Lo scopo che il
legislatore si è prefisso di perseguire con questa norma è quello di evitare che il
consumatore possa ritenersi costretto ad acquistare beni o servizi non desiderati nell’ erroneo convincimento di esservi giuridicamente tenuto per il solo fatto di averli ricevuti ovvero di non averli restituiti (si fa riferimento alla vendita per inerzia o c.d.
inertia selling, consistente, appunto, nella fornitura al consumatore di beni o servizi non richiesti).
Per configurarsi una “
fornitura non richiesta” occorre che la
prestazione effettuata dal
professionista:
1. abbia ad oggetto una
datio (consegna di beni mobili) o un
facere (erogazione di un servizio) suscettibili di valutazione patrimoniale;
2. non sia giuridicamente dovuta, ovvero non deve essere stata effettuata in
adempimento di una preesistente
obbligazione;
3. non deve essere stata preventivamente richiesta dal consumatore;
4. deve essere stata eseguita al fine di indurre il consumatore ad accettare la conclusione di un contratto ovvero di indurlo a considerarsi comunque obbligato ad erogare una
controprestazione, anche in caso di mancato perfezionamento del contratto.
Non occorre che la prestazione sia imprescindibilmente accompagnata da una proposta contrattuale rivolta al destinatario, ben potendo la fornitura sostanziarsi in un mero invito ad offrire, ovvero a provocare la formulazione di una
proposta contrattuale da parte del destinatario.
Il testo della norma non pone in capo al professionista alcun divieto esplicito di effettuare una fornitura non richiesta; ad essere vietata, infatti, non è la fornitura non richiesta in sé e per sé, ma la richiesta di pagamento o di qualsiasi altra prestazione corrispettiva in conseguenza di quella fornitura, nonché la pretesa di ottenere la custodia o la restituzione di ciò che ne costituisce l’oggetto, in quest’ultimo senso potendosi argomentare dal comma 1 lett.f) dell’
art. 26 del codice consumo.
La richiesta di pagamento o di altra prestazione corrispettiva che, per il combinato disposto della norma in esame e dell’art. 26 comma 1, lett. f), rende illecita la fornitura non richiesta di beni o di servizi, deve essere intesa in senso atecnico, dovendosi in tale concetto comprendere anche una richiesta di
rimborso di spese di invio o di
spedizione o di qualunque altro contributo.
Secondo un autorevole orientamento dottrinario, la “
mancata risposta” del consumatore non può considerarsi come equivalente di “
silenzio”, tenuto conto che quest’ultimo termine viene solitamente adoperato per indicare l’assenza di qualunque condotta potenzialmente suscettibile di essere intesa come manifestazione di volontà negoziale; nella nozione di “
risposta”, invece, si prestano ad essere ricompresi soltanto comportamenti posti in essere al preciso scopo di comunicare, di rendere noti i propri intendimenti ad un soggetto che abbia precedentemente formulato una “
domanda”.
La condotta del professionista che effettua la fornitura non richiesta sottintende, in effetti, una domanda del seguente tenore “
accetti di acquistare il bene che ti ho consegnato o il servizio che ti ho fornito/iniziato a fornire e conseguentemente di obbligarti a pagarne il prezzo?”, dal che deve desumersi che il consumatore fornisca una “risposta” al professionista solo se ed in quanto manifesti la propria volontà di accettare o rifiutare l’offerta contrattuale che gli è stata rivolta con una dichiarazione espressa indirizzata al proponente, ovvero con un comportamento che dimostri in modo chiaro e inequivoco il suo intento di tenere o non tenere per sé la prestazione ricevuta (potrebbe essere tale, ad esempio, il versamento della somma di denaro richiesta come corrispettivo, ovvero la rispedizione della merce consegnata).
Secondo tale ricostruzione, dunque, si ha “
mancata risposta” del consumatore non soltanto quando lo stesso si astenga dal porre in essere qualsivoglia comportamento potenzialmente idoneo ad assumere rilevanza giuridica (ovvero in caso di “silenzio” in senso proprio), ma anche allorchè il consumatore tenga comportamenti non suscettibili di essere considerati come “
risposte” alla “domanda” che il professionista gli rivolge fornendogli beni o servizi non richiesti.
Occorre poi precisare che la “mancata risposta” del consumatore deve essere intesa anche nel senso che lo stesso può rimanere del tutto inerte, senza per questo subire alcuna conseguenza pregiudizievole per il suo comportamento; ciò significa che andrebbe negata la sussistenza, in campo al medesimo, di obblighi di conservazione o custodia, così come di restituzione, dei beni consegnatigli dal professionista.
A quest’ultimo proposito parte della dottrina ha rilevato che la norma in esame non può ritenersi idonea a paralizzare l’azione di rivendica che dovese essere eventualmente esperita dal professionista nei confronti del consumatore, argomentando dalla circostanza che il primo non perde comunque la
proprietà della
res che sia stata oggetto di fornitura non richiesta, dovendosi escludere un trasferimento automatico
ex lege ed a titolo gratuito in favore del consumatore della proprietà dei beni consegnati senza essere stato previamente ordinati.
Può talvolta accadere che la fornitura di un servizio avvenga gratuitamente, ma siano a pagamento o abbiano dei costi le modalità di accesso al servizio attraverso l’uso della tecnica di comunicazione.
L’ipotesi più comune è quella della fornitura di servizi di segreteria telefonica effettuata dal gestore telefonico a favore della clientela; tale servizio è gratuito, mentre l’accesso al servizio stesso prevede un pagamento da parte del consumatore come è a pagamento il deposito da parte dell’eventuale chiamante del messaggio in segreteria (quindi il gestore telefonico, a fronte di una fornitura non richiesta ma gratuita, incasserà un doppio pagamento).
Per quanto concerne l’ invio di merce in visione, la stessa è stata ritenuta lecita se vi è stato il consenso preventivo del consumatore, anche se formalmente non manifestato a mezzo di una preventiva ordinazione (in questo caso il consenso riguarda la fornitura “
in visione” e non per la conclusione del
contratto a prestazioni corrispettive).
Si fa rilevare, infatti, che l’invio della merce in visione può essere utile al consumatore per consentirgli di decidere se procedere o meno all’acquisto e non sembra porsi in contrasto con la
ratio stesa della norma; affinché si possa perfezionare il contratto di acquisto in ordine alla fornitura di merce dello stesso tipo di quella avuta in visione, occorre un’ulteriore manifestazione espressa della volontà negoziale del consumatore, non potendo ritenersi sufficiente, ai fini del perfezionamento contrattuale, la conservazione o la mancata restituzione del bene, salvi gli obblighi di restituzione che, in tal caso, possono farsi derivare dalla circostanza che è il consumatore medesimo ad aver richiesto la merce in visione.
Si ritengono poi consentite, e dunque non rientrano nel campo di applicazione della norma in esame, le forniture di beni o di servizi a titolo promozionale, anche non precedute da richieste da parte del consumatore, purché non prevedano richieste di pagamento, di restituzione o di
conservazione; sono anche consentiti invii di
gadget, omaggi e campioni, sempre che la loro fornitura avvenga senza alcuna richiesta di pagamento, immediato o differito.
A tal proposito si ricorda che l’art. 18, comma 2 del D.lgs. n. 114/1998 (contenente la disciplina relativa al settore del commercio), prevede l’espresso divieto di “
inviare prodotti al consumatore se non a seguito di specifica richiesta”, precisandosi, tuttavia, che è “
consentito l’invio di campioni di prodotti o di omaggi, senza spese o vincoli per il consumatore”.