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Articolo 30 bis Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Foro per le cause in cui sono parti i magistrati

Dispositivo dell'art. 30 bis Codice di procedura civile

Le cause in cui sono comunque parti magistrati, che secondo le norme del presente capo sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale.

Se nel distretto determinato ai sensi del primo comma il magistrato è venuto ad esercitare le proprie funzioni successivamente alla sua chiamata in giudizio, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d'appello individuato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale con riferimento alla nuova destinazione.

Ratio Legis

L'intento del legislatore è stato quello di evitare che il magistrato possa essere giudicato da un altro magistrato operante nello stesso distretto di Corte d'appello, con il rischio di pregiudicare le esigenze di imparzialità, trasparenza e serenità dell'organo giudicante.

Spiegazione dell'art. 30 bis Codice di procedura civile

La norma in esame è stata introdotta dall'articolo 9 della L. n. 420 del 1998 e si applica a ciò che è accaduto successivamente all'entrata in vigore della citata legge.
Lo scopo di tale novella è stato quello di dare applicazione concreta al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione, principio sancito dalla nostra Costituzione in relazione a qualunque tipo di processo.

A breve distanza dalla sua entrata in vigore, essa è stata colpita da una prima dichiarazione d'illegittimità costituzionale parziale.
In particolare, il giudice delle leggi, con sentenza n. 444 del 12.11.2002, l’ha dichiarata incostituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost. e dell'art. 24 Cost., nella parte in cui si applica ai processi di esecuzione forzata promossi da o contro magistrati in servizio nel distretto di Corte d'appello comprendente l'ufficio giudiziario competente ai sensi dell'art. 26 del c.p.c..
Con successiva sentenza n. 147 del 25.05.2004 la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma, ad eccezione della parte relativa alle azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all'art. 11 del c.p.p..

In definitiva, dunque, in forza di quest'ultima pronuncia della Corte Costituzionale, l'ambito di applicabilità dell'art. 30 bis c.p.c. ha finito con l'essere limitato esclusivamente alle cause in cui sia richiesto al giudice civile di accertare incidenter tantum, ai sensi dell'art. 34 del c.p.c., il compimento ad opera ovvero in danno di un magistrato di un fatto avente rilevanza penale.

Per quanto concerne l’ambito applicativo del termine “magistrati” usato nella norma, in mancanza di esplicita definizione legale, si ritiene necessario fare riferimento agli artt. 102-110 Cost., dalla lettura dei quali si desume che la disposizione in commento deve ritenersi applicabile non soltanto ai magistrati togati, ma anche a quelli onorari (tra i quali vanno annoverati anche gli esperti delle sezioni specializzate agrarie, di cui all’ art. 2, Lelle n. 320 del 02.03.1963, e i giudici onorari aggregati, di cui all’art. 1 della Legge n. 276 del 22.07.1997).

E’ stato in giurisprudenza precisato che dall'applicabilità dell'art. 11 c.p.p. rimangono esclusi soltanto i giudici popolari di Corte d'assise e di Corte d'assise d'appello, i quali, essendo designati per sorteggio, espletano un incarico meramente provvisorio, espressione del solo principio di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia, ex art. 102 Cost., ult. co., e non di quell'ausilio istituzionale di cui al secondo comma dell'art. 106 Cost..
In particolare, è stato chiarito che ciò a cui occorre fare riferimento è la stabilità dell'incarico assunto dal magistrato onorario, ovvero la continuatività riconosciuta formalmente per un arco temporale significativo.
L'esistenza di tale formale e continuativo incarico appare sufficiente a radicare istituzionalmente il magistrato onorario nel plesso territoriale di riferimento, e a determinare, in relazione in particolare all'esigenza di tutela dell'immagine pubblica della neutralità della giustizia, quella situazione potenzialmente idonea a ledere il principio di imparzialità del giudice e che giustifica la competenza derogatoria.

E’ stato poi precisato che la disposizione in commento deve ritenersi applicabile, ex art. 107 Cost. comma 3 e art. 2 ord. giud., anche in relazione alle cause in cui sia parte un magistrato che svolga le funzioni di pubblico ministero e che, per la sua applicazione, non assume alcuna rilevanza la circostanza che parte sia un magistrato appartenente ad un ordine giudiziario diverso da quello ordinario (ad esempio, amministrativo, contabile o tributario).

Altro presupposto richiesto per l’applicazione di questa norma è che il magistrato interessato acquisti la qualità formale di “parte in senso processuale” (è, dunque, indispensabile che il magistrato nel giudizio sia attore, convenuto o interveniente).
Si è così esclusa l'applicabilità della norma de qua nelle seguenti particolari ipotesi:
  1. qualora il magistrato sia soltanto indirettamente interessato alla causa per esserne parte il coniuge;
  2. in tutte quelle ipotesi in cui rivesta la posizione di parte in senso sostanziale;
  3. nel caso del procedimento di ricusazione di cui agli artt. 52-54 c.p.c. (ha chiarito a tal proposito la Corte Cost, con sentenza n. 78 del 21.03.2002, che il giudizio incidentale sulla ricusazione non può assimilarsi a un processo in cui siano parti, da un lato, il ricusante e dall'altro il magistrato ricusato).

La disposizione in commento, invece, trova applicazione anche in caso di fori facoltativi (allorchè l'attore eserciti l'opzione di rivolgersi al giudice in relazione al quale, in forza dell'art. 30 bis c.p.c., sussistano i presupposti per lo spostamento di competenza), ma soltanto in relazione ai gradi di merito e non a quello di legittimità, e ciò in considerazione dell’unicità della Corte di Cassazione.

Il secondo comma della norma introduce un'espressa deroga al principio della c.d. perpetuatio iurisditionis ac competentiae di cui all'art. 5 del c.p.c.; infatti, normalmente sarebbe irrilevante, per essere una modificazione dello stato di fatto successiva alla proposizione della domanda, la circostanza che il magistrato-parte si trovi ad esercitare le proprie funzioni presso uno degli uffici giudiziari del distretto di Corte d'appello presso cui è stata radicata la causa,.
Tuttavia, è unanime in dottrina l'opinione secondo cui, in deroga alla previsione di cui all'art. 38 del c.p.c., il rilievo o l'eccezione di incompetenza sopravvenuta possono intervenire anche dopo la prima udienza di trattazione ex art. 183 del c.p.c., ma, in ogni caso, nel primo atto o nella prima udienza seguenti al fatto sopravvenuto.

Qualora, pertanto, si verifichi tale evento, il giudice, ex art. 44 del c.p.c., dovrà pronunciare con sentenza l'incompetenza sopravvenuta, indicando il giudice competente (individuato ai sensi del criterio di cui al 1° co.), davanti a cui la causa deve essere riassunta secondo la previsione dell'art. 50 del c.p.c..

La competenza territoriale stabilita dall'art. 30 bis c.p.c., impone di derogare anche alle competenze inderogabili previste dall’art. 28 del c.p.c..
Ha infatti affermato la giurisprudenza di legittimità che la competenza territoriale individuata dall'art. 30 bis è inderogabile sia perché compiutamente e specificamente determinata dalla legge, sia perché si pone come una competenza talmente forte da essere in grado di derogare qualsiasi altro foro altrimenti previsto dallo stesso codice processuale come inderogabile (tale posizione è stata confermata anche dalla Corte Cost. con sentenza n. 348 del 16.7.2002).
Corollario di quanto appena detto è che l'eventuale incompetenza, anche sopravvenuta, non è riservata all'eccezione di parte, ma è rilevabile d'ufficio dal giudice.
Al fine di rendere effettiva la possibilità che il rilievo dell'incompetenza intervenga d'ufficio, la dottrina ha proposto, tra l’altro, di prevedere delle conseguenze disciplinari a carico del magistrato che ometta di dichiarare il proprio status o in presenza di qualunque altro comportamento che conduca il processo a radicarsi dinanzi ad un giudice incompetente.

Massime relative all'art. 30 bis Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 16382/2011

A norma dell'art. 30 bis c.p.c., nel testo risultante dalla sentenza n. 147 del 2004 della Corte costituzionale, le azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, delle quali - indipendentemente dal fatto che un procedimento penale sia stato iniziato - sia parte un magistrato, nei termini dettati dall'art. 11 c.p.p. (per cui, secondo le norme del relativo capo, sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni), sono di competenza del giudice ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello determinato ai sensi del citato art. 11.

In tema di foro per le cause in cui sono parti i magistrati, ove sia stato adito un giudice competente secondo le regole ordinarie e in violazione dell'art. 30 bis, primo comma, c.p.c. (come, nella specie), il giudice competente, dinanzi al quale deve farsi la rimessione della causa, va determinato, in deroga all'art. 5 c.p.c., non già in base al luogo di servizio del magistrato al momento della proposizione della domanda, bensì in ragione di quello sopravvenuto sino al momento della decisione.

Cass. civ. n. 4185/2010

A norma dell'art. 30 bis c.p.c. - nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 147 del 2004 - ove la controversia in cui è parte un magistrato abbia origine da un fatto illecito costituente reato ed il danneggiato scelga il criterio di collegamento costituito dal "locus commissi delicti", lo stato di fatto rilevante per il radicamento della competenza per territorio va rapportato al momento in cui l'obbligazione è sorta, e non a quello di proposizione della domanda; ne consegue che lo spostamento di competenza in favore del giudice individuato ai sensi dell'art. 11 c.p.p. si determina a condizione che il magistrato prestasse servizio, al momento dell'insorgere dell'obbligazione, nel distretto di corte d'appello nel quale si colloca il "locus commissi delicti", non assumendo rilievo il fatto che il medesimo sia stato "medio tempore" trasferito ad altra sede.

Cass. civ. n. 27666/2009

In tema di foro per le cause di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, in relazione alla disciplina recata dall'art. 4 della L. 13 aprile 1988, n. 117 - per cui la competenza su dette controversie è del tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 cod. proc. pen. e dell'art. 1 disp. att. trans. cod. proc. pen. - trova applicazione, in via di interpretazione sistematica, la regola, dettata in materia di foro per le cause in cui sono parti i magistrati, posta dall'art. 30 bis, secondo comma, c.p.c. - derogatoria della disciplina normale sulla cd. "perpetuatio" della competenza prevista dall'art. 5 c.p.c. e volta ad assicurare, anche all'apparenza, il massimo grado di imparzialità della giurisdizione - per cui la "potestas iudicandi" dell'ufficio giudiziario adito originariamente in primo grado, ma anche di quello adito in sede di impugnazione di merito (sia essa l'appello o la revocazione o, ancora, l'opposizione di terzo), viene meno se il magistrato, del cui operato si discuta, sia esso intervenuto o meno nel giudizio, viene ad esercitare le funzioni nel distretto in cui si situa l'ufficio di merito che in quel momento tratta il processo. Ne consegue, quanto al momento di rilevazione di siffatto sopravvenuto svolgimento delle funzioni nel distretto da parte del magistrato, che, ove tale mutamento di fatto si verifichi nel corso del giudizio, sia di primo grado che di impugnazione di merito, troverà applicazione la regola posta dall'art. 157, secondo comma, c.p.c., per cui l'anzidetta situazione dovrà essere rilevata d'ufficio oppure eccepita dalla parte nella prima istanza o difesa successiva alla notizia del trasferimento del magistrato nel distretto; ove, invece, la medesima sopravvenienza di fatto si verifichi nella pendenza del termine per l'impugnazione, troverà applicazione l'art. 38 c.p.c., sicché soltanto nel caso di pertinente e tempestiva eccezione di parte o rilevazione d'ufficio nella prima udienza di trattazione del giudizio di impugnazione si dovrà disporre la "translatio" del processo al diverso giudice individuato in base alle regole dell'art. 11 cod. proc. pen.

Cass. civ. n. 14761/2009

L'art. 30 bis c.p.c., che regola la competenza nei procedimenti in cui siano parte i magistrati, a garanzia della terzietà ed indipendenza dell'esercizio della funzione giudiziaria, trova applicazione soltanto nei casi in cui, in base alle regole generali, la competenza spetterebbe ad un giudice appartenente al distretto nel quale il magistrato esercita le sue funzioni. Pertanto, nei casi previsti dall'art. 20 c.p.c., l'attore è libero di esercitare l'opzione tra il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione, mentre il meccanismo di garanzia previsto dall'art. 30 bis citato opera, eventualmente, soltanto qualora, in relazione al giudice adito in base a detta norma, sussistano i presupposti per lo spostamento di competenza. (Principio affermato dalla S.C. in materia di risarcimento del danno extracontrattuale per lesione del diritto alla reputazione conseguente alla pubblicazione di un articolo su stampa periodica).

Cass. civ. n. 19054/2006

Per effetto della sentenza della Corte costituzionale 25 marzo 2004, n. 147, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 30 bis, primo comma, c.p.c., lo spostamento della competenza dei giudizi civili in cui sia parte un magistrato è configurabile solo nell'ipotesi di danno causato da reato (fattispecie di lesioni colpose da incidente stradale in cui il magistrato non era il conducente dell'autovettura investitrice).

Cass. civ. n. 2672/2004

La competenza nelle cause di cui siano parti i magistrati, individuata a norma dell'art. 30 bis del codice di rito, si configura come competenza territoriale inderogabile, senza, peraltro, che il rilievo o l'eccezione di incompetenza possano intervenire in ogni stato e grado del giudizio, in quanto anche nell'ipotesi di incompetenza ex art. 30 bis citato trova applicazione la disciplina generale di cui all'art. 38 c.p.c., con la conseguenza che l'incompetenza territoriale, anche nei casi previsti dall'art. 28 c.p.c., può essere rilevata o eccepita non oltre la prima udienza di trattazione.

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