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Articolo 958 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Durata

Dispositivo dell'art. 958 Codice Civile

L'enfiteusi può essere perpetua o a tempo.

L'enfiteusi temporanea non può essere costituita per una durata inferiore ai venti anni [957 comma 2](1)(2).

Note

(1) Se non è previsto alcun termine, l'enfiteusi si presume perpetua.
(2) Il tempo di venti anni previsto lascia supporre che questo fosse il periodo minimo necessario al fine di permettere all'enfiteuta di eseguire i miglioramenti.

Spiegazione dell'art. 958 Codice Civile

Enfiteusi perpetua ed enfiteusi temporanea

Come nel codice del 1865 (art. 1556), l’enfiteusi può essere perpetua o temporanea. L'enfiteusi perpetua, analogamente a quanto si aveva nel diritto romano, è quella che fu concessa all'enfiteuta per una durata indefinita; ogni altra è temporanea. Il modo di regolare questo termine e quello di indicarlo sono lasciati dalla legge alla volontà dei contraenti.


Termine minimo di durata dell'enfiteusi temporanea

A differenza, però, del vecchio codice, quale non stabiliva alcun termine minimo di durata dell'enfiteusi temporanea, nuovo codice precisa che questa non può essere costituita per una durata inferiore ai venti anni.

La Commissione reale per la riforma dei codici, pur rendendosi conto della imprescindibile necessità di fissare un termine minimo per la durata, aveva proposto dieci anni, ma si è finito col fissare il termine. minimo di venti anni, perchè un'enfiteusi con durata inferiore a questa non risponderebbe alle finalità economiche e sociali per cui tale istituto è ammesso dalla legge.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

447 Nel dettare nel quarto titolo del libro la disciplina dell'enfiteusi, ho corretto la meno propria sistemazione del codice del 1865, che, considerando l'enfiteusi soltanto dal punto di vista della sua fonte normale, ma non unica, la collocava tra i contratti. La disciplina che l'istituto riceveva nel codice precedente era informata ad aperto disfavore, determinato in parte da qualche degenerazione che l'istituto stesso aveva subito permeandosi nel diritto intermedio di elementi feudali, in parte dall'influenza della rivoluzione francese, che, ravvisando in esso un residuo del feudalismo, condusse a bandirlo dal codice napoleonico. Dominato dal principio che la libera commerciabilità dei fondi non dovesse trovare nella legge alcun ostacolo, il codice del 1865, senza riguardo alla funzione sociale dell'istituto e agli interessi del concedente, conferì all'enfiteuta illimitata libertà di alienazione del fondo e, parimenti senza alcun limite, gli riconobbe il diritto di affrancazione. Spento l'interesse dei proprietari a costituirle, ben rare furono le enfiteusi stipulate sotto l'impero del codice anteriore. Nel rielaborare la disciplina dell'istituto, pur conservandone i lineamenti essenziali, ho introdotto talune profonde innovazioni al fine di renderlo meglio idoneo ad attuare la funzione, di cui apparisce ancora capace, del miglioramento dei fondi o dell'incremento della produzione nazionale. Come nel codice del 1865 (art. 1556), l'enfiteusi può essere perpetua o temporanea. A differenza però del codice precedente, che non fissava alcun termine minimo di durata dell'enfiteusi temporanea, l'art. 958 del c.c. stabilisce che questa non può essere costituita per una durata inferiore ai venti anni. Ho ritenuto necessario fissare il detto termine, perché un'enfiteusi meno duratura non risponderebbe alle finalità economiche e sociali dell'istituto. Salvo che il titolo disponga altrimenti, l'enfiteusi è regolata dalle disposizioni di legge; alcune di queste hanno però carattere inderogabile. Tali sono quelle che attengono al termine minimo di durata, alla ripartizione degli obblighi nel caso in cui il fondo sia diviso e goduto separatamente da più enfiteuti o eredi, alla revisione del canone, alla disponibilità del diritto enfiteutico, all'inammissibilità della subenfiteusi, all'esercizio del diritto di affrancazione, all'inammissibilità, entro certi limiti, della clausola risolutiva espressa (art. 957 del c.c.). L'inderogabilità è correlativa al carattere pubblico dell'interesse che le menzionate norme sono dirette a tutelare.

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