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Articolo 1023 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Ambito della famiglia

Dispositivo dell'art. 1023 Codice Civile

Nella famiglia si comprendono anche i figli nati dopo che è cominciato il diritto d'uso o d'abitazione, quantunque nel tempo in cui il diritto è sorto la persona non avesse contratto matrimonio. Si comprendono inoltre i figli adottivi [291 ss.] e i figli riconosciuti(1), anche se l'adozione o il riconoscimento sono seguiti dopo che il diritto era già sorto(2). Si comprendono infine le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi(3) [153].

Note

(1) L'art. 77 della l. 4 maggio 1983, n. 184, ha abrogato l'istituto dell'affiliazione, disciplinato dagli artt. 404-413 del codice civile.
(2) Fanno parte dell'ambito familiare i genitori, i fratelli e gli affini, ai quali l'usuario o l'habitator deve gli alimenti (v. art. 433 del c.c.), nonché il convivente more uxorio (ossia colui che, pur non legato da un vincolo matrimoniale giuridicamente riconosciuto è assimilabile al coniuge per la comunione di vita e di affetti che ha stabilito col compagno).
(3) La dottrina qualifica come prestatori di servizi, conviventi col titolare del diritto d'abitazione, anche coloro che, senza essere legati al titolare da un rapporto di subordinazione, hanno la funzione di tenere compagnia all'habitator o gli forniscono assistenza (ad es., la badante di un anziano).

Spiegazione dell'art. 1023 Codice Civile

Estensione del concetto di famiglia

Poichè, come si è visto, per la determinazione del limite del godimento bisogna aver riguardo non solo ai bisogni del titolare ma anche a quelli della sua famiglia, sorge il problema di individuare l'ambito della famiglia.

Il vecchio codice si limitava a stabilire che nella famiglia si dovranno comprendere anche i figli nati dopo la costituzione del diritto, quantunque a tale momento il titolare non avesse ancora contratto matrimonio (art. 523), il che dava adito a dubbi sulla composizione della famiglia, dato che manca nella legge un concetto univoco di famiglia.

Il nuovo codice ha risolto alcune questioni aggiungendo la disposizione per la quale si considerano far parte della famiglia i figli adottivi, i figli naturali riconosciuti (si escludono quindi quelli non riconosciuti, a fortiori quelli non riconoscibili), gli affiliati, ancorchè l'adozione, il riconoscimento e l'affiliazione siano posteriori alla costituzione dell'uso e dell'abitazione. Si comprendono pure nella famiglia le persone che convivono col titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi (es. domestici).

S'intende però che il presupposto della convivenza col titolare del diritto deve anche sussistere per i figli e per gli affiliati.

Ma l'art. 1023 non esaurisce tutte le categorie di persone che possono considerarsi componenti della famiglia. Non v’è dubbio, infatti, che in essa si comprendano, oltre il coniuge, i genitori del titolare che convivano con lui e probabilmente anche i fratelli.

Si deve infine avvertire che la condizione della convivenza se è necessaria è anche sufficiente al fine di stabilire l'appartenenza alla famiglia delle persone sopraindicate. Non occorre cioè che esse siano conviventi a carico del titolare del diritto di uso e di abitazione. Nel silenzio della legge questa condizione non si può considerare richiesta, tanto più che una proposta in senso contrario formulata dalla Commissione delle Assemblee Legislative non è stata accolta nella elaborazione del testo definitivo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1023 Codice Civile

Cass. civ. n. 14687/2014

In tema di diritto di abitazione, il limite sancito dall'art. 1022 cod. civ. riguardo ai bisogni del titolare e della sua famiglia non deve essere inteso in senso quantitativo, che imporrebbe l'ardua determinazione della parte di casa necessaria a soddisfare tali bisogni, ma solo come divieto di utilizzo della casa in altro modo che per l'abitazione diretta dell'"habitator" e dei suoi familiari.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1023 Codice Civile

