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Articolo 2093 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Imprese esercitate da enti pubblici

Dispositivo dell'art. 2093 Codice Civile

Le disposizioni di questo libro si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali.

Agli enti pubblici non inquadrati si applicano le disposizioni di questo libro, limitatamente alle imprese da essi esercitate [1229, 2201].

Sono salve le diverse disposizioni della legge [2221; 409 c.p.c.].

Ratio Legis

La tematica relativa agli enti pubblici economici ed alle imprese esercitate da enti pubblici, rientra in quella più ampia relativa all’impresa pubblica.

Spiegazione dell'art. 2093 Codice Civile

La bipartizione in enti pubblici inquadrati ed enti pubblici non inquadrati nelle categorie professionali risale all’abrogato ordinamento corporativo. Essa, peraltro, corrisponde alla distinzione tra enti pubblici esercenti in via esclusiva o principale un’attività d’impresa ed enti che esercitano l’attività d’impresa in via non principale: i primi sono gli enti pubblici economici, i secondi sono gli enti pubblici non economici.

La legislazione a partire dagli anni ’90 ha dato impulso ad un processo di privatizzazione degli enti pubblici economici, diretto a trasformare tali enti in s.p.a.. È il fenomeno della c.d. privatizzazione.

Gli enti titolari di imprese-organo sono implicitamente esonerati dall'iscrizione nel registro delle imprese, in quanto prevista solo per gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale (2201). Sono, inoltre, espressamente esonerati dalle procedura concorsuali (2221).

Gli enti pubblici che svolgono attività commerciale accessoria sono sottoposti allo statuto generale dell'imprenditore (ovvero la disciplina dell'azienda, della concorrenza, ecc...), nonché a tutte le restanti norme previste per gli imprenditori commerciali, tra cui l'obbligo di tenuta delle scritture contabili, per il quale manca un'espressa norma di esonero.

Gli enti pubblici economici sono gli enti che esercitano in modo esclusivo o prevalente l'attività imprenditoriale e tale attività deve essere un mezzo per realizzare un fine speculativo e non un fine pubblicistico.

Il rapporto di lavoro in tali enti ha natura privatistica. La giurisdizione spetta, infatti, al giudice ordinario.

Massime relative all'art. 2093 Codice Civile

Cass. civ. n. 2485/2021

L'art. 2093 c.c. non si applica alle attività che costituiscono espressione della potestà autoritativa di autorganizzazione degli enti pubblici economici (nella specie, l'ATER di cui alla l.r. Lazio n. 30 del 2002), con la conseguenza che la nomina del direttore generale dell'ente, avendo natura di provvedimento amministrativo, è suscettibile di annullamento d'ufficio ai sensi dell'art. 21-novies della l.n. 241 del 1990 ("ratione temporis" applicabile), annullamento che l'interessato ha l'onere di impugnare dinanzi al giudice amministrativo, dovendosene escludere la configurabilità alla stregua di recesso "ante tempus" dal contratto di lavoro.

Cass. civ. n. 5045/2008

Con riferimento al rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, l'art. 6, comma 1, del contratto collettivo nazionale quadro in materia di procedure di conciliazione e arbitrato del 23 gennaio 2001, che fa riferimento all'impugnabilità delle sanzioni disciplinari dinanzi all'arbitro unico, così come integrato dall'art. 1 dell'accordo di interpretazione autentica del 13 novembre, 2001, il quale limita tale facoltà del lavoratore al termine di 20 giorni dall'applicazione della sanzione, delinea un sistema in cui alla facoltà del lavoratore corrisponde una situazione di soggezione dell'Amministrazione nella scelta della controparte, nel mentre alla limitazione temporale per l'esercizio di tale facoltà fa riscontro l'integrale potere dell'Amministrazione di aderire o meno alla richiesta di arbitrato; conseguentemente, la richiesta di impugnazione dinanzi all'arbitro unico in base al contratto quadro, di sanzione disciplinare non risolutiva del rapporto, formulate oltre il predetto termine, non vincola l'Amministrazione; tuttavia, laddove quest'ultima, pur non avendone l'obbligo, abbia aderito esercitando i poteri del privato datore di lavoro conferitile dall'art. 5 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non può successivamente sollevare in alcun momento della procedura arbitrale l'eccezione di tardività per mancato rispetto del termine di 20 giorni, poiché ciò equivarrebbe ad una non più ammissibile revoca del consenso già prestato. (Cassa con rinvio, Trib. Bologna, 3 Febbraio 2004).

Cass. civ. n. 23739/2007

Nel rapporto di lavoro del personale dipendente dell'ente Ferrovie dello Stato", la materia della selezione per l'accesso alla dirigenza è disciplinata dalle regole fissate nell'Accordo sindacale del 21 giugno 1986, in forza del quale la nomina è effettuata sulla base di una procedura valutativa. In tal caso, ancorché la promozione non sia attuata attraverso concorso o selezione e con conclusiva graduatoria, bensì attraverso una scelta da effettuare sulla base di predeterminati criteri di valutazione, per il principio di correttezza e buona fede, il datore di lavoro ha l'onere di dare adeguata motivazione della scelta e dell'applicazione dei criteri indicati e ogni interessato, in quanto formalmente legittimato alla scelta, ha diritto di conoscere detta motivazione. Ne consegue che l'assenza di motivazione, in quanto inadempimento che non consente alcun pur esterno e formale controllo sull'applicazione dei criteri di scelta, costituisce inadempimento che è di per sé causa di danno sotto il profilo della perdita di chances, restando incerta la misura del danno, da determinare sulla base di un criterio probabilistico. (Rigetta, App. Napoli, 24 Giugno 2003).

Cass. civ. n. 21297/2006

Nel rapporto di lavoro del personale dipendente dell'ente Ferrovie dello Stato", la materia della selezione per l'accesso alla dirigenza è disciplinata dalle regole fissate nell'Accordo sindacale del 21 giugno 1986, in forza del quale la nomina è effettuata sulla base di una procedura valutativa. In tal caso, ancorché la promozione non sia attuata attraverso concorso o selezione e con conclusiva graduatoria, bensì attraverso una scelta da effettuare sulla base di predeterminati criteri di valutazione, per il principio di correttezza e buona fede, il datore di lavoro ha l'onere di dare adeguata motivazione della scelta e dell'applicazione dei criteri indicati e ogni interessato, in quanto formalmente legittimato alla scelta, ha diritto di conoscere detta motivazione. Ne consegue che l'assenza di motivazione, in quanto inadempimento che non consente alcun pur esterno e formale controllo sull'applicazione dei criteri di scelta, costituisce inadempimento che è di per sé causa di danno sotto il profilo della perdita di chances, restando incerta la misura del danno, da determinare sulla base di un criterio probabilistico. (Rigetta, App. Napoli, 24 Giugno 2003).

Cass. civ. n. 14852/2006

Le controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende municipalizzate, incluse quelle esercenti il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, in considerazione della natura privatistica del rapporto stesso con tali aziende, che integrano strutture con connotati di impresa, autonome rispetto all'organizzazione pubblicistica del Comune. Appartiene, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario anche la cognizione della domanda con cui un soggetto faccia valere (come nella specie) il suo diritto all'assunzione alle dipendenze di un'azienda municipalizzata, in virtù proprio della natura privatistica dell'attività svolta, anche con riferimento all'espletamento delle procedure concorsuali. (Dichiara giurisd. rimette sez.semplici, App. Roma, 11 Giugno 2002).

Cass. civ. n. 9049/2006

Il bando di concorso indetto, nell'ambito dei rapporti di lavoro regolati dal diritto privato, per l'assunzione, la promozione o il riconoscimento di determinati trattamenti o benefici a favore del personale all'esito di determinate procedure selettive, costituisce un'offerta contrattuale al pubblico (ovvero ad una determinata cerchia di destinatari potenzialmente interessati), caratterizzata dal fatto che l'individuazione del soggetto o dei soggetti, tra quelli che con l'iscrizione al concorso hanno manifestato la loro adesione e che devono ritenersi concretamente destinatari e beneficiari della proposta, avverrà per mezzo della stessa procedura concorsuale e secondo le regole per la medesima stabilite. Pertanto, il datore di lavoro è tenuto a comportarsi con correttezza e secondo buona fede, nell'attuazione del concorso, così come nell'adempimento di ogni obbligazione contrattuale, con individuazione della portata dei relativi obblighi correlata, in via principale, alle norme di legge sui contratti e sulle inerenti obbligazioni contrattuali e agli impegni assunti con l'indizione del concorso, con la conseguenza che, in caso di loro violazione, incorre in responsabilità contrattuale per inadempimento esponendosi al relativo risarcimento del danno in favore del lavoratore che abbia subito la lesione del suo diritto conseguente all'espletamento della procedura concorsuale. (Nella specie, la S.C., enunciando il riportato principio, ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza che aveva accolto il ricorso proposto da una dipendente della s.p.a. Poste Italiane che, malgrado fosse risultata vincitrice ed utilmente collocata nella graduatoria per avere diritto alla mobilità volontaria, non si era vista riconoscere il suo diritto dalla datrice di lavoro, che, se non era obbligata a trasferirla immediatamente, nel caso di impossibilità di sguarnire la sede di provenienza, aveva tuttavia l'obbligo di effettuare il suo trasferimento appena possibile, rispetto alle esigenze di copertura dell'organico della sede di destinazione, considerandosi, in ogni caso, la prevalenza della mobilità a domanda rispetto a quella per esigenze organizzative dell'azienda). (Rigetta, App. Ancona, 5 Marzo 2003).

Cass. civ. n. 5140/2005

Nell'interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, il criterio logico - sistematico di cui all'art. 1363 cod. civ. assume un particolare rilievo (ben più accentuato rispetto a quanto accade per i restanti contratti di diritto comune) in ragione delle particolari caratteristiche connotanti la contrattazione collettiva, anche se il criterio letterale di cui all'art. 1362 cod. civ. costituisce sempre il punto di partenza per una corretta interpretazione di ogni clausola contrattuale. Peraltro, in relazione alle procedure concorsuali per l'assunzione o la promozione del personale, rimane sottratta a qualsiasi controllo del giudice e lasciata al potere discrezionale del datore di lavoro la regolamentazione delle specifiche e concrete modalità di espletamento del concorso, con i limiti costituiti dal rispetto dei canoni di comportamento secondo correttezza e buona fede, e sempre che le determinazioni dell'imprenditore rispondano a criteri di adeguatezza e ragionevolezza. L'esercizio dei poteri datoriali non risulta pertanto legittimo se le singole prove concorsuali risultino prive di capacità di determinare una adeguata, obiettiva e razionale selezione dei candidati, o si svolgano con modalità diverse da quelle pubblicizzate o portate a conoscenza dei candidati con il bando di concorso, o siano valutate con criteri che finiscano per agevolare alcuni candidati a discapito di altri.

Cass. civ. n. 1240/2004

Il rapporto di lavoro dei dipendenti addetti ad un servizio pubblico di trasporto ha natura pubblicistica qualora il servizio stesso sia espletato dal Comune non già mediante la costituzione di un'azienda speciale, autonoma e distinta rispetto alla propria organizzazione pubblicistica, ma mediante gestione diretta in economia, sicché quei dipendenti vengano ad essere stabilmente inseriti nell'ambito di detta organizzazione. In tale ipotesi, alla stregua dell'art. 45, diciassettesimo comma, del D.Lgs. n. 80 del 1998 ( il quale ha trasferito alla giurisdizione ordinaria le controversie in materia di pubblico impiego cosiddetto contrattualizzato),va tuttavia affermata la spettanza al giudice amministrativo di tutte quelle controversie insorte in relazione alla giuridica rilevanza dei fatti materiali e delle circostanze collocabili in epoca anteriore all'1 luglio 1998, data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 80 del 1998. Il delineato regime della giurisdizione manifestamente non pone dubbi di illegittimità costituzionale in riferimento all'art. 76 Cost. per il sostanziale rispetto dei principi della delega; in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., per la intrinseca ragionevolezza della scelta operata dal legislatore delegato, rispondente a concrete esigenze di attenuazione del rischio di incremento eccessivo del numero delle controversie destinate a riversarsi sul nuovo giudice, e perciò anche al generale principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione; in riferimento ancora all'art. 3 Cost. sotto il profilo della parità di trattamento, e agli artt. 24 e 113 Cost., in quanto, allorché venga in rilievo la variazione nel tempo delle forme della tutela processuale, da un lato, la successione delle leggi, purché rispondente a criteri di ragionevolezza, non può mai porsi come fonte di illegittime discriminazioni, costituendo di per sé il fluire del tempo un fattore di disomogeneità delle situazioni poste a confronto; dall'altro, la garanzia di azione in giudizio per ottenere tutela dei propri diritti o interessi non richiede necessariamente l'uniformità degli strumenti a tal fine apprestati dal legislatore.

Cass. civ. n. 10551/2003

Ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'ente pubblico, non rilevando in senso contrario l'assenza di un atto formale di nomina, né che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni, con conseguente configurabilità di prestazione di fatto, a norma dell'art. 2126 c.c.

Cass. civ. n. 13728/2000

I rapporti di lavoro costituiti iure privatorum da un ente pubblico sono soggetti alla disciplina privatistica, con la conseguenza che, in ipotesi di licenziamento, anche quando il datore di lavoro sia un ente istituzionale territoriale (nella specie, amministrazione provinciale), pur non essendo applicabile la tutela reale per la mancanza della struttura organizzativa, tipica delle imprese, richiesta dall'art. 35 legge n. 300 del 1970, non può però negarsi l'operatività della tutela obbligatoria di cui alla legge n. 604 del 1966, atteso, peraltro, che l'art. 1 di tale legge assoggetta alla disciplina in questione tutti i presupposti di lavoro a tempo indeterminato, anche intercorrenti con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata per legge, regolamento o contratto.

Cass. civ. n. 13311/2000

Per effetto dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970, le norme dello statuto dei lavoratori vanno direttamente applicate alle vicende del rapporto di lavoro degli enti pubblici economici, nei limiti e con le salvezze di cui all'art. 40 della stessa legge, e tuttavia con esclusione generalizzata delle norme speciali destinate a garantire procedure selettive e concorsuali di assunzione del personale ed altri momenti organizzativi dell'ente, operando in questa sfera l'ente medesimo con poteri che assumono, per gli obiettivi perseguiti, rilevanza pubblica, sicché le norme statutarie in questa sfera hanno una mera efficacia integrativa, così come avviene — per effetto dell'ultima parte dell'art. 37 st. lav. — per gli altri enti pubblici. (Fattispecie relativa all'Azienda autonoma per le terme di Acireale, cui è applicabile l'art. 12 del D.L.vo Pres. Reg. Siciliana 20 dicembre 1954 n. 12, prevedente l'accesso alla qualifica di direttore amministrativo mediante concorso per titoli e disciplinante anche il procedimento di copertura di un'eventuale vacanza temporanea; la S.C., in applicazione del riportato principio, ha annullato la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto il diritto all'inquadramento in tale qualifica, a norma dell'art. 2103 c.c., di un dipendente che aveva di fatto svolto le relative mansioni).

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