto l’autista aveva scambiato il proprio badge marcatempo con i colleghi, allontanandosi dall'autoparco “durante l'orario di servizio senza timbrare il cartellino in uscita e al rientro e senza chiedere il permesso al dirigente”.
L’autista, tuttavia, riteneva la decisione ingiusta e decideva, quindi, di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
Evidenziava il ricorrente, in particolare, di non essere stato obbligato a rimanere nell'autoparco, ma solo “di rendere operativi i mezzi ed espletare il servizio di scuolabus”.
Secondo l’autista, inoltre, il Giudice aveva errato nel non tener conto “delle spiegazioni fornite dall'indagato, il quale aveva rappresentato di essersi regolarmente occupato del trasporto degli alunni, della manutenzione degli autobus e di ogni altra mansione assegnatagli e di non essere potuto rimanere nell'autoparco, che era del tutto privo di luoghi di accoglienza per i lavoratori e di servizi igienici”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione all’autista, osservando che il giudice del precedente grado di giudizio aveva sottolineato che i risultati delle indagini avevano dimostrato che l’autista si era recato “in luoghi del tutto distanti e ultronei rispetto ai luoghi e alle esigenze lavorative e non corrispondenti alle giustificazioni addotte in sede di interrogatorio”.
Poichè, dunque, “gli addotti allontanamenti dall'autoparco non corrispondevano ad esigenze di servizio”, la Corte di Cassazione riteneva che il giudice avesse del tutto correttamente disposta la misura cautelare della sospensione.
L’autista, infatti, timbrando il cartellino in entrata e allontanandosi senza autorizzazione, omettendo di timbrare in occasione in occasione dei corrispondenti rientri, aveva ingenerato nel Comune datore di lavoro “la fallace impressione di una sua regolare presenza sul luogo di lavoro”, cagionando all’amministrazione “un danno da mancata prestazione lavorativa” e percependo la remunerazione anche per i periodi non lavorati.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’autista, confermando la misura cautelare disposta dal Tribunale di Catania e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.