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Nino D. S. chiede
sabato 06/06/2015 - Abruzzo
“In un paesino di 1800 anime, nel 2008 i miei genitori mi hanno donato la loro casa nella quale hanno sempre vissuto e continuato a viverci, adesso continua a viverci mia madre, mio padre e' deceduto, in sostanza la loro casa di sempre, me lo hanno donata per l'intera proprieta' senza riserva alcuna ne usufrutto, ne altri diritti, nell'atto notarile non viene segnalato nulla, ma solo "donazione intera proprieta". La mia domanda e' la seguente:" chi deve pagare l'imu? mia madre come prima casa oppure io come seconda casa?" vorrei precisare che in questa casa risiede solo mia madre, (da sempre), io risiedo altrove e non in casa di mia proprieta'. Ho sentito parlare di questo benedetto diritto reale di abitazione, ma mi sono reso conto che la confusione e' tanta, chi mi dice una cosa e chi il contrario. Chiedo se per cortesia mi aiutate a capirci, ad avere un po' di chiarezza. Grazie infinite.”
Consulenza legale i 11/06/2015
L'IMU non è dovuta sugli immobili adibiti ad abitazione principale del soggetto passivo o ad essa equiparati, ad eccezione di quelli classificate nelle categorie catastali A1, A8 e A9 che rimangono soggette all'imposta.

Nel caso di specie, il figlio, proprietario di un unico immobile ma che non dimora e non risiede anagraficamente all'interno di esso, è il soggetto passivo dell'imposta e quindi deve pagare l'IMU, poiché non gode dell'esenzione di legge, abitando altrove.

Come accennato nel quesito, è possibile costituire a favore di un altro soggetto il diritto reale di abitazione nell'immobile, rendendo così questa persona soggetto passivo dell'imposta (nel nostro caso, la madre, che in quanto dimorante nell'immobile, sarebbe esentata dal pagamento dell'IMU).

Nessun problema se il diritto di abitazione viene costituito mediante rogito notarile che sia poi trascritto ex art. 2643 c.c.: tale diritto diventa certamente opponibile all'Agenzia delle Entrate e ai Comuni.

La questione che tutt'oggi rimane irrisolta concerne la sufficienza di una scrittura privata autenticata, esclusivamente registrata (che ha costi notevolmente inferiori), a costituire validamente un diritto di abitazione su un immobile ai fini del pagamento come prima casa dell'IMU, in quanto molti comuni sembrano richiedere l'atto pubblico e la trascrizione, ritenendo altrimenti il diritto di abitazione a loro non opponibile.

Ciò, però, contrasta con i principi civilistici, in base ai quali la trascrizione ex art. 2643 c.c. ha un solo scopo di pubblicità dichiarativa, atta a dirimere i conflitti tra più acquirenti dello stesso bene.
In effetti, su un piano meramente giuridico, non sembra fondato il ragionamento relativo all'equiparazione della posizione del comune con quello di un "terzo" cui è opponibile la trascrizione. La costituzione del diritto reale di abitazione è soggetta - da parte del codice civile - al solo onere della forma scritta (art. 1350 del c.c.), che è ben soddisfatta anche da una semplice scrittura privata (registrata al fine di attribuirle la data certa). Tale principio è innegabile. Dovrebbe, quindi, esistere una norma che imponga, ai fini IMU, anche la trascrizione dell'atto, perché a quel punto la volontà del legislatore imporrebbe un ulteriore requisito in deroga alla disciplina generale. Tuttavia, una siffatta norma ad oggi non sembra esistere, giacché il primo comma dell'art. 9 del d.lgs. 23/2011 stabilisce semplicemente, senza altro aggiungere, che "Soggetti passivi dell'imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, [...] ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi".

Non esistendo ancora alcuna posizione ufficiale dell'Agenzia delle Entrate o del Territorio, né posizioni giurisprudenziali nette o indicazioni ministeriali, ogni comune interpreta la questione a modo proprio.
Ad esempio, il Comune di Roma ha accolto la tesi della necessità della trascrizione (v. interpello N. 1-2014 - Costituzione del diritto di abitazione - IMU: "Roma capitale riconosce la traslazione della soggettività passiva dal proprietario al titolare del diritto di abitazione solo nei casi in cui l’atto costitutivo del diritto reale minore sia stato trascritto nei pubblici registri immobiliari").

Si consiglia di chiedere al comune dove è situato l'immobile quale è la prassi adottata dall'ente.