La norma indica tutti gli organi a cui è demandato l’onere di decidere sulla
ricusazione; così si avrà che:
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se ad essere ricusato è un Giudice di Pace della circoscrizione, competente a decidere della causa è il Presidente del Tribunale;
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se, invece, ad essere ricusato è uno dei componenti del collegio o della Corte o tutto il collegio, allora sull’istanza di ricusazione decide tutto il collegio.
In riferimento a tale ultima ipotesi (ricusazione di uno dei componenti del Tribunale o della Corte) è stata sollevata questione di legittimità costituzionale in ordine alla attribuzione della competenza a decidere sulla ricusazione al medesimo collegio a cui appartiene il giudice ricusato, fondata sul presupposto che ciò non garantirebbe un giudizio imparziale (la serenità del giudizio potrebbe essere pregiudicata per l’inevitabile instaurazione di rapporti interpersonali di vario tipo che si vengono ad instaurare tra magistrati che operano quotidianamente nello stesso collegio).
E’ stata così prospettata una soluzione analoga a quella dettata dal primo comma dell’
art. 40 del c.p.p., il quale demanda la decisione sulla ricusazione di un giudice del Tribunale alla Corte d’Appello e di un giudice di Corte d’Appello ad una sezione della stessa Corte diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato.
La Corte Costituzionale, tuttavia, ha ritenuto infondata tale questione, sostenendo che l’attribuzione della competenza a decidere al Collegio deve intendersi, secondo una interpretazione conforme a Costituzione, come attribuzione ad un collegio di cui continuano a far parte solo componenti diversi da quello o da quelli ricusati (così Corte Cost. n. 78 del 21.03.2002).
Dispone il secondo comma che la decisione sulla ricusazione viene pronunciata con
ordinanza non impugnabile.
La sua inoppugnabilità discende dal fatto che si tratta di un provvedimento per sua stessa natura privo di portata decisoria su posizioni di
diritto soggettivo, essendo diretto esclusivamente, sotto un profilo ordinatorio e strumentale, ed a conclusione di un procedimento di tipo sostanzialmente amministrativo, ad assicurare il soddisfacimento di interessi di ordine generale ed il corretto esercizio dell’attività giudiziaria da parte del giudice persona.
Malgrado il tenore letterale della disposizione, parte della dottrina ha affermato che l’ordinanza in esame, a prescindere dalla sua forma, costituisca un provvedimento sostanzialmente decisorio su un diritto processuale fondamentale, qual è il diritto ad essere giudicati da un giudice terzo ed imparziale, come tale direttamente impugnabile in Cassazione ex
art. 111 Cost..
In contrario, altra parte della dottrina ha fatto osservare che una soluzione di tale tipo presenta degli inconvenienti, quali:
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il ricorso per Cassazione consente un controllo di mera legalità e non una verifica sulla sussistenza di una delle ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 51 del c.p.c.;
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poiché tale impugnazione determina l’automatica sospensione del processo, si rischierebbe di dilatare eccessivamente i tempi del giudizio, potendo essere usato quale strumento dilatorio.
Sulla base di tali ultime considerazioni, pertanto, si è ritenuta preferibile in dottrina la tesi che esclude la proponibilità, avverso la decisione sulla ricusazione, del rimedio di cui all’art. 111 cost.
Anche nella giurisprudenza di legittimità è per lungo tempo prevalsa la tesi che nega l’impugnabilità dell’ordinanza sulla ricusazione, argomentando dal rilievo secondo cui si tratta di un provvedimento conclusivo di un procedimento incidentale di tipo amministrativo e non potendosi a tale ordinanza attribuire natura sostanziale di
sentenza. E’ stato sostenuto, infatti, che tale natura può attribuirsi solo ai provvedimenti giurisdizionali caratterizzati da
decisorietà (ovvero che risolvono una controversia su un diritto soggettivo o uno status) e da
definitività (nel senso che l’ordinamento non prevede rimedi diversi contro il provvedimento decisorio, essendo come tale idoneo a pregiudicare irrimediabilmente quel diritto o quello status).
Più di recente, invece, si è affermata la tesi secondo cui, a seguito della modifica dell’art. 111 cost, ad opera della Legge costituzionale n. 2/1999, l’esigenza di far decidere la controversia ad un giudice imparziale non può più qualificarsi come una mera questione amministrativa di organizzazione degli uffici giudiziari, ma costituisce un diritto soggettivo della parte processuale, riconosciuto come tale sia dalla Costituzione che dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Da ciò se ne deve far discendere, quale naturale conseguenza, che l’ordinanza che decide sull’istanza di ricusazione ha senza dubbio natura decisoria, ma difetta del carattere della definitività, altro presupposto fondamentale per ammetterne l’impugnabilità con ricorso straordinario per Cassazione; ciò, tuttavia, non impedisce che il suo contenuto possa ritenersi suscettibile di essere riesaminato nel corso del processo attraverso un controllo sulla pronuncia del giudice sospetto.
Ed ecco che, allora, l’eventuale vizio causato dalla incompatibilità del giudice ricusato si converte in motivo di
nullità dell’attività svolta dal giudice stesso e, dunque, di gravame della sentenza dallo stesso pronunciata.
E’ stato, inoltre, evidenziato che la natura ordinatoria del provvedimento non può intendersi esclusa da una eventuale condanna al pagamento di una
pena pecuniaria posta a carico della
parte o del
difensore che ha chiesto la ricusazione, in quanto tale misura sanzionatoria ha carattere accessorio e non riguarda l’oggetto del processo, costituendo semplicemente manifestazione di un potere disciplinare che il giudice esercita nei confronti della parte che ha violato il dovere di non intralciare l’organizzazione giudiziaria.