La norma in esame è stata introdotta dall'articolo 9 della L. n. 420 del 1998 e si applica a ciò che è accaduto successivamente all'entrata in vigore della citata legge.
Lo scopo di tale novella è stato quello di dare applicazione concreta al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione, principio sancito dalla nostra Costituzione in relazione a qualunque tipo di processo.
A breve distanza dalla sua entrata in vigore, essa è stata colpita da una prima dichiarazione d'illegittimità costituzionale parziale.
In particolare, il giudice delle leggi, con sentenza n. 444 del 12.11.2002, l’ha dichiarata incostituzionale, per violazione dell'
art. 3 Cost. e dell'
art. 24 Cost., nella parte in cui si applica ai processi di
esecuzione forzata promossi da o contro magistrati in servizio nel distretto di Corte d'appello comprendente l'ufficio giudiziario competente ai sensi dell'
art. 26 del c.p.c..
Con successiva sentenza n. 147 del 25.05.2004 la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma, ad eccezione della parte relativa alle azioni civili concernenti le restituzioni e il
risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all'
art. 11 del c.p.p..
In definitiva, dunque, in forza di quest'ultima pronuncia della Corte Costituzionale, l'ambito di applicabilità dell'art. 30 bis c.p.c. ha finito con l'essere limitato esclusivamente alle cause in cui sia richiesto al giudice civile di accertare
incidenter tantum, ai sensi dell'
art. 34 del c.p.c., il compimento ad opera ovvero in danno di un magistrato di un fatto avente rilevanza penale.
Per quanto concerne l’ambito applicativo del termine “
magistrati” usato nella norma, in mancanza di esplicita definizione legale, si ritiene necessario fare riferimento agli artt. 102-110 Cost., dalla lettura dei quali si desume che la disposizione in commento deve ritenersi applicabile non soltanto ai magistrati togati, ma anche a quelli onorari (tra i quali vanno annoverati anche gli esperti delle sezioni specializzate agrarie, di cui all’ art. 2, Lelle n. 320 del 02.03.1963, e i giudici onorari aggregati, di cui all’art. 1 della Legge n. 276 del 22.07.1997).
E’ stato in giurisprudenza precisato che dall'applicabilità dell'art. 11 c.p.p. rimangono esclusi soltanto i giudici popolari di Corte d'assise e di Corte d'assise d'appello, i quali, essendo designati per sorteggio, espletano un incarico meramente provvisorio, espressione del solo principio di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia, ex
art. 102 Cost., ult. co., e non di quell'ausilio istituzionale di cui al secondo comma dell'
art. 106 Cost..
In particolare, è stato chiarito che ciò a cui occorre fare riferimento è la stabilità dell'incarico assunto dal magistrato onorario, ovvero la continuatività riconosciuta formalmente per un arco temporale significativo.
L'esistenza di tale formale e continuativo incarico appare sufficiente a radicare istituzionalmente il magistrato onorario nel plesso territoriale di riferimento, e a determinare, in relazione in particolare all'esigenza di tutela dell'immagine pubblica della neutralità della giustizia, quella situazione potenzialmente idonea a ledere il principio di imparzialità del giudice e che giustifica la competenza derogatoria.
E’ stato poi precisato che la disposizione in commento deve ritenersi applicabile, ex
art. 107 Cost. comma 3 e art. 2 ord. giud., anche in relazione alle cause in cui sia parte un magistrato che svolga le funzioni di
pubblico ministero e che, per la sua applicazione, non assume alcuna rilevanza la circostanza che parte sia un magistrato appartenente ad un ordine giudiziario diverso da quello ordinario (ad esempio, amministrativo, contabile o tributario).
Altro presupposto richiesto per l’applicazione di questa norma è che il magistrato interessato acquisti la qualità formale di “parte in senso processuale” (è, dunque, indispensabile che il magistrato nel giudizio sia
attore,
convenuto o interveniente).
Si è così esclusa l'applicabilità della norma
de qua nelle seguenti particolari ipotesi:
-
qualora il magistrato sia soltanto indirettamente interessato alla causa per esserne parte il coniuge;
-
in tutte quelle ipotesi in cui rivesta la posizione di parte in senso sostanziale;
-
nel caso del procedimento di ricusazione di cui agli artt. 52-54 c.p.c. (ha chiarito a tal proposito la Corte Cost, con sentenza n. 78 del 21.03.2002, che il giudizio incidentale sulla ricusazione non può assimilarsi a un processo in cui siano parti, da un lato, il ricusante e dall'altro il magistrato ricusato).
La disposizione in commento, invece, trova applicazione anche in caso di fori facoltativi (allorchè l'attore eserciti l'opzione di rivolgersi al giudice in relazione al quale, in forza dell'art. 30 bis c.p.c., sussistano i presupposti per lo spostamento di competenza), ma soltanto in relazione ai gradi di merito e non a quello di legittimità, e ciò in considerazione dell’unicità della Corte di Cassazione.
Il secondo comma della norma introduce un'espressa deroga al principio della c.d.
perpetuatio iurisditionis ac competentiae di cui all'
art. 5 del c.p.c.; infatti, normalmente sarebbe irrilevante, per essere una modificazione dello stato di fatto successiva alla proposizione della domanda, la circostanza che il magistrato-parte si trovi ad esercitare le proprie funzioni presso uno degli uffici giudiziari del distretto di Corte d'appello presso cui è stata radicata la causa,.
Tuttavia, è unanime in dottrina l'opinione secondo cui, in deroga alla previsione di cui all'
art. 38 del c.p.c., il rilievo o l'eccezione di
incompetenza sopravvenuta possono intervenire anche dopo la prima udienza di trattazione ex
art. 183 del c.p.c., ma, in ogni caso, nel primo atto o nella prima udienza seguenti al fatto sopravvenuto.
Qualora, pertanto, si verifichi tale evento, il giudice, ex
art. 44 del c.p.c., dovrà pronunciare con sentenza l'incompetenza sopravvenuta, indicando il giudice competente (individuato ai sensi del criterio di cui al 1° co.), davanti a cui la causa deve essere riassunta secondo la previsione dell'
art. 50 del c.p.c..
La competenza territoriale stabilita dall'art. 30 bis c.p.c., impone di derogare anche alle competenze inderogabili previste dall’
art. 28 del c.p.c..
Ha infatti affermato la giurisprudenza di legittimità che la competenza territoriale individuata dall'art. 30 bis è inderogabile sia perché compiutamente e specificamente determinata dalla legge, sia perché si pone come una competenza talmente forte da essere in grado di derogare qualsiasi altro foro altrimenti previsto dallo stesso codice processuale come inderogabile (tale posizione è stata confermata anche dalla Corte Cost. con sentenza n. 348 del 16.7.2002).
Corollario di quanto appena detto è che l'eventuale incompetenza, anche sopravvenuta, non è riservata all'
eccezione di parte, ma è rilevabile d'ufficio dal giudice.
Al fine di rendere effettiva la possibilità che il rilievo dell'incompetenza intervenga d'ufficio, la dottrina ha proposto, tra l’altro, di prevedere delle conseguenze disciplinari a carico del magistrato che ometta di dichiarare il proprio
status o in presenza di qualunque altro comportamento che conduca il processo a radicarsi dinanzi ad un giudice incompetente